NON ESISTONO NERVI MOTORI

Benvenuti nella pagina di Marameo dedicata all'idea "NON ESISTONO NERVI MOTORI". Questa idea si riferisce alla falsità della dottrina dei nervi motori e alla sua esplorazione approfondita all'interno delle tematiche trattate su questo sito.

Approfondimenti su "NON ESISTONO NERVI MOTORI"

Queste idee sono esaminato in relazione alle questioni epistemologiche e alle proposte di risoluzione presenti sul sito. Attraverso un'analisi approfondita, si evidenziano le contraddizioni nelle discipline scientifiche e umanistiche. L'obiettivo di Marameo è offrire soluzioni culturali, giuridiche ed economiche per il futuro SABATO PER L'UOMO.

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Sulla falsa dottrina dei nervi motori

L’attuale medicina tendente al materialismo gnoseologico distingue nel sistema nervoso i nervi motori e i nervi sensori. Questa distinzione è descritta da Steiner come una superstizione, una follia della fisiologia, del tutto priva di senso:

“[…] per determinare questa dottrina che si affaccia ovunque nella fisiologia, è occorso effettivamente che la fisiologia perdesse prima ogni raziocinio. Tuttavia è questa dottrina, riconosciuta oggi in tutto il mondo, ad ostacolare ogni vera conoscenza della natura del pensare e della natura dell’attività interiore. Mai potrà il pensare umano essere riconosciuto, fino a quando la fisiologia ne ostacolerà in tal modo la conoscenza” (R. Steiner, “Il pensiero cosmico”, Ed. Basaia, Roma 1985, pp. 94-95).

La conoscenza della natura del pensare, del sentire e dell’agire è impedita del tutto da questa falsa dottrina dei nervi motori. Da qui si genera il fenomeno del “groupthink”, (“pensiero di gruppo”), che non è altro che una forma di schiavitù, oltremodo pilotabile, da pesci grossi che mangiano i piccoli, come sempre è avvenuto nella storia dei movimenti politici in cui il collettivo coarta l’individuo, cioè l’io.

La convinzione che sia il cervello a pensare, sentire e volere, e che sia sempre il cervello a vivere e morire (di “morte cerebrale”) è una forma di fissazione, regolarmente insegnata ogni giorno e da secoli nelle scuole di Stato come cultura dell’obbligo. Da questo “cefalocentrismo” o monoideismo di Stato, o autismo culturale di Stato nasce infatti la tragedia dell’odierno ambientalismo, forma di patologia psichiatrica, i cui sintomi sono ad esempio percepibili a livello planetario, nei seguaci di Greta Thumberg, che nulla sanno di clima, com’è stato dimostrato in occasione delle loro manifestazioni quando, chiunque di loro, intervistato sul perché si trovasse lì, non ha saputo rispondere. Allo stesso modo chi si identifica in animali – si veda per esempio il movimento delle cosiddette “sardine” – nulla sa dell’individuo umano o dell’io, e si muove solo come seguace di un collettivo. L’individuo affetto da questa forma patologica si convince di essere in una posizione eticamente superiore: paradossalmente in base alla superstizione che il soggetto di questa superiorità non è l’individuo ma il collettivo.

Al di là di queste considerazioni psicosociali, resta comunque il fatto che i nervi non sono motori.

Il seguente testo è il mio rifacimento di uno scritto di Lucio Russo (1940-2018) intitolato Nervi “sensori” e nervi “motori” pubblicato nel 1998 sulla rivista “Kairós”. Ricordo che gli inviai una mail, perché al lettore premetteva che nessuno si era finora occupato del problema. Quindi confutai questa sua generalizzazione, perché io ne avevo parlato. Da lì nacque la nostra virtuale amicizia, che durò fino alla sua morte nel 2018. Il 2 maggio 2015 avevo  pubblicato il pdf gratuito https://digilander.libero.it/VNereo/R_Steiner-Enigmi-dell-anima.pdf con la seguente informazione: "Le basi del “sabato per l’uomo” sono gli enigmi dell’anima dell’uomo finalmente risolti. Senza la risoluzione di questi enigmi è impossibile parlare correttamente del sabato, cioè dell’organismo sociale che dovrebbe conformarsi secondo l’organismo umano. Solo se nell’uomo la tri-articolazione del pensare, del sentire e del volere ispirerà la tri-articolazione dell’economia, del diritto e della cultura, si attuerà tale “sabato” sociale, secondo individualismo etico (o individuale epicheia)".

Quanto segue è il testo di Lucio Russo, da me curato.

