Benvenuti alla pagina "Reincarnazionismi" di Marameo


Benvenuti nel nostro approfondimento dei concetti di reincarnazione e di risurrezione e le loro implicazioni scientifiche e spirituali. Qui, esploreremo la risurrezione attraverso un'analisi dettagliata dei concetti scientifici e spirituali dal tempo di Ovidio fino ai giorni nostri.


Argomenti Principali

Teologia nuova

Approfondiremo i contenuti concettuali della risurrezione e della reincarnazione offrendo una visione unica sulle connessioni tra passato e presente.

Implicazioni Scientifiche

Esploreremo in modo spregiudicato le implicazioni scientifiche della risurrezione e come esse possano influenzare la nostra comprensione del ciclo della vita.

Studi Teologici

Analizzeremo approfonditamente i concetti teologici legati alla risurrezione e come essi possano arricchire la nostra conoscenza liberandoci dai pregiudizi.


Esplora ulteriori approfondimenti sulla reincarnazione con Marameo

Scopri le connessioni tra scienza, spiritualità e teologia attraverso i testi e le ricerche di Marameo.

REINCARNAZIONISMI

STUDIO TEOLOGICO DI MARAMEO SULLA RISURREZIONE

 

 

Il 7 giugno 2012, Gianfranco Ravasi scrive su “Famiglia cristiana” un articoletto intitolato “Elia reincarnato?” incominciando dai seguenti versetti di Matteo 17.11-12: "VERRÀ ELIA E RISTABILIRÀ OGNI COSA. MA IO VI DICO: ELIA È GIÀ VENUTO E NON L'HANNO RICONOSCIUTO" [si tratta del profeta Elia, detto “il Tisbita”: 1Re 17,1 – ndm (= Nota Di Marameo)]. E così procede: “Questa frase di Gesù è una risposta a un quesito di Pietro, Giacomo e Giovanni, mentre stanno scendendo dal monte della Trasfigurazione: «PERCHÉ GLI SCRIBI DICONO CHE PRIMA DEVE VENIRE ELIA?». Per spiegare l’enigma di quel “prima” [NB: Ravasi chiama “enigma” quell’avverbio di tempo relativo al ritorno di Elia – ndm] e di questo ritorno del profeta Elia sulla scena del mondo [ora lo chiama “ritorno” – ndm], dobbiamo risalire alla fonte che aveva generato questa credenza sostenuta dagli scribi giudaici di quel tempo [ora lo chiama “credenza” – ndm]. Essa è da identificare in una frase del profeta Malachia nella quale Dio dichiarava: «IO INVIERÒ IL PROFETA ELIA PRIMA CHE GIUNGA IL GIORNO GRANDE E TERRIBILE DEL SIGNORE» (3,23). A sua volta, questa evidente base biblica dell’affermazione degli scribi ha la sua matrice nel RACCONTO DELLA FINE DI ELIA, ASSUNTO IN CIELO PER UNA PIENA COMUNIONE CON DIO (2Re 2,1-13).

Era sorta, così, la convinzione [ora lo chiama “convinzione” – ndm] che il profeta, vivente per sempre presso Dio dopo la sua ascensione al cielo, sarebbe ritornato ad annunciare al mondo la venuta del Messia e il giudizio finale. Non mancherà nella tradizione successiva ebraica, cristiana e musulmana – di stampo, però, esoterico e fin eterodosso [ora lo chiama “esoterismo eterodosso” – ndm] – chi affermasse la sua reincarnazione, dottrina in verità aliena all’antropologia biblica che, invece, proclama la risurrezione”. 

 A questo punto però mi chiedo: la risurrezione conforme all’antropologia biblica di cui parla Ravasi è espressa nei vangeli con TRE concetti DISTINTI: “apocatàstasis”, “anàstasis” ed “eghéirõ”. Come mai la chiesa cattolica li traduce in italiano, tutti allo stresso modo INDISTINTO col termine risurrezione?

