FASCISMO ODIERNO (2024)
Oggi si parla tanto dell'inesistenza del fascismo in Italia proprio perché non si vuole vederlo. Il vero fascismo è riscontrabile nell'abuso del Modello 45 e ha implicazioni gravi sull'organismo sociale tri-articolato (sfera culturale, sfera politica o giuridica e sfera economica, tutte e tre mescolate, senza capo né coda, nell'inavvertito STATO PLENIPOTENZIARIO inavvertito dal "contribuente").
Impatto dell'abusivismo dei MODELLI
Un esempio: il MODELLO penale 45 è stato abusato dall'intellettuale mafia, causando gravi conseguenze sull'organismo sociale e sullo Stato di diritto (articolazione giuridica entro l'organismo sociale). Il suo uso improprio permette di classificare casi come non criminali, evitando procedure legali necessarie. Questo abuso ha influenzato l'organismo sociale ed ha continue implicazioni per lo Stato di diritto del Paese.
Neurobiologia e Altro
La neurobiologia è un punto di forza ancora inesplorato dall'"uomo animale" della "scienza ufficiale". Questo articolo offre un servizio innovativo in questo settore, garantendo un approccio olistico alle esigenze di chi è rimasto umano (OMINALE).
Video pubblicato da Nereo Villa nel 2016
IL VERO FASCISMO ODIERNO
Extrat. Oggi (2024) si parla tanto dell'inesistenza in Italia del fascismo proprio perché non si vuole vederlo. Il vero fascismo è per esempio (uno dei tanti esempi) riscontrabile nell'abuso da parte del CSM del Modello 45 (penale) da parte del diritto di Stato (mafia intellettuale di Stato) che ha sostituito di fatto lo Stato di Diritto. Questo fatto è di una semplicità estrema ed è talmente evidente che nessuno ne prende atto. Ne ho già accennato come fatto ESTERIORE. In quanto segue, ciò è sviluppato come fatto INTERIORE, come psicosi e nevrosi entro l'"uomo animale" delle "scienze di Stato".
L'essere insieme di gruppi o crocchi o associazioni, "funziona" oggi solo per il denominatore comune inferiore: ciò che esiste di più basso li unisce. Il pericolo è perciò l'inversione del reale processo unitivo, cioè il ricadere nell'"anima di gruppo" (animalismo): quella che caratterizza i partiti. In ogni partito occorre, oggi più che mai, la rinuncia alla libertà interiore, affinché si dia la partecipazione degli individui e in tal senso il loro accordo. I partiti hanno preparato, su un piano di esteriore primitivismo (ingenuo realismo), sia pure intellettualmente brillante, l'oscurità di un impulso all'organismo sociale tramite cooperazione di esseri umani animali secondo la "scienza", cioè non OMINALI, i quali, non ancora realmente pronti all'esperienza cosciente di sé stessi, preferiscono il "noi animali" o il "noi schiavi" all'io o allo spirito del tempo presente, che solo dovrebbe responsabilizzare l'unirsi. La responsabilità degli esseri umani animali secondo "scienza" non è più responsabilità ominale: è venuta meno all'impegno per cui è sorta perché oggi è in grado di fornire al mondo organizzato in gruppi, parti, partiti, solo un MODELLO animale di comportamento. Tale modello è anima di gruppo animale, detto politica, diplomazia della succubanza, fatta di istinti e non di concreta vita pensante, verso coesioni "turandosi il naso" e di consensi ad essere gregari. Perciò qualsiasi associazione non può che sfaldarsi in quanto costituita da psicotici e da nevrotici, meccanizzati (meccanizzazione dello spirito-io).
Psicosi è paura, prevalenza della morte a livello mentale. Il livello mentale è quello della superficialità dell’attività interiore, anticamente detta anima. Si tratta di permanenza e affermazione della morte interiore. La psicosi si distingue dalla nevrosi solo perché nella nevrosi la morte è contenuta e concentrata come dinamica scattante (mors tua, vita mea), mentre la psicosi è maggiormente combattuta ma inutilmente: il principale motivo del diffondersi delle forme psicotiche è, per esempio, la lotta che la medicina svolge contro il trapasso, fatta con mezzi che sono di prevalente origine mentale, cioè superficiali, propri dell'intellettualismo materialista odierno. Si parla tanto di masso-mafia senza comprendere come i masso-mafiosi, cioè i gregari di un partito sono costretti ad un contatto col CONCETTO di morte, creduto morte mentre è un concetto. Per cui portiamo costantemente nel "noi" (animali) l'illusione di un padroneggiamento di ogni carica mortale sottratta ai livelli biologici.
La morte, come tutti sanno, è ineliminabile. La si può combattere portandola al livello superiore dell’io e possibilmente contenendola lì. I livelli superiori dell’io però non sono ancora in grado di padroneggiarla sufficientemente. Da qui l’accrescersi della psicosi. È illusorio ritenere che per stornare la morte bastino i “MODELLI”, per esempio quelli farmacologici ed igienici. Questi possono agire in qualche modo, ma le forze mortifere che portano l'uomo al termine della sua vita, prima o poi prevalgono. Ed anche se mentalmente le forze mortifere sono allontanate da certi livelli organici pre-mentali o profonde, queste si volgono contro la mentalizzazione stessa, là, dove l’azione della morte è meno visibile.
