PRIGIONI: SELF-MADE LOVE
Benvenuti! Sono lieto di presentarvi uno scritto speciale di Theoderosa, uno dei collaboratori di Marameo. In questo articolo, sono esplorati temi profondi come interesse, amore, aporie, caso, educazione, fraintendimenti (misunderstandings).

Esiste una necessità molto più sottile e penetrante, per l’uomo, quasi una ossessione, che si aggiunge al bisogno di mangiare, dormire, bere riprodursi ed essere sociali. Ed è quella di capire.
MISUNDERSTANDINGS
1- Questo “amore” così importante, definito addirittura “fonte di vita” è per certo anche fonte di zampillanti e costanti clamorosi fraintendimenti.
Un conto è la soddisfazione sessuale, un altro è la relazione.
Trovo più sano un sincero scambio di godimento senza pretese sentimentali, che l’innamoramento ipocrita e ignorante di chi ha bisogno di una giustificazione morale per accoppiarsi.
2- Oltre all’amore ordinario, penso a un secondo grande misunderstanding della filosofia spirituale moderna, strettamente connesso a quello.
Anzi più che fraintendimento questa è stata proprio una deliberata manipolazione del fatto.
“Ma per stabilire questo fatto, per comprenderlo, per convincersi della sua verità, bisogna liberarsi da mille illusioni sull’uomo, sul suo potere creativo, sulla sua capacità di organizzare coscientemente la sua propria vita, e così via. Tutto questo in realtà non esiste”.*
Oggi sempre più spesso si dice (veramente dalla Prima Rivoluzione Industriale è stato una specie di mantra ripetuto, come in un rito ossessivo-compulsivo più per auto-convincimento che per effettiva significanza), che l’uomo è artefice del suo destino, e poi… che se sei risolto interiormente, l’esteriore sarà sempre soddisfacente e se non lo è, la colpa è tua che sei troppo infognato dentro.
Una eccessiva attenzione all’esito degli eventi, piuttosto che una focalizzazione sul processo di realizzazione, indipendentemente dal risultato (che diviene l’unica cosa che conta, in una società fondata sulla competizione del darwinismo sociale) nella vita ha trasformato lentamente la responsabilità in colpa.
Ecco, trovo questa persuasione una forma di sadismo psicologico sottile, crudele e decisamente presuntuoso.
Come si può essere convinti che tutto dipenda sempre e solo da noi?
L’idea che l’esterno sia una proiezione interna è davvero malata.
Esclude totalmente l’accidente ovvero la fondamentale interferenza di incastri ben più importanti che vanno a creare quelle circostanze che possono rivelarsi favorevoli o sfavorevoli all’azione.
“La suprema illusione dell’uomo è la sua convinzione di poter fare.
Tutti pensano di poter fare, vogliono fare, e la loro prima domanda riguarda sempre ciò che dovranno fare. Ma a dire il vero, nessuno fa qualcosa e nessuno può fare qualcosa. Questa è la prima cosa che bisogna capire. Tutto accade. Tutto ciò che sopravviene nella vita di un uomo, tutto ciò che si fa attraverso di lui, tutto ciò che viene da lui — tutto questo accade.
[…]
Tutto accade. L’uomo non ama, non desidera, non odia — tutto accade. Nessuno vi crederà se gli dite che non può fare nulla. Questa è la cosa più offensiva e spiacevole che si possa dire alla gente. Ed è particolarmente spiacevole e offensiva perché è la verità e nessuno vuol conoscere la verità”.*
(*G. I. Gurdjieff)
E lo so, non vi piace affatto, per niente proprio.
Ma non c’è niente da fare!
Non solo quando vi va male, ma anche, e soprattutto quando vi va bene e vi convincete che è stato merito vostro, della vostra determinazione, della vostra caparbietà, delle vostre competenze, beh… – surprise surprise – è solo capitato per caso, un caso “fortunato” forse, ma di certo non voluto dalla vostra “magia”.
𝘓𝘪𝘧𝘦 𝘐𝘴 𝘸𝘩𝘢𝘵 𝘩𝘢𝘱𝘱𝘦𝘯𝘴 𝘵o 𝘺𝘰𝘶 𝘸𝘩𝘪𝘭𝘦 𝘺𝘰𝘶’𝘳𝘦 𝘣𝘶𝘴𝘺 𝘮𝘢𝘬𝘪𝘯𝘨 𝘰𝘵𝘩𝘦𝘳 𝘱𝘭𝘢𝘯𝘴 (J. Lennon).
