NATURA VERTEBRALE

E APOCATÀSTASI DELL'IO

Benvenuti nella pagina sulla natura vertebrale e la reincarnazione (apocatàstasi, Atti degli Apostoli 3, 21) dell'io. Qui puoi approfondire la relazione tra questi concetti e scoprire risorse per ulteriori approfondimenti.

La filosofia naturale è nata in Germania con i volumi di Goethe sui fiori e con la famosa allocuzione di Lorenz Oken a Jena nel 1807.

La foglia per Goethe riassumeva l’albero. Allo stesso modo la vertebra riassumeva lo scheletro.

Approfondite la relazione tra la tri-articolazione dell'organismo sociale e l'organismo vivente della natura umana, comprensiva dei sistemi metabolico, cardio-respiratorio e nervoso.

 

Oken immaginava emergere dalle acque primordiali una sacca di plastica materia che, aspirando ed espellendo il muco circostante, si consolidava e diventava vertebra. Quella sacca primordiale era per lui la membrana che ospitava l’etere vitale del cosmo; ancora oggi su questa immagine si ragiona, domandandosi come nacque, ipotizzando che molecole composte di una parte idrofoba e una idrofila si congiungano esponendo all’esterno le parti idrofile e all’interno le opposte. Si tratta di molecole di idrocarburi, ritengono i più. Per Oken si diramavano, dalla vertebra primordiale, altre vertebre in fila, così che i due capi si chiudevano a formare teschio e pelvi, quindi tutta la varietà degli scheletri si snodava a quel modo.

In questo contesto, le vertebre appaiono come teschi non ancora sviluppati.

L’allievo di Oken, Louis Agassiz, emigrato a Boston, aveva fondato su questa idea il museo di zoologia comparativa, che illustrava anche la sua teoria delle glaciazioni.

 

Allievo di von Humboldt, Agassiz piacque ad Emerson che, «nel saggio “The Poet” del 1847, sulla sua scia esaltava Oken. Il passaggio dall’apparenza visibile all’invisibile sublimità della natura lo compiva osservando intensamente le foglie-alberi, le vertebre, gli occhi, il sangue che contiene il corpo, il ritmo battuto dal sangue, il vino che nutre il sangue, il fuoco che lo esprime e consuma.

Ma l’apice di questa fusione ed esultanza fu raggiunto da David Thoreau. Con austera ebbrezza egli ci trasmette l’avvolgersi della foresta attorno all’uomo, la vita complessa del lago dove ogni varietà di calore misura l’afflusso dalle sorgenti nascoste, dove ogni ansa della riva risponde all’ondeggiare della piana circostante. Thoreau assorbì completamente la loro lezione» (Elémire Zolla, “La filosofia perenne”, Ed. Mondadori, Milano 1999, p. 107), rifiutando anche lui lo Stato.

Fisica e Antroposofia

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Carme e Karma appartengono al senso stesso della poesia. La radice sanscrita "kri" di "karma" è presente anche nel latino "creare". "POESIA", in greco antico: "poìesis", significa "PRODUZIONE". Secondo Oken, Goethe, e R. Steiner, la forma della nostra testa è la necessaria risultante di azioni delle nostre membra da un'incarnazione all'altra (apocatàstasi) nel ciclo delle ripetute vite terrene. Tale plastico rovesciarsi di forze vitali è l'antica conoscenza ebraica del "ghilgal".

«La risoluzione del caos sociale in cui è piombato l'uomo mascherato per paura di morire potrebbe inverarsi innanzitutto da qui, come necessità di aprirsi alla conoscenza della morte. Nessuno sa perché si muore ma tutti i portatori di io lo possono sapere nella misura in cui osservino come l’io contenga in sé tanto la morte quanto la rinascita. Questo è percepibile da tutti non come dimostrazione scientifica materiale o sensibile della restaurazione (apocatàstasi, reincarnazione dell’io, ciclo delle ripetute vite terrene, cfr. Atti 3,21, in ebraico ghilgal: גלגל), ma in modo interiore, sovrasensibile, dato che la scienza della materia può accedere solo a enti materiali percepibili dai sensi creduti cinque mentre (ma sono dodici e lo mostrerò). Non andrebbe comunque mai dimenticato che la dimostrazione scientifica di qualcosa è sempre immateriale, cioè costituita di pensare, la cui concreta consistenza è sempre anti-materiale (il pensare, per sua natura va sempre al di là dell’oggetto osservato, formando gli stessi concetti di soggetto e oggetto)» (Nereo Villa, “Aporie”, pag. 104 e seguenti).

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