Ovviamente, anche se mentalmente invaso dalla morte, l’individuo psicotico non è però morto. Muore invece rapidamente in certe forme psicotiche acute, cosiddette tossiche, e muore progressivamente negli stadi avanzati di malattie ingravescenti – per esempio vasculopatie ostruttive, soprattutto quando il corpo fisico (di per sé minerale) non può difendersi, come accade negli schizofrenici avanzati. Tuttavia, in alcune psicosi più attenuate come in certe forme deliranti paranoidee, si riesce a SOPRAVVIVERE biologicamente anche per lungo tempo. Talvolta l’invasione psicotica entro l’attività interiore fa sì che il malato riesca a reagire in superfice, al punto da creare livelli di pseudo padroneggiamento che lo portano ad una forma di relativa guarigione, la quale giunge a dargli un certo blando approfondimento di sé. Altre volte invece lo psicotico vede distrutte le sue principali qualità interiori dal concetto stesso di morte non intuito (difetto schizofrenico) per cui termina la sua vita come un essere quasi soltanto vegetativo.
Nella psicosi l’individuo è bloccato a lato della morte interiore, anche se superficialmente. Il suo congetturare non gli lascia la possibilità di isolarla, di concentrarla, né di distanziarla nel tempo e nello spazio (il tempo e lo spazio sono sempre sovrasensibili anche se misurabili; lo “spaziotempo” è un concetto spurio della fisica che scambia lo spazio percorso dalle lancette dell’orologio col tempo misurabile). Di conseguenza le principali difese nei confronti di tale “morte” sono la fuga, o la non percezione (cioè l’anestesia o il sonno) e la continua esternalizzazione della stessa, sotto varie forme. Tentativi, questi ultimi, di disintossicazione, che consistono poi nel somministrare agli altri la morte dalla quale ci si sente invasi (per es.: nel cosiddetto narcisismo patologico maligno). Ne deriva un agire dannoso fino ad essere omicida, ed una proiezione della morte all’esterno. Anche per questo motivo lo psicotico è spesso preda di deliri persecutori nei quali la morte è avvertita come proveniente dall’esterno. Tuttavia, dato che lo psicotico ha perduto le sue possibilità di controllo mentale sui livelli profondi (in quanto questi hanno invaso i più articolati livelli dell’io), le stimolazioni esterne negative ledono effettivamente gli aspetti più primitivi della sua superficiale attività interiore che, una volta affiorati in superficie, sono meno protetti e quindi più fragili. Lo psicotico sente la sua vita realmente attaccata da ogni stimolo, anche quando quest’ultimo sia minimamente distruttivo. Egli non solo proietta la sua morte all’esterno, ma si sente veramente uccidere dall’esterno. Questo perché la sua fragilità è estrema. Perciò i partiti, le parti, continuano a cambiare casacca, pur rimanendo medesimi gregarismi di malati mentali, di cui siamo spaventosamente circondati.
Ecco perché si ricorre a dinamiche di anestesia (uso di droghe, alcool, ideologie, partitocrazia, scientismi, pseudo-antroposofie, ecc.) che consentano di non avvertire le cariche aggressive esterne. Tale anestesia è necessaria all'essere umano animale della "scienza" anche rispetto ai propri livelli interiori invadenti e lesivi. Quindi si tratta di un individuo spesso prevalentemente anaffettivo, “disemozionalizzato” ed inerte. La sua inerzia è deficienza di funzione dei livelli superiori dell’io e fa sì, però, che certi stimoli aventi la qualità dei livelli superiori stessi, che cioè rappresentino fisiologicamente le sue parti più evolute, siano in grado di condurlo e di comandarlo al di là dei suoi stessi interessi vitali. Lo psicotico infatti può essere guidato da frazioni di idee e di pensiero che risiedono in lui stesso e che non sono state sufficientemente filtrate (i “pensati” altrui accettati per fede, “dover essere” kantiano, neo-zelotismo, legionarismo, ecc.). Ovviamente, potrebbe anche essere guidato da principi e suggerimenti altrui, anche se parziali, purché fosse in grado di raccoglierli. Ma lo psicotico è reattivo alle minime influenze negative altrui, pur se inconsce: può avvertirle come mortifere e si comporta di conseguenza. Egli infatti quando si sente uccidere, uccide.
In genere, lo psicotico non è cosciente. La sua è una pseudo-coscienza, legata a livelli formali, MODELLI formali, che gli consentono reazioni formali. Ma è sostanzialmente incosciente, e non collegato ai suoi diversi livelli interiori, data la sua incapacità di sopportarli tutti insieme. Così se uccide, se uccide sé stesso, o se compie altri atti di grave danneggiamento di sé e degli altri, non sa effettivamente quello che fa. Sono le sue parti animali, pre-mentali che agiscono, distruggendo appena si sentono distruggere. Oppure sono suoi primitivi livelli biologici che, avvertendo la “morte”, anche se solo superficialmente, riescono a condurla dalla loro parte per distruggere quelle frazioni dell’individualità che sentono mortali e pericolose. Così finiscono invece con il distruggere l’individualità intera.