Vediamoli:

Vangelo di Matteo 1,24: “destatosi” = eghéirõ; 8,26: “alzatosi” = eghéirõ; 11,13: “tornò” = apocatìstemi (da cui apocatàstasis); 17,11: “ristabilirà” = apocatìstemi; 22,23-31: “RISURREZIONE” = anàstasis; 24,7: “si solleverà” = eghéirõ; 24,11: “sorgeranno”; 24,24: “sorgeranno” = eghéirõ; 25,7: “si alzarono”; 27,53: “eghérsis”; 27,63: “RISUSCITERÒ” = eghéirõ”; 28,7: “È RISORTO” = anàstasis”.

Vangelo di Marco 3,5: “ritornò” = apocatìstemi; 5,41: “Talita, cum” (“RISORGI”) = eghéirõ; 8,25: “fu guarito” = apocatìstemi; 8,31: “risuscitare” = anàstasis; 9,9: “RISUSCITATO” = anàstasis; 9,12: “ristabilisce” = apocatìstemi; 10,34: “RISUSCITERÀ” = anàstasis; 14,28: “RISUSCITATO” = eghéirõ; 16,6: “RISUSCITATO” = eghéirõ.

Vangelo di Luca: 5,23: “alzati” = eghéirõ; 5,24: “alzati” = eghéirõ; 5,25: “si alzò” = eghéirõ; 6,10: “ritornò” = apocatìstemi; 7,14: “levati” = eghéirõ; 8,54: “alzati” = eghéirõ; 8,55: “si alzò” = eghéirõ; 20,36: “RISURREZIONE” = anàstasis; 24,6: “RISORTO” = anàstasis; 24,7: “RISORGERE” = anàstasis; 24,34: “RISORTO” = anàstasis.

Vangelo di Giovanni: 5,29 = “RISURREZIONE” = anàstasis; 6,39: “CHE IO LO RISUSCITI” = anàstasis; 6,40: “RISUSCITERÒ” = anàstasis; 6,54: “RISUSCITERÒ” = anàstasis;10,24: “RISURREZIONE” = anàstasis; 14,31: “alzatevi” = eghéirõ; 20,9: “RISUSCITARE”= anàstasis; 21,14: “RISUSCITATO” = anàstasis.

C'è qualche prete o teologo cattolico che sappia rispondere a questa superficialità del fare di TRE concetti UN SOLO concetto?

Poi Ravasi continua dicendo sostanzialmente che, sì ma no: Gesù dice che Giovanni è Elia ma che non lo è perché la reincarnazione non esiste per la chiesa. Ecco le sue parole:

«La tesi del ritorno di Elia, vivacemente sostenuta da certi testi apocrifi giudaici come il "Libro di Enok", ha lasciato tracce nel rituale ebraico della circoncisione, durante la quale si lascia libera la cosiddetta “sedia di Elia” nella speranza che egli si renda presente.

Nella cena pasquale si ha il “calice di Elia”, tenuto colmo sperando che egli venga a comunicare l’arrivo del Messia attraverso la porta di casa lasciata socchiusa. Si riteneva anche, a livello popolare [ora Ravasi parla del ritorno di Elia come di un’opinione di livello popolare, quindi inattendibile – ndm], che Elia venisse costantemente sulla terra, senza essere riconosciuto, a sostenere i poveri, i malati e i moribondi. Si spiega, così, il fatto che, quando Gesù in croce grida l’avvio del Salmo 22 in aramaico ELÎ, ELÎ, LEM SABACHTANÎ («Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?»), la folla che assiste confonda quell’“ELÎ, ELΔ come un’invocazione rivolta al profeta protettore dei moribondi: «Alcuni dei presenti dicevano: “Costui chiama Elia!”… [è comunque notoria la possibilità di tradurre le parole «Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?» con le parole «Dio mio, Dio mio, quanto mi hai glorificato!» – ndm]. Gli altri dicevano: “Vediamo se viene Elia a salvarlo!”» (Matteo 27,47-49).