***

Il sistema nervoso – recita un testo di divulgazione medica – può essere schematizzato come un grande complesso automatizzato fornito di dispositivi periferici di esplorazione: i recettori; di stazioni riceventi e trasmittenti: il midollo spinale, il midollo allungato, il ponte, il mesencefalo e il talamo; di un apparecchio di coordinazione: il cervelletto; di un centro: la corteccia cerebrale, in cui, valutate le informazioni ricevute, vengono elaborate le opportune istruzioni; tali istruzioni si dirigono o alla muscolatura liscia e alle ghiandole attraverso l’ipotalamo e il sistema simpatico, o alla muscolatura striata volontaria attraverso i grossi neuroni localizzati nelle corna anteriori del midollo spinale” (Consulenza di P. Tonali in “I grandi temi della medicina: il sistema nervoso”, Ed. Fabbri, Milano 1978, vol.1°, p.72).

Comincio quindi dai “dispositivi periferici di esplorazione” o “recettori”.

Quali terminazioni nervose degli organi di senso, questi “recettori” accolgono gli stimoli e li trasformano in impulsi nervosi.

Ma che cos’è lo stimolo? A questa domanda, lo stesso testo così risponde: “Lo stimolo è una qualsiasi modificazione dell’ambiente la cui applicazione suscita l’insorgere di un impulso” (ibid., p.25).

Ma già qui vi è contraddizione: “stimolo” e “impulso” sono la stessa cosa (sono sinonimi) ma se per gli organi di senso lo stimolo è “modificazione dell’ambiente”, significa necessariamente che NON è stimolo. Infatti una cosa è lo stimolo, altra la modificazione nell’ambiente provocata dallo stimolo.

Dal momento che uno stimolo viaggia sempre da un soggetto o da un oggetto “trasmittente” (il percepito) a un soggetto “ricevente” (il percepente), la “modificazione dell’ambiente” è solo l’effetto prodotto nel mezzo (vale a dire in ciò che sta fra il primo e il secondo) dal suo passaggio.

In ciò, la neurofisiologia odierna segue l’insegnamento della fisica. Il suono, ad esempio, è presentato come “sensazione”, cioè come il modo in cui sono soggettivamente sperimentati gli stimoli provenienti dal movimento vibratorio di particelle appartenenti a un mezzo elastico gassoso, liquido o solido.

La fisica si occupa dunque del suono quale effetto (quantitativo o commensurabile) della vibrazione di particelle, ma non del suono quale causa (qualitativa o incommensurabile) del fatto che tali particelle si siano messe a un certo punto a vibrare; né considera che la natura degli effetti prodotti nel mezzo dall’attraversamento dello stimolo dipendono più dalla natura del mezzo che non da quella dello stimolo.

Osserva appunto Steiner: «Non si può spiegare uno dei gruppi di qualità del mondo dei sensi: luce, colori, suoni, odori, sapori, condizioni di calore, ecc., “dissolvendolo” nell’altro gruppo di qualità del medesimo mondo sensibile: grandezza, forma, posizione, numero, energia, ecc.» (R. Steiner, “Le opere scientifiche di Goethe”, Ed. Melita, Genova 1988, p.223).

Dice ancora il sopracitato testo: “La modificazione che deve avvenire nella membrana (della cellula nervosa) perché scatti l’impulso avverrà solo quando lo stimolo avrà raggiunto una precisa intensità: lo stimolo che presenti queste caratteristiche viene definito stimolo soglia” (Tonali, op. cit., p. 31).

Insieme all’intensità dello stimolo, andrebbe però valutata anche l’intensità dell’attenzione che gli viene rivolta. Infatti si realizza un contenuto di percezione tanto nel caso in cui si rivolge una forte attenzione a uno stimolo debole quanto in quello in cui si rivolge una debole attenzione a uno stimolo forte.

Al riguardo (e riferendosi alle ricerche del neurofisiologo americano Roland sull’“effetto del pensiero sulla corteccia cerebrale”), John C. Eccles (Nobel, nel 1963, per la neurofisiologia) riferisce: “Quando il soggetto prestava attenzione a un dito sul quale stava per essere applicato uno stimolo tattile appena percettibile, si osservava un aumento del flusso sanguigno cerebrale nell’area del tatto corrispondente al dito, nella circonvoluzione post-centrale della corteccia cerebrale, come pure nella regione prefrontale. Tale aumento doveva essere dovuto all’attenzione mentale, perché durante la registrazione non era applicato alcuno stimolo” (J. Eccles, “Come l’io controlla il suo cervello”, Ed. Rizzoli, Milano 1994, p. 110).

Naturalmente, al di sotto di una determinata soglia, neanche una forte attenzione potrebbe tramutare uno stimolo in un contenuto di percezione. L’oggetto di percezione è infatti il risultato dell’incontro o dello scontro di uno “stimolo-soglia” con un’“attenzione-soglia”: è cioè il risultato di un’interazione tra il soggetto o l’oggetto che produce lo stimolo e il soggetto che produce la reazione o la risposta (l’immagine percettiva).