Lo psicotico che si uccide è sempre condotto da una errata battaglia contro la morte, che però trova degli alleati in una parte biologica profonda che vuole non più soffrire. Essa sente la “morte mentale” come superamento della sofferenza stessa. Una delle maniere di difendersi dalla morte, tipica dello psicotico, è la dissociazione. Con questo termine, con cui in genere si contraddistingue e caratterizza il contenuto concettuale di schizofrenia, si indica infatti anche una difesa della frammentazione della mente. La dissociazione ha il fine – se di fine si può parlare per questa dinamica animale – di interrompere i vari collegamenti tra i diversi livelli interiori. Ciò permette una relativa frantumazione della morte stessa, e fa sì che la carica mortale ormai prevalente possa non invadere massicciamente tutto l’individuo fino a portarlo ad atti estremi, oppure in condizioni estreme. La morte è quindi combattuta frazionatamente, con la conseguenza del ritorno parziale all'animalità stessa, che nulla c'entra con l'ominalità o la sindéresi. In lui, uomo gregario o "di gruppo", vari suoi aspetti funzionano ciascuno per conto proprio ma, non giungendo a collegarsi, generano gravi conseguenze per l’individuo, pur se con l’analogo risultato di non far collegare le pressioni mortali. L’individuo, inoltre, si dispone automaticamente in modo tale che alcuni suoi livelli interiori possono essere addirittura distrutti, per esempio livelli di memoria, o di fantasia cosciente, immaginativa morale, ecc., mentre altri rimangono relativamente integri. Viene cioè infranta la gerarchia individuale per la quale nell'uomo ominale permane guida dei livelli inferiori. Quando tale gerarchia non è ancora infranta, la “morte” – giunta massicciamente nel “pensare” dello psicotico, porta a morte tutto l’individuo, risultando prevalente. E infatti è questo che accade. Se non accade è perché la “morte” è isolata localmente in più livelli, i quali però non riescono, data la maggior “quantità” (di “morte”), a concentrarla ed a localizzarla. Nella nevrosi invece ci riescono e allora diventano giustificazione dell’atto di “sfogo” (scatto nervoso).
Oltre alla dissociazione, altri fenomeni che intervengono nella psicosi sono quelli della riduzione funzionale di certi aspetti e quindi della relativa prevalenza di altri.
La vita fa quel che può per SOPRAVVIVERE senza ESSERE. I livelli di sintesi del pensare e del percepire superiore o sovrasensibile sono estremamente ridotti nella psicosi e quindi spesso alterati dai livelli inferiori, anche se in grado variabile secondo le diverse forme. Livelli più elementari relativamente indenni prendono allora la prevalenza e tentano di provvedere alla vita stessa. Così accade per esempio che certi psicotici abbiano attività alimentari prevalenti, seppure fortemente in conflitto o ipersensibili al conflitto, proprio perché prevalenti. Per esempio, aspetti sessuali reattivi sono temporaneamente caricati o insorgenti come compensazione. E accade, come accennato, che reazioni primitive di omicidio o di suicidio, intervengano e prevalgano.
Il predominio di certi livelli primitivi ha la funzione di porre su quelli relativamente indenni, il carico della morte, creando però una situazione altamente pericolosa, che può essere distruttiva per i livelli superiori dell’io, perché i livelli inferiori (egoismo, egotismo, egocentrismo, narcisismo criminale, ecc.) acquistano prevalenza sopraffacendo quelli superiori e mettendoli in soggezione. Accade così che il ridotto funzionamento degli aspetti più articolati dell’egoità umana faccia sì che altri prendano a dominare e riducano ulteriormente i livelli superiori.
In tal modo l'uomo animale della "scienza" è diventato "bestia", cioè essenzialmente animale, davvero animale, anima di gruppo, gregario, o addirittura quasi vegetativo. Può anche accadere che in presenza di conflitto di livelli, una delle due parti distrugga l’altra, così che il corpo possa uccidere l’attività interiore, così come questa può uccidere il corpo. Sono QUESTI certi incomprensibili suicidi psicotici, condizionati da dissociazione e da anestesia e che si manifestano in ridottissimo stato di coscienza. Vi è altresì, appunto, riduzione dei livelli sintetici superiori, asserviti invece alle forze più primitive.
Altra dinamica subconscia tipica della psicosi è quella della fuga. Questa dinamica si manifesta nei livelli superiori in maniera più avvertibile. La carenza di coscienza di fronte alla “morte” è una manifestazione di fuga di certi aspetti capaci di allarme e di sintesi, che formano, negandola, la sindéresi stessa nella coscienza oltre a rappresentare gli effetti di dinamiche di prevalenza di livelli inferiori (la sindéresi, termine dimenticato anche in molti vocabolari italiani, è la facoltà dell’uomo di avere sé in modo IMMADIATO i principi universali del bene e del male). Anche l’anestesia, relativa a certe parti emotive dell’essere umano, è un analoga dinamica subconscia di fuga. La fuga si può manifestare per alcuni aspetti e non per altri. In genere rimangono vive certe percezioni di “morte” che danno un’angoscia violenta, la quale però non ha il carattere dell’angoscia nevrotica. Si tratta di un’angoscia non filtrata dai livelli articolati dell’attività interiore, mediante i quali, se attivi, la farebbero giungere alla coscienza in modo almeno relativamente tollerabile. È invece espressione di “morte” totale e prevalente, ed ha carattere di superficialità, pur provenendo in gran parte dal profondo (l’angoscia nevrotica è infatti avvertita come profonda). Le cose stanno così in quanto molti dei livelli interessati sono superficializzati, vicinissimi ai residui di coscienza, e mancanti dei canali abituali che fanno passare lo stimolo attraverso numerose stazioni intermedie. Lo stimolo doloroso è dappertutto, perché la morte è dappertutto (in tutto il divenire essa è infatti sempre metamorfosi di forme); ed è quindi tanto profondo quanto superficiale.