Con questi antefatti è facile [facile? – ndm] comprendere la risposta di Gesù ai suoi apostoli: «Elia è già venuto e non l’hanno riconosciuto; anzi, l’hanno trattato come hanno voluto». CRISTO SI PROCLAMA, DUNQUE, COME MESSIA E DICHIARA CHE IL SUO ELIA ANNUNZIATORE FU GIOVANNI BATTISTA. Ma la gente non lo riconobbe come precursore del Messia Gesù e lo condannò al martirio [non fu il popolo ma il sinedrio a condannare Gesù: questo fatto rappresenta una paleo-manipolazione del popolo basata sul nome Barabba, il cui significato “Bar Abbà” era “Figlio del Padre”, dunque un equivoco congetturato ai danni di Gesù e del popolo credente in Gesù, figlio di Dio Padre. Fu una democrazia, manipolata, esattamente come avviene oggi, 2024 con ogni tipo di votazione popolare – ndm]. L’evangelista Matteo alla fine esplicita questa INTERPRETAZIONE aggiungendo: «Allora i discepoli compresero che egli parlava di Giovanni Battista» (17,13) [ora Ravasi chiama addirittura interpretazione la faccenda Elia, come se invece L’INTERPRETAZIONE DI RAVASI NON FOSSE ANCH’ESSA UN’INTERPRETAZIONE – ndm]. Già in un’altra occasione, dopo aver tessuto l’elogio del Battista, Gesù aveva ribadito questa IDENTIFICAZIONE SIMBOLICA [ora Ravasi chiama IDENTIFICAZIONE SIMBOLICA l’identificazione del Battista in Elia, fatta da Gesù – ndm]: "Se lo volete accettare, EGLI È quell’Elia che deve venire» (11,14)».

Questo per mostrare come la teologia cattolica sia in realtà una TEO-IDEOLOGIA.

Ravasi è solo UN PICCOLO ESEMPIO DI BALORDAGGINE O DI CIALTRONERIA. Il popolo non se ne accorge: vede in tv un uovo di pasqua al contrario che straparla in stile LGBT e crede alle sue parole, perché è massimamente disabituato a pensare. 

Anche volendo credere a Ravasi, la gente non potrà mai più avere la spudoratezza di Ravasi. Perché sarebbe come dire di essere marci. Ho parlato delle sue menzogne perché l’ho conosciuto personalmente: negli anni ottanta del secolo passato frequentavo assiduamente la biblioteca della facoltà di teologia di Milano per consultare libri di latino e di lingua ebraica, per me troppo costosi. Vedevo quasi tutti i giorni Gianfranco Ravasi, che si aggirava fra i banchi di lettura, salutando tutti. Un giorno, incuriosito dalla mia continua presenza, mi avvicinò e mi chiese di che cosa mi stessi occupando. Così gli dissi che mi ero appassionato alla lingua ebraica e cercavo di verificare delle radici linguistiche ebraiche.

Facendomi i complimenti, subito mi chiese quale fosse stato il testo che mi avesse fatto appassionare al punto da frequentare così assiduamente la biblioteca. Quando gli risposi che il libro era “La lingua ebraica restituita” di Fabre d’Olivet, vidi il suo naso arricciarsi e raggrinzirsi come da disgusto, e si premurò di dirmi: “C’è di meglio”, fornendomi una sfilza di titoli più “idonei”… Più “idonei” a cosa? Lo capii quando lessi nel “Dizionario delle immagini e dei simboli biblici” curato da lui la sua “curata” spiegazione del numero 153 relativo alla pesca miracolosa narrata nei vangeli. Ecco le parole esatte: “Nell’interpretazione del numero 153 si è pensato che i naturalisti di quell’epoca conoscessero 153 tipi di pesci” (Lurker Manfred, “Dizionario delle immagini e dei simboli biblici”, a cura di Gianfranco Ravasi”; Ed. Mondadori, Milano 1994). Non so se affermazioni come questa siano più manicomiali che oscurantiste. Comunque liquidare così un’indicazione dei vangeli mi sembrò alquanto superficiale o un insulto all’intelligenza umana, così che sarcasticamente pensai che tra i tipi di pesce pescati da Gesù non poteva mancare anche quello del pesce… “palla”! “Bisognerebbe che queste menzogne fossero una volta per tutte finalmente smascherate”, dicevo fra me, e mi chiedevo: “Ravasi è stupido, oppure mente sapendo di mentire, magari per conservarsi il posto in nome del “così fan tutti”? Infatti nel proseguire la sua “curata” spiegazione dei 153 pesci aggiungeva poi fumosamente: “secondo la ‘gematria’ vi sarebbe un nascosto riferimento all’eucarestia ma forse, però, può trattarsi anche solo di una notazione storica sottolineata” (ibid.). “Forse, però”? Era omissione tecnica di chi si batte tre volte il petto ogni giorno dicendo “mea culpa” per “pensieri, opere e omissioni” oppure era omertà?