Ciò premesso, si esamini ora la natura del cosiddetto “impulso nervoso”.

In genere, questo impulso è presentato come una variazione transitoria del “potenziale di membrana in seguito all’applicazione di uno stimolo” (Tonali, op.cit., p.25).

Siamo dunque ritornati al punto di partenza: così come lo stimolo è stato prima ridotto alla “modificazione dell’ambiente”, allo stesso modo l’impulso viene ora ridotto alla “transitoria variazione del potenziale di membrana” della cellula nervosa.

Si persevera quindi nell’ignorare il fatto che tanto lo stimolo quanto l’impulso sono essenzialmente animati da quel contenuto dell’oggetto di percezione che, avendo intrapreso il viaggio dal mondo verso l’io, si manifesta in modi tanto diversi quanto diversi sono i mezzi che deve attraversare.

Osservando una persona che, giunta in riva al mare, si spoglia e vi si tuffa, non posso parlarne come se si trattasse di due persone diverse, l’una “terrena” e l’altra “marino”, dal momento che le tracce o i segni del suo procedere si manifestano, prima, come orme solide e, poi, come scie liquide.

Anche volendo differenziare lo stimolo dall’impulso precedentemente visti come sinonimi, è comunque sempre il recettore a tramutare lo stimolo in impulso: “Questo – dice appunto il testo – è un’ingegnosa macchinetta sensibile agli stimoli e fatta apposta per trasformarli in impulsi nervosi con la massima efficienza” (ibid., p. 39).

È dunque in virtù dell’eccitabilità della cellula nervosa che si genera l’impulso, ed è in virtù della sua conduttività che lo stesso si propaga poi lungo le vie nervose per raggiungere la corteccia cerebrale (dopo aver attraversato le diverse “stazioni riceventi e trasmittenti” e l’“apparecchio di coordinazione”).

Il sistema nervoso – ci viene infatti spiegato – è una struttura formata da cellule altamente organizzate, capaci di condurre e trasmettere segnali specifici con elevato grado di fedeltà e in tempo molto breve. I segnali trasmessi riguardano lo stato dell’organismo rilevato da specifici recettori distribuiti in ogni sua parte e trasmessi al sistema nervoso centrale lungo le vie della sensibilità; riguardano inoltre l’ambiente esterno e la sua azione sull’organismo alla quale sono sensibili recettori altamente specializzati (come quelli ottici, acustici, ecc.), i cui segnali sono pure avviati al sistema nervoso centrale lungo vie nervose specifiche: accanto ai segnali che afferiscono al sistema nervoso centrale, vi sono segnali che da questo raggiungono la periferia lungo vie efferenti motrici e modificano lo stato dell’ambiente organico o controllano le attività volontarie. Fra vie afferenti e vie efferenti, il sistema nervoso centrale, che ne integra il lavoro a vari livelli che culminano nel cervello, complessa formazione capace di elaborare i segnali che riceve, di memorizzare informazioni, di prendere decisioni, e che pertanto costituisce l’organo di controllo del comportamento (ibid., pp.14-15).

Ecco dunque mostrarsi il problema dei nervi “sensori” e dei nervi “motori”. Come ho appena mostrato, le vie “ascendenti” o “afferenti” della “sensibilità” sono ben distinte da quelle “discendenti” o “efferenti” della “motilità”.

Eppure, così com’è facile capire che non esistono salite e discese se non in rapporto al senso di marcia di colui che le percorre, allo stesso modo dovrebbe essere facile capire che non esistono vie “ascendenti” e vie “discendenti” se non in rapporto al senso di marcia dell’impulso che le percorre.

Ma perché allora non lo si capisce? La risposta non può che essere la seguente: si omette di distinguere la natura extrasensibile dell’essenza dell’impulso da quella sensibile delle vie attraverso le quali si propaga; inoltre non si sa o non si vuole tener conto del fatto che il senso di marcia conoscitivo o noetico, che va dal mondo all’io (dall’oggetto di  percezione al concetto, passando prima per i nervi), è l’inverso di quello comportamentale o etico che va dall’io al mondo (cioè dal concetto all’oggetto di percezione, passando dopo per i nervi). 

PERTANTO NON ESISTONO NERVI “SENSORI” E NERVI “MOTORI”. ESISTONO INVECE PROCESSI “SENSORI” E PROCESSI “MOTORI” CHE, PER MEZZO DEL SISTEMA NERVOSO, ARRIVANO “A-PRIORI” O “A-POSTERIORI” ALLA COSCIENZA (NELLA SFERA CENTRALE) O NON VI ARRIVANO AFFATTO (NEL CASO DELLA SFERA AUTONOMA).  

L’intero sistema nervoso è al servizio della mera sensibilità. L’ormai affermata distinzione (anatomica) tra i due tipi di nervi è solo la conseguenza di una ingenua e/o primitiva reificazione della natura qualitativa e dinamica degli impulsi.