Altra dinamica di protezione contro la “morte” è quello della passività. Ci si rifiuta di pensare, di avere vita pensante, vitalità eterea o eterica pensante. Quest’altra dinamica è presente anche nelle nevrosi e nella vita in genere. Corrisponde alla “non lotta” di aspetti, sia in superficie che in profondità o pre-mentali, che hanno la sensazione che è meglio non dare segno di sé per non essere eliminati. Nella psicosi la passività può essere totale: come in molti sintomi psicotici e nevrotici, è una sorta di sintesi e di intesa tra gli aspetti più propriamente mortali e quelli di protezione dalla morte stessa. I primi tendono ad impedire la vita delle parti temute, e che quindi si avvertono come nemiche, i secondi tendono con l’immobilità a non offrire bersagli per non essere uccisi.
Il cosiddetto “conflitto psicotico” non è altro attività vitale sotto il segno prevalente della morte. Mentre un conflitto quotidiano è un equilibrio di reciproche forze le quali per motivi di prevalenza POTREBBERO risultare reciprocamente distruttive, nella psicosi tale conflitto è decisamente mortale. L’individuo sotto il segno della morte e dell’annientamento totale, biologico, suicidio od omicidio, reali. Non si tratta di semplici fantasie infantili temute, ma di morte vera; come è morte quella da cancro, da infezioni, da alterazioni vascolari. Nella psicosi sono fortemente alterati i contenuti concettuali e le percezioni di tempo e di spazio. Ciò deriva dal fatto che, nello psicotico, l’eccessiva vicinanza della morte ai livelli superiori, che che padroneggiano tali coordinate, impedisce il loro funzionamento. Ciò, detto in altro modo, significa la mancanza delle possibilità stesse di distanziamento della morte. Cioè di un funzionamento mentale che abbia la capacità di percepire la morte con i suoi sistemi di avvistamento a distanza, di coordinare un’azione di difesa, di agire. La morte, intimamente mescolata con la vita, impedisce tali funzioni. Impedisce ritmi mentali di una certa ampiezza. Impedisce quindi la creazione di tempi e di spazi di attività interiore. La mente è certo importante ma mente: l’uomo odierno cerca di afferrare con la sua mente il mondo materiale atomizzandolo con definizioni, classificazioni e così via. In questo modo, cerca di contenere tutto il sapere nei libri, credendo di conoscere un mondo che rimane a lui esterno, cioè esteriorizzato. Questa cosa non è giusta, dato che conoscendo un oggetto l’uomo entra in esso (chi pensa soltanto mediante PENSATI, cioè mediante astrazioni ideologiche, non arriva all’idea vivente dell’io). Chi vive ciò che può essere vissuto nell’attività che sempre pensa, in tale sperimentare l’io, trasforma invece realtà – che sono allo stesso tempo forma e materia – in contenuti della propria coscienza. Tale contenuto è il “Sé”, che è tutto in tutti, cioè l’io superiore o il figlio dell’uomo o il risorto o il Cristo, chiamatelo come volete. E nella misura in cui nel pensare si ha il vero io come esperienza, si impara a conoscere che cosa sia la piena realtà. Si sperimenta la logica di realtà. Da qui si può procedere oltre, cioè in altri campi della piena realtà. Perché si entra nella realtà INTUITIVAMENTE: INTUS IRE, l'andare dentro, riportato nel suo vero significato di movimento vivo: proprio quello che sacerdoti dell'"ignorabimus" sacrificarono (come Kant, ad esempio) alla "fede" canina o di onice (per usare un termine di Goethe). Il momento intuitivo sfuggì loro in quanto tale momento è pre-dialettico e, come tale, il momento intuitivo NON è il presupposto della ricerca filosofica o logica, la quale può partire solo da un’idea riflessa, da una categoria, da un fatto. Invece il pensare vivente di chi apprende una verità è qualitativamente identico a quello grazie a cui tale verità è intuita da chi la enuncia: perché quella verità è reale PRIMA di essere discorso, e ritorna reale oltre il discorso. Per esempio, se dico “mi viene in mente” alludo alla mia memoria, non al ricordo proveniente dal cuore, né al rimembrare proveniente dalle membra. Ecco perché il contenuto del concetto “mente” è riduttivo. Senz’altro è giusto dire “quel tale ha una bella mente”, ma la lettura dovrebbe essere “quel tale ha un bello spirito”, e lo spirito è l’io di ognuno, dato che in ognuno dimorano memorie, ricordi e rimembranze.