Ieri, dichiaravo candidamente di preferire l’adolescenza all’infanzia per maggiore autonomia e indipendenza, perché si può cominciare a relazionarsi con i contenuti delle parole. Al che, una intervenuta rispondeva: “Beh, molto dipende anche dall’educazione che i ragazzi hanno ricevuto dai genitori”.
E lì, la visione: mi si è spalancato il cranio e hanno cominciato a fluire direttamente nel mio cervello parole come pioggia interminabile in una tazza di carta; scorrevano selvaggiamente fino a scivolare in pozze di dolore, onde di gioia alla deriva, nella mia mente aperta.
A dimostrazione che per me, l’uomo (nello stato di coscienza) ordinario non riesce a essere sinonimo di rapporto biunivoco ma rimane fonte di squisite indagini antropologiche.
Dunque, c’è un terzo fraintendimento, nella nostra cultura moderna, probabilmente mutuata dalla insulsa rigidità della disciplina politica militarista di un certo periodo storico italiano, secondo cui educare significava imprimere a forza una certa condotta onde spingere l’individuo ad assumere atteggiamenti socialmente accettabili e a evitare quelli riprovevoli al buon costume, condiviso dalla morale temporale.
Ed è vero: si arriva a ignorare che quelle sono solo norme comportamentali che nulla hanno a che fare con la vera educazione.
Educare è confuso col fornire, imponendoli, gli strumenti per integrarsi “correttamente” (poi col meno attrito possibile) nella “malattia sociale” della ipocrisia condivisa. Tutto è studiato per evitare che l’individuo arrivi faccia a faccia con la sua vera essenza, che gli rimanga sempre aliena eppure recalcitrante nei meandri ombrosi dell’anima.
Educare, dal mio punto di vista, significa insegnare a gestire quella parte misteriosa di sé, l’ombra per l’appunto, che non si conosce. Ma se non si viene messi nella condizione di trovarsela di fronte perché, attraverso dogmi sociali religiosi ideologici di qualunque genere, è scientemente esclusa questa esperienza ovvero incontro con il sé più oscuro, diverremo individui apparentemente integrati che, però, da un momento all’altro si rivelano dei mostri, inspiegabilmente assassini, torturatori, stalker disagiati, sociopatici, eccetera eccetera.
Chiaramente l’incontro con l’ombra non può avvenire in uno stato di “tacco e punta” o perfezionismo dei modi esteriori: bisogna accettare dei momenti di forte “scazzo” da parte dell’educando e non aspettarsi che necessariamente debba rientrare nei parametri stabiliti dal Ministero dell’istruzione o della sanità.
Educare significa aiutare a tirare fuori la propria essenza, sia che questa sia conforme agli istituti etici del tempo sia che no; educare non vuol dire riempire le menti di contenuti comuni ma insegnare a produrne di propri a partire dal personale patrimonio interiore; educare non vuol dire condurre verso zone di comfort ideologico, ma ribaltare le impalcature e sradicare le sovrastrutture della personalità.
ESEMPIO DOP: DISTURBO OPPOSITVO-PROVOCATORIO
Si tratta di bambini e bambine che generalmente sono descritti come particolarmente:
dispettosi,
vendicativi,
sfidanti,
offensivi,
che tendono ad attribuire ad altre persone la colpa di propri errori e manifestano apertamente la propria ostilità.
AH, BAMBINI, INSOMMA!
È IL DISTURBO DEL 90% DEI BAMBINI!
ESSERE BAMBINI CHE FANNO I BAMBINI È UN DISTURBO.
INVECE ESSERE BAMBINI CHE SI COMPORTANO DA VECCHI È SANO.
Sapete che fanno?
Prima dicono che hanno un disturbo, poi ti dicono che questi bambini sono speciali e hanno un dono e vanno trattati in maniera diversa.
Ecco che arrivano i bambini indaco, i cristallo, i rainbow children e i plusdotati.
Ma porca trota: che banda di criminali!
Educare significa ELIMINARE IL SOVERCHIO per estrarre l’opera d’arte che già giace, silente nel blocco di marmo.
“[…] Le nevrosi e le psicosi, infatti, non sono dirette conseguenze di reali frustrazioni bensì l’espressione della rimozione di traumi. Quando si tratta soprattutto di educare i bambini in maniera che essi non si accorgano del male che si fa loro, delle cose di cui li si priva, di ciò che essi perdono, […] di chi essi siano in realtà […] allora in seguito l’adulto vivrà la volontà degli altri come se fosse sua propria. Come potrà mai infatti sapere che la sua volontà è stata stroncata dal momento che non gli è mai stato consentito di farne esperienza?” (Alice Miller).
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