Potete trovare ciò che comporta la conoscenza del numero 153, a proposito della pace, nel mio saggio del 2001 “Numerologia della Pace” (pubblicato dalla rivista “Ricerca ’90” n° 46). Questo per dire ciò che Ravasi nasconde, a sua volta nascondendosi dietro al pennivendolo Lurker Manfred. La chiesa cattolica è sempre stata l’intercapedine del diritto di Stato, ricco di distruttori dello Stato di diritto e di bergoglioni, comunisti o fascisti a seconda di chi comanda (cfr. soprattutto il 10* cap. de “L’isola del silenzio” di Horacio Verbitsky).

Faccio altresì notare che il dio di Ravasi non è soltanto un oscurantista ma anche un guerrafondaio: nel 2001, al tempo della guerra in Iraq, tutta l'“analisi” vaticana sulla guerra poggiava sui seguenti punti: 1) il costo umano della guerra; 2) il probabile aggravarsi della persecuzione nei confronti delle minoranze cristiane in Iraq e in tutta l’area; 3) la possibilità di destabilizzazione di tutta l’area; 4) le preoccupazioni per la spaccatura manifestatasi nell’UE e per il possibile allontanamento diplomatico tra una parte dell’UE e gli USA; e 5) la inammissibilità morale del concetto di “guerra preventiva”, rispetto a quello di “guerra giusta” espresso allora nell’art. 2267 del “CATECHISMO DELLA CHIESA CATTOLICA”.

Ovviamente, perché la guerra fosse “teologale” bastava ragionare con la logica dell’adeguamento al principio di legittima difesa! Questa logica vescovil-teologal-economicista era infatti impugnata dai sostenitori cattolici della guerra, fra cui Michael Novak e Gianfranco Ravasi. Novak non era solo teologo ma anche un “economista di fama internazionale”, talmente bravo che le condizioni per una “guerra giusta” erano per lui quelle espresse dall’art. 2309 di quel “Catechismo”, e Ravasi, come un clone del malaffare, gli teneva bordone esprimendo le stesse ipotesi di guerra giusta da lui esposte con queste parole: «Diventato persino uno stereotipo, pronunciato spesso con una punta di ironia: “porgere l’altra guancia” è, come si sa, una citazione semplificata del Vangelo di Matteo (5,38-41 ) e, più precisamente, di quel “discorso” di Gesù detto “della Montagna”, a causa del suo fondale forse più simbolico che reale» (Gianfranco Ravasi, “L’altra guancia o la spada?”, “Il Sole24Ore”, art. del 30/9/2001). In pratica Ravasi derealizzava il vangelo, esattamente come poi derealizzò i MISFATTI di Napolitano. Ciò naturalmente non significa che bisogna credere a chi afferma “Napolitano, il peggiore”. Che Napolitano sia stato uno dei peggiori mafiosi di Stato sono i fatti storici a dirlo, perché certe cose non potranno mai più essere dimenticate. Questo per dire che chi sostenne il M5S, che fu un movimento di ignorantoni, dovrebbe solo chiudersi la bocca. Lo stesso dicasi per chi opera per una mera parte (un partito) dell’organismo sociale. Perché non opera per l’organismo sociale ma solo per un suo organo. Non si può pensare di guarire una metastasi tumorale comportandoci come Pilato, cioè lavandosi le mani. Le mani sono membra dell’organismo umano. Non sono l’organismo umano. Appartengono al sistema metabolico come i piedi, che esprimono la libertà di muoversi, agire, ricercare, studiare, creare, scrivere, suonare, ecc. Non si può suonare col cervello (entro il sistema nervoso) o con la speculazione del cervello, il quale si articola alle mani mediante il cuore nel torace (sistema cardio-circolatorio) secondo ritmo vitale. Il cuore pulsa. Se pulsa il cervello stai male.  