Resta infine da sottolineare nella psicosi l’esistenza di intense alterazioni nell’apparato percettivo. La percezione è abitualmente rivolta verso l’esterno. L’individuo che abbia costituito un proprio elaborato di pensiero, e/o integrato un sistema di comunicazioni interne, possiede una certa sicurezza interiore, ed ha la sensazione di essere sufficientemente protetto dalla “morte” interiore, perché i suoi livelli spirituali di raccordo e di equilibrio sono tali da ovviare in buona parte alle intossicazioni ed aggressioni interne. Stando così le cose, l’ABITUDINE ad essere in gran parte rivolto verso l’esterno, che è il luogo dal quale l’individuo sente provenire la “morte” e dal quale può cercare nuova vita, il mondo esterno gli appare sempre meno prevedibile di sé stesso, perché quel mondo è da lui vissuto come più estraneo e soggetto a forze da lui palesemente non padroneggiate. Per cui il mondo esterno sembra richiedergli molta più attenzione, dato che è anche il luogo del suo ricambio vita-morte. Ciò genera di solito ricerca sessuale. Nella psicosi però la “morte” diventa internamente prevalente in misura maggiore che non all’esterno. Gli organi percettivi tendono allora a perdere la loro funzione e ad assumerne un’altra, quella di farsi dirigenti il movimento esterno dell’individuo in luogo dell’io (è l’io infatti, cioè lo spirito umano, il vero realizzatore del fare, non il nervo sensorio), vale a dire della sua lotta per la vita. Ma la pressione della morte interna fa rivolgere verso l’interno la maggior parte delle energie disponibili, ed al punto che il malato può assumere un comportamento ed una maniera di sentire molto simile a quella del sonno e del sogno, cioè di quelle fasi in cui “fisiologicamente” la “mente” si rivolge per i contatti col mondo biologico profondo. Poiché però l’individuo è abituato a percepire attraverso gli organi di senso, accade che i livelli spirituali profondi del suo io, in quanto “mentalizzati” e collegati con tali organi di senso, diano delle pseudo percezioni esterne: così come nel sogno, anche se in modo più ridotto, ma più pericoloso, data la disponibilità di una certa motilità dello psicotico.
In genere lo psicotico, più che una percezione errata simile a quella del sogno, manifesta piuttosto l’EFFETTO di questa: percepisce la stimolazione di livelli tossici e sopraffattori profondi, spesso sotto forma di frammenti di idee, e reagisce come se percepisse a livello di organi di senso. Egli invece stimola, e quasi in modo diretto, le zone cerebrali che corrispondono agli organi di senso, effetto questo della mancanza di distanza dalla “morte”: gli organi di senso sono infatti un’opera di distanziamento. Nello psicotico sono invece danneggiati nel loro funzionamento non solo dalla creduta inutilità della loro funzione che, pertanto, non corrisponde più ai livelli articolati, ma anche dalla massiccia azione dei tossici interni ed esterni che influenzano le zone cerebrali alle quali sono collegati. Si riproduce così la dinamica del sogno, in cui essi non funzionano ma SEMBRANO funzionare, dato che funzionano, relativamente, le loro matrici.
Le dinamiche allucinatorie sono però più complesse, e spesso esigono giustificazione dialettico-astratta. Nelle dinamiche allucinatorie vi è infatti sempre liberazione (anche cinetica) di livelli di memoria, in particolare di quelli d’abitudine particolarmente controllati perché ricolmi di cariche mortali.
Gran parte dello sviluppo della coscienza umana avviene in base a reazioni in merito ad esperienze lesive di origine esterna, nonché di origine ereditaria, o trasmessa all’individuo dai suoi genitori. Se tali esperienze esistono, si trovano sicuramente dentro l’individuo, e sono in definitiva connesse a parti di sé: registrazioni che significano organizzazioni mentalizzate di memorie, ma anche variazioni funzionali, perfino anatomiche, che hanno la funzione di ricordare all’io la sua esperienza passata, predisponendolo ad una lotta adeguata contro il pericolo, e di stimolarlo coscientemente a lottarvi contro: si tratta perciò di esperienze presenti e viventi all’interno di ogni essere umano, equilibrate col resto della sua vita, anche se condizionano buona parte del suo comportamento spontaneo e subconscio, o istintivo, così come accade negli animali.
In stato di psicosi, con riduzione della coscienza e delle capacità percettive del mondo esterno, tali livelli assumono prevalenza. Le memorie divengono vita attuale, mescolate con le percezioni della vita attuale reale: similmente a quelle della vita di sogno, ma in modo più contraddittorio, dato che nella vita di sogno la relativa non-dissociazione fa si che tutto l’individuo si associ al processo di sonno. Nella psicosi l’individuo sogna a pezzetti e comunica dentro di sé a pezzetti. La prevalenza degli stati di memoria, che può portare a gravi disturbi della percezione della realtà, cioè della vera morte esterna, ha un suo senso preciso, che è la pre-condizione di un funzionamento non cosciente ma subconsciamente istintivo, preso solitamente dal soggetto per proprio dono di “veggenza” o di “sensitività”, in quanto possibilità del riconoscimento primitivo e animale della strada da seguire, ma che non è altro che una strada grossolana, fatta di grossolane esigenze ma, come negli animali, relativamente sufficiente ad una certa forma di sopravvivenza.
Tuttavia è inevitabile che l’essere primitivo, che in fondo è l'essere umanoanimale della "scienza" o lo psicotico, si scontri innanzitutto con sé stesso, cioè coi suoi livelli articolati ancora funzionanti in una lotta senza quartiere; e poi anche con gli altri che lo sentono nel sua primitività, e che con una parte di loro tendono a sopprimerlo: tutti gli esseri umani sono realmente temibili per lo psicotico, perché tutti lo possono effettivamente distruggere e, a certi livelli, lo vogliono distruggere. Fanno ciò obbedendo a spontanee dinamiche vitali che tendono a rimuovere come pericoloso ciò che è avvertito come pericoloso. Lo psicotico avverte in questo modo le cose: il rapporto dell'"uomo animale" col mondo esterno è infatti comandato dai livelli più profondi e primitivi, quali possono pilotare residui dei livelli più articolati. I livelli primitivi sentono gli oggetti di percezione in modo estremo, quasi come potrebbe sentirli un organismo unicellulare, ognuno come fosse immediatamente decisivo per vita: li sentono globalmente distruttivi quando superano un certo livello interiore, di per sé però con soglia molto bassa. Le cose del mondo esterno sono tutte indirizzate al riconoscimento della benché minima pericolosità, che è sempre come ravvicinata: la ricerca della vita è, dove possibile, concentrata sull’evitare e/o combattere, i pericoli supposti o reali; le stimolazioni percettive sono di per sé stesse effettivamente dannose e la carica che abitualmente portano all’attività interiore è vissuta come pericolosa anche da sola, al di fuori delle operazioni di riconoscimento e di analisi della “morte” ad essa successive. La vulnerabilità e la carenza vitale dell’individuo sommerso dalla “morte” fanno sì che minimi oggetti di percezione possano essere soverchianti e oppressivi, in quanto non hanno sufficienti livelli di controllo e di distanziamento. Lo psicotico può essere in pratica invaso dal sup proprio percepire. Egli può avvertire come penetranti in lui oggetti, cose, rumori, stimolazioni tattili. E anche per questo è costretto a ridurre ulteriormente le sue capacità percettive. In definitiva l’individuo può essere perseguitato perfino da un oggetto inanimato. E ciò non solo per eventuali aspetti simbolici, ma per rapporti di forze con gli agenti percepiti. La percezione delle cose è infatti sempre un rapporto e perciò. in definitiva, egli oscilla tra un’anestesia delle cose ed una loro iperestesia, in modo che spesso sconcerta e fa meraviglia.
“Delirio” e fenomeni di tipo delirante sono manifestazioni certamente in buona parte effetto di proiezioni. Sono in sostanza tentativi di portare la “morte” fuori di sé. Ciò tuttavia non è sufficiente. Il delirio è un’effettiva possibilità di creare un dialogo ed una dialettica nei confronti della “morte”. Questa dinamica riesce a dare un minimo di distanza e di tempo alla lotta contro la “morte” stessa. Delirio e manifestazioni che lo accompagnano evitano le sommersioni della “morte” interna e permettono un minimale ristabilimento di alcune capacità esterne essenziali per SOPRAVVIVERE e far funzionare alcuni livelli organizzati. Questo non significa che il delirio sia un processo cosciente ed intelligente. Il delirio è un processo istintivo subcosciente di alleggerimento ed anche di esternalizzazione di tossici. Facendo funzionare certe difese e certe possibilità di lotta all’ESTERNO si riesce a farle funzionare anche verso l’interno. Ogni individuo è infatti organizzato in modo tale che la sua corrispondenza tra interno ed esterno è continua: i livelli interiori funzionano per stimolazioni esterne e viceversa. Se manca la luce non vi sono immagini e gli occhi non funzionano. Se mancano i livelli formati attorno alla visione, mancano le possibilità di vedere ulteriormente, e vi è cecità dell’io. Senza nemici esterni, l’individuo non lotta contro la “morte” interna, specie se, come nello psicotico, essa si confonde con quella esterna. L’individuo, così come la vita in genere, possiede apparati di osmosi continui, che tentano di stabilire situazioni di equilibrio tra l’esterno e l’interno, senza le quali i due mondi non sarebbero compatibili. Egualmente accade per cellule che si trovino in eccessive concentrazioni di sostanze saline cui siano permeabili, o che si trovino in carenza di acqua: possono morire distrutte. La permanenza della vita richiede possibilità di osmosi non distruttive, dunque equilibrio tra gli esseri viventi e il mondo esterno, e non solo per i rapporti biochimici ma anche per quelli spirituali (o immateriali), i quali sono equivalenza di quelli biochimici .
Le cause delle psicosi sono dunque riassumibili nella prevalenza della morte dell’io durante lo svolgimento della lotta tra vita e morte a livello superiore o, perlomeno, a livelli che interessino in maniera prevalente il livello spirituale (sovrasensibile).
La psicosi può essere determinata in maniera congenita. Ciò accade quando è trasmessa all’individuo una carica di prevalente “morte” prima ancora della nascita. Può avvenire per l’incontrarsi nell’unione gametica di aspetti mortiferi complementari, così come accade per malattie congenite biologiche. Tali aspetti possono anche svilupparsi tardivamente o dare segno di sé all’inizio della vita, dove tendono ad apparire in forme organiche, che si evidenziano, appunto, con deficit neurologici. Talvolta invece, specie se trovano stimolazioni ambientali (per esempio da parte dei genitori, nella stessa linea delle stimolazioni congenite), possono precocemente dare invasioni mortifere da parte dei livelli congeniti stessi, così come accade in alcune psicosi infantili, in genere mal distinguibili da forme chiaramente organiche degenerative. La psicosi può comunque insorgere in età infantile se la carica ambientale è distruttiva a livello interiore. Per esempio, un eccesso di odio genitoriale, seppure inconscio, può portare ad alterazioni di fondo nell’attività interiore, sensibilissima e condizionabile del bambino, che daranno segno di sé quando si saranno in lui manifestati aspetti interiori più articolati.