A me pare che l'organo cerebrale abbia solo la funzione di specchio degli oggetti IMMEDIATAMENTE percepibili (colori, odori, onde sonore o rumori, parole dette o scritte, libri, pagine, nonché sensazioni, emozioni, ecc.) e non anche la loro connessione o MEDIAZIONE soggettiva, data dall'universale pensare come strumento dell'io. Detto più semplicemente: per me è l'io che pensa, non il cervello. Il cervello rispecchia il mondo. L'io lo comprende in sé.

Affermare, per es., che Tizio sia la reincarnazione di Caio portando come prova dimostrativa che questa dichiarazione si basi su fatti e non su speculazioni, è agire nello stile perfido di Grimilde, la matrigna di Biancaneve che parlava con lo specchio. Dunque il freddo decretatore di “chi si reincarna in chi” non ha ben chiara la funzione speculare del cervello: crede che un fatto sia quel fatto perché lui non lo specula ma lo percepisce senza mediazione cerebrale. Questo genere di esaltati mentali imperversa oggi nel web. Questi esaltati parlano di reincarnazione in modo completamente ascientifico.     

Il tema dell'apocatàstasis o dell’anàstasis o di eghéiro è del tutto sconosciuto a questi nevrotici/psicotici. Si prenda anche solo il termine apocatàstasi. Esso riporta in auge quello dell'amore cosmico, connesso a Elia il Tisbita. Tisbe era un luogo dell'antica Palestina (nella regione di Galaad), scotomizzato dalla teologia come inesistente e che sembra prendere il nome Tisbe dal mito degli amanti Piramo e Tisbe : in questo gratuito PDF la vicenda dei due amanti «ci è arrivata dal mondo antico in due differenti versioni documentate entrambe da un vasto apparato iconografico (cfr. I. Baldassarre, “Piramo e Tisbe: dal mito all’immagine”, "L'art decorati à Rome à la Fin de la Rèpublique et au debut du Principat", Collection de l’Ecole française de Rome, 1981) di cui però soltanto una, grazie alla trascrizione ovidiana, ha avuto fortuna fino ad essere ripresa ancora in epoca moderna.

 

Le due redazioni sembrano riferirsi ad ambiti geografici ben distinti: la Grecia ellenistica e Roma. Quella greca (presumibilmente la più antica ma presente solo in scrittori di epoca tarda) è ambientata verosimilmente in CILICIA o a Cipro e narra di una coppia di giovani innamorati, Piramo e Tisbe, unitisi prima del matrimonio: Tisbe, rimasta incinta, si uccise per la vergogna e Piramo, disperato, la seguì nell’empio gesto. Il loro caso impietosì a tal punto gli dei che decisero di trasformare Piramo e Tisbe rispettivamente nel fiume omonimo della CILICIA (l’attuale Ceyhan nella parte settentrionale della penisola anatolica) e nella fonte adiacente, che riversa le sue acque in quelle del fiume amato (cfr. P. Grimal, "Dizionario di mitologia greca e romana", Brescia, Paideia Editrice, 1987, p. 548)».