In genere però le psicosi insorgono quando la vita richiede la mobilitazione di aspetti di lotta individuale indipendenti. Allora bisogna affrontare la “morte” coi propri mezzi. Se questi non sono sufficienti, l’individuo può perire interiormente, specie col primo determinarsi della necessità di assumere su di sé pesi e responsabilità personali, e specie se altri individui non permettono la liberazione delle sue capacità e delle sue prerogative, in quanto avvertono ciò come una sottrazione di vita per loro stessi. È il caso di certi genitori che “si nutrono” dei loro figli, o di certi personaggi dirigenti che necessitano di “nutrirsi” dei loro dipendenti oppure proteggersi per mezzo loro. Spesso tali rapporti di reciproca necessità sono rispettivamente condizionati, per cui più individui hanno divisi tra loro i compiti della lotta contro la “morte”, per cui non è possibile sottrarsi, perlomeno bruscamente, alla situazione di gruppo per ognuno di loro. In tali casi l’interdipendenza è enorme e gli effetti di certe “liberazioni” possono essere letali.
In definitiva la psicosi, come ogni altra evenienza delta vita, può essere determinata da forze esterne e da forze interne. La possibilità di “psicotizzazione” da parte di elementi esterni è ancora scarsamente compresa. È invece tenuta in grande evidenza da popoli e da culture primitive. Nella nostra cultura la si ritrova in MITI (per esempio del Minotauro, o di Narciso, Icaro, ecc.), fiabe e religioni. È un fatto comune e corrisponde ad un effetto logico dell’interazione di forze complementari. Nel contatto tra individui diversi, posto che vi sia uno scambio, i risultati saranno quelli determinati da tale scambio. Ciascuno darà di sé, per quei livelli ed aspetti che sono suscettibili di essere scambiati. Tra un individuo relativamente vivo ed uno relativamente morto, posto che esistano certe condizioni di contatto, di tempo, di spazio e di sensibilità, ci sarà uno scambio di prevalenze che potrà essere determinante. La vita tende ad adattarsi, non solo, ma cerca di affermare sé stessa e di trovare un livello di tollerabilità trasformandosi e trasformando l’ambiente esterno e quindi anche gli altri aspetti vitali.
L'"uomo animale" tende, subconsciamente, istintivamente, a psicotizzare. Il “sano” tende a rendere l’altro simile a sé oppure, invece, a respingerlo. Ciò non significa che gli psicotici siano particolarmente potenti. Sono meno potenti dei “sani”, cioè di quelli che hanno solidi livelli superiori a loro disposizione. Tuttavia gli psicotici agiscono spesso in modo inavvertibile – perché non evidente – ma sempre a livello molto profondo. La pericolosità sta nel non riconoscere la relativa penetrabilità, così come è pericoloso non riconoscere la mortalità di certe ideologie e dottrine politiche che conducono alla distruzione o all’insensatezza.
Per ciò che concerne gli elementi influenzanti esterni vi sono anche diverse situazioni ambientali che possono spingere alla morte. Se assorbite, possono indurre psicosi quando divengono prevalenti sugli individui al punto da creare rottura, cioè alterare il loro individuale riconoscimento della realtà, la loro personale lotta contro la “morte”. Certe situazioni di vita, certi influenzamenti, certi condizionamenti non sono per tutti tollerabili e possono mettere in minoranza alcuni livelli superiori degli individui, soprattutto nel caso di individui che li abbiano fortemente sviluppati.
La sopraffazione dei livelli superiori di persone fortemente cerebralizzate può essere foriera di psicosi, perché fa degenerare le strutture organizzative, riempiendole di materiale estraneo. Ciò accade anche in conseguenza di ideologie e di regimi di vita violentanti. Tuttavia la costituzione di livelli esterni ideologici e collettivi può essere per altri rassicurante, in quanto crea capacità e possibilità individualmente non raggiungibili. L’ideologizzazione e l’irreggimentazione, collettive, causano la distruzione degli individui più evoluti e la pseudo-vitalizzazione e la pseudo-valorizzazione dei meno evoluti, i quali guidati da livelli mentali artificiali, sembrano averli raggiunti per proprio conto. Creano perciò una tale negazione della “morte”, che porta alla morte stessa di un gruppo così organizzato.
I fattori interni dell'"uomo animale" sono perciò determinati dall’evoluzione di aspetti interni che si rivelino malati. Per esempio certe maturazioni sessuali, amorose o ideologiche mostrano residui di “morte” di antica provenienza. Però, in genere, vi è un sommarsi di fattori esterni e fattori interni. In tal modo, elementi di penetrazione tossica esterna, con difficoltà di smaltimento e di comprensione di situazioni lesive, si accompagnano con emersioni di aspetti congeniti. Inoltre il progressivo trascorrere del tempo, con il crescere delle stimolazioni da assorbire e il decrescere della capacità reattiva, fa sì che l’individuo possa arrivare a punti di saturazione che diano segno psicotici di sé.
È da sottolineare che la morte avanza sempre col proseguire della vita. Ciò è avvertito biologicamente quando i nostri apparati entrano in crisi in toto, cioè quando devono fronteggiare qualcosa di nuovo, dunque: alla nascita, allo svezzamento, nei vari distacchi, nella pubertà, negli incontri amorosi, nelle paternità e maternità, nonché all’inizio dell’invecchiamento, e nelle malattie; insomma ovunque la “morte” prenda piede, e ovunque debba essere combattuta, specialmente dove i livelli di attività interiore non possano agire coscienti dell’entità della battaglia da svolgere, e dove quindi l’io è dominato dalla paura, in quanto non è in grado di padroneggiare il dolore, ed altresì non solo dove l’attività interiore è messa in ombra dal corpo, dal gruppo, e dagli altri, ma anche dalle diverse esigenze dello spirito individuale stesso o io.
L’azione della cosiddetta società (cosiddetta in quanto pensata come MODELLO anziché come ORGANISMO) tende a scaricare la “morte” sugli individui che in qualche modo lo permettono. Questo fa parte della sua economia. Si tratta di un’opera di proiezione ma anche di concentrazione di livelli nevrotici endopsichici. Si può pertanto dire che la psicosi dell’individuo è la nevrosi della “società”, la quale, in definitiva, per i suoi livelli che ne fanno una sfera astratta estremamente grossolana e terrorizzante (anziché un organismo vivo), si serve dello psicotico come punto di scarico della “morte” che la pervade. Ecco perché l'"uomo animale" della "scienza" è funzionale alla "scienza" stessa.
Tuttavia anche l'"uomo animale" fa parte dell’organismo sociale ed è responsabile della formazione di tale organismo, così come una cellula malata è parte di un organismo più complesso e ne rappresenta una frazione di morte. L'"uomo animale", facendo parte dell’astratta “società”, difficilmente può lottare con questa. Del resto la lotta è inadeguata e già segnata nei risultati. La creazione di psicotici da parte della società astratta non è facilmente prevedibile, né arrestabile, perché il continuativo riassorbimento dello psicotico nell’ambiente sociale astrattizzato può essere peggiore per lui che non un respingimento: tale “società” lo uccide più facilmente se mostra di accoglierlo, più di quanto non sarebbe se lo respingesse e/o lo riconoscesse per quello che è. Che egli muoia per una malattia organica, per un suicidio, o per omicidio, non fa molta differenza. Non ha però senso dire che la società forma gli psicotici, e poi sostenere che la stessa li debba assorbire. Meglio sarebbe difenderli da essa invece di affidarglieli d’improvviso dimenticandone e negandone le qualità mortifere. Questo però può attuarlo solo l'individualità etica (individualismo etico) in sé. Il problema è "solo" questo.
Si è discusse e ancora si discute sull’eziologia della nevrosi e della psicosi contrapponendo teorie organicistiche a teorie psicogenetistiche. Ciascuno dei due gruppi di sostenitori di tali opposte teorie sembra spaventato che l’altro possa avere ragione e distruggere tutta la sua impalcatura teorica. In realtà il bisticcio esiste solo nei rispettivi PRE-GIUDIZI. Il bisticcio risente delle limitazioni della nostra cultura, nonché delle impostazioni spiritualistiche, cattolicistiche ed anche di altre, che vollero l’individuo distinto in corpo e spirito anziché in corpo anima e spirito (tricotomia). Tale bisticcio è comunque sempre una difesa contro la “morte” e quindi un tentativo di isolarla in uno specifico livello. Ecco perché oggi la “morte”, anche se non identificata come tale, è isolata da alcuni nel “nel corpo”, da altri nella “psiche” o anima.
Poiché la mente è per il materialista una parte dell’essere umano-animale, avente come controparte materiale il cervello, è chiaro che tutto ciò che le accade è preso per organico. Ma è anche chiaro che tale organicità non significa sempre alterazione macroscopica o microscopica rilevabile nel cervello (e qui sta la contraddizione scientifica del materialismo nella cultura odierna), anche se in qualche caso di psicosi inveterata possono apparire lesioni evidenti.
Molte alterazioni possono invece essere percepibili e risanabili solo ATTRAVERSO la metamorfosi di organizzazioni e strutture sedicenti spirituali o “di pensiero”, cioè studiando il pensare. Il pensare è, di per sé, antimateria, dunque RISANABILE ATTRAVERSO metamorfosi di strutture riconosciute IMMATERIALI, anche se ancora oggi esse non possono essere apprezzate come tali da organi di senso rivolti solo verso l’esterno (è comunque sempre l’io, cioè l'individuo non l’organo di senso, che può apprezzare o non apprezzare qualcosa). Ecco dunque come alterazioni mentali impercepibili possono diventare alterazioni cerebrali percepibili.
Il problema non è dunque quello dell’organicità o della psicogenicità del disturbo, ma quello della sua prevalenza, ad un determinato livello dell’attività interiore umana, della sua transitabilità verso gli altri livelli e della sua eventuale reversibilità verso alterazioni sempre meno grossolane, fino alla guarigione
A me pare che molte cause sono intercambiabili e che molte alterazioni quindi possono avere origini anche opposte. Tuttavia, in genere, una stimolazione che sia in sé meramente mentale, o che si manifesti attraverso mezzi meramente mentali, tende a dare alterazioni meramente mentali. Il contrario accade per stimolazioni che siano, nelle loro manifestazioni, non mentali ma spirituali, cioè di uomini ancora OMINALI, che non abbiano smarrito la loro umanità.
BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE
Ignazio Majore, “Morte, vita e malattia. Introduzione all’analisi mentale”, Ed. Astrolabio
Rudolf Steiner. "L'individualismo Etico" in "La filosofia della libertà", Ed. Antroposofica
Rudolf Steiner "Come si opera per la triarticolazione sociale. Corso per oratori", Ed. Antroposofica
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