È altresì notorio che «Nell'anno 6, ad occidente dell'Eufrate, Augusto provò a riorganizzare l'Oriente romano, e in merito alla Giudea, ciò avvenne in seguito ai primi disordini nel 4 a.C. alla morte di Erode il Grande. Augusto rafforzò, poi, una serie di vecchie alleanze con re locali, divenuti "re clienti di Roma" tra i quali il sovrano della CILICIA (D. Kennedy, L'Oriente, in "Il mondo di Roma imperiale: la formazione", a cura di J. Wacher, Bari 1989, p. 306).

Ecco forse anche il perché Elia fosse detto “il Tisbita” in ragione di questo amore narrato da Ovidio nelle “Metamorfosi” (è comunque un mio parere, dato che il tema dell'amore, etimologicamente "a mors", significa "senza morte".

Ora, la reincarnazione cos'è se nella scienza antica è indicata solo come metempsicosi (μετεμψύχωσις)? Il ghilgal ebraico, גלגל, significa CICLO ma non riguarda la metempsicosi, perché sarebbe stupido sbattersi tutta la vita per capire per poi finire in un ratto o in un albero o in un ipotetico tachione. Inoltre quando me ne andrò nel trapasso, non so se avrò ancora l’anelito a ritornare, date le circostanze di imbecillità imperanti dappertutto. Sì, amo la musica e chi mi spinge a liberarmi di tutto, però ritornare non posso neanche deciderlo ora illudendomi di essere libero dalla carne in cui sono incarnato. Forse è per questo motivo che Luca la chiama apocatàstasi, non metempsicosi. E apocatàstasi significa reintroduzione del deforme nel conforme, cioè restaurazione. Di fronte alla distruzione – per la legge dei contrari (Platone) c’è sempre una costruzione, che nel nuovo testamento è detta palingenesi: la parola palingenesi sembra indicare la nuova situazione che si dovrebbe verificare dopo l'avvento del regno di Dio (Matteo, 26,29); espressioni affini sono "restituzione delle cose" (apocatàstasis: Atti, 3,21) e "cielo nuovo e terra nuova" di cui parlano 2Pietro 3,13 e Apocalisse 21,1 segg. (cfr. https://www.treccani.it/enciclopedia/palingenesi_(Enciclopedia-Italiana)/).  

Perché la chiesa cattolica non si è mai occupata di aprirsi a questi concetti, limitandosi a condannare la reincarnazione? D’accordo non è scientifico parlare di reincarnazione in quanto chi usa lingua scientifica deve essere responsabile anche della forma esatta della parola, concettualmente evocata. Se Steiner fosse vissuto più a lungo, avrebbe senz'altro specificato queste differenze di contenuti concettuali. Cioè è sbagliato credere nella reincarnazione proprio perché è giusto solo SAPERE dell'apocatàstasis o dell’anàstasis, eghéiro, ecc.: il ciclo è a spirale non un semplice cerchio di ripetizione di un punto in moto in una circonferenza. L'eterno ritorno dell'uguale non esiste.

Ritornare è già quello che facciamo ogni giorno quando ci svegliamo. Ma dobbiamo svegliarci, studiare, approfondire.

Anche nel nostro quotidiano, quando incontriamo per strada Caio, non percepiamo "la reincarnazione" di Caio dicendo "Questa è "la reincarnazione" di Caio", bensì Caio, che riconosciamo come Caio. Ecco perché questi antichi termini scientifici riguardano il divenire di tutte le cose dell'universo ed evocano - e sono - le vere forze atomico-molecolari che lo tengono insieme.

Inoltre, se non sappiamo alcunché di chi siamo stati nella NOSTRA vita passata (anche della giornata di ieri se abbiamo bevuto alcool dal mattino alla sera, per cui non ricordiamo nemmeno ciò che abbiamo fatto), come possiamo dire che Caio è la reincarnazione di Sempronio o viceversa?

Le dinamiche del destarsi (eghéirõ),  del risorgere dalla notte di ieri (anàstasis) e del ritorno su un altro piano della spirale (apocatàstasis) vanno conosciute soprattutto in noi stessi. State attenti agli imbecilli!

Crea il tuo sito web con Webador