La terminologia (elettromeccanica e informatica) degli specialisti non aiuta a chiarire il problema.

Perciò parlerò d’ora in poi di viventi contenuti concettuali o ideali (l’idea è un insieme di concetti) che, attraversando ogni volta l’attività interiore (o anima), vanno dal mondo (o dal corpo) all’io (allo spirito), impegnando prevalentemente il pensare, oppure vanno dall’io (dallo spirito) al mondo (o al corpo), impegnando prevalentemente il volere, anzi l’agire (dato che l’intenzione a volere è ancora pensare). 

Dico infatti “prevalentemente” in quanto il pensare e il volere non sono mai totalmente disgiunti. Dietro il pensare cosciente c’è sempre un volere incosciente, così come dietro il volere cosciente c’è sempre un pensare incosciente.

Più che di un “pensare” e di un “volere”, si dovrebbe perciò parlare di un “volere nel pensare”, che si manifesta ad esempio nell’attenzione, e di un “pensare nel volere”, che si manifesta ad esempio nell’intenzione. “L’attenzione – osserva appunto Eccles – agisce allo stesso modo dell’intenzione […]. Si può ipotizzare che un io sia in grado, attraverso l’attenzione, di attivare con la volontà parti selezionate della neocorteccia” (J. Eccles, op. cit., pp. 205-206).

La stessa neurofisiologia, d’altronde, distingue, sì, tra nervi “sensitivi” e nervi “motori” somatici e viscerali, ma ci fa poi sapere che i nervi che svolgono una sola di queste funzioni “sono detti nervi puri”, mentre quelli che sono “contemporaneamente sensitivi somatici e motori somatici (o anche che sono contemporaneamente somatici e viscerali) si dicono nervi misti” (Tonali, op.cit., p. 61): ci fa dunque sapere che non sono necessari due nervi differenti per assolvere due diverse funzioni.

Ma come ho appena detto, tutte queste vie, in quanto “nervose” (cioè in quanto appartenenti alla corporeità senziente (antroposoficamente: corpo senziente), sono sempre e soltanto vie della sensibilità: cioè il necessario supporto delle attività più o meno coscienti dell’anima. Grazie alla loro mediazione “apriori”, l’uomo riesce ad avere coscienza degli stimoli e, grazie alla loro mediazione “a-posteriori”, dei suoi stessi movimenti.

I vari dottor Balanzone di questa storia del malaffare, che loro malgrado, scandalizzandosi per questa affermazione, segnarono il livello del decadimento culturale, sociale ed economico dell’intero pianeta, dovranno riflettere su questa realtà: “I nervi sono TUTTI organizzati in modo unitario ed hanno TUTTI un’unica funzione. I cosiddetti nervi di moto si differenziano dai cosiddetti nervi di senso per il fatto che questi ultimi sono organizzati per mediare la nostra percezione del mondo esterno, mentre gli altri, cosiddetti di moto, servono alla percezione dell’organismo stesso. Un nervo di moto non è destinato ad attuare il movimento della mia mano (sarebbe una mera assurdità), ma è destinato alla percezione del movimento della mano, dunque a una percezione interna; il nervo di senso serve invece alla percezione del mondo esterno” (R. Steiner, “Il karma e le professioni in relazione alla vita di Goethe”, Ed. Antroposofica, Milano 1976, p. 5).

In particolare, nell’encefalo e nei nervi cranici (cioè in quella parte del corpo senziente in cui l’attività dell’io prevale su quella del corpo in movimento), essendo soprattutto attivo – cioè eccitato nello stato di veglia – il volere entro il pensare, la consapevolezza del pensare (della forma) è attivata, mentre quella del volere (della forza) è inibita; nel sistema nervoso autonomo, vegetativo o simpatico (cioè  in quella parte del corpo senziente in cui l’attività eterica prevale su quella del movimento), essendo soprattutto attivo – nello stato di sonno – il pensare entro il volere, è attivata (cioè eccitata) la consapevolezza del volere (della forza) e inibita quella del pensare (della forma); nel midollo e nei nervi spinali (cioè in quella parte del corpo senziente in cui l’attività del movimento prevale sull’attività eterica e su quella dell’io), essendo soprattutto attivo – nello stato di sogno – il sentire, è eccitata (o attivata) la consapevolezza di quest’ultimo e sono inibite sia quella del pensare che quella del volere (cambiando punto di vista, questa descrizione dei tre “distretti” del sistema nervoso può ovviamente risultare diversa. Steiner, ad esempio, mette anche in rapporto il “sistema nervoso cerebrale” con la vitalità (corpo eterico), il “sistema nervoso spinale” col corpo del movimento (astrale) e il “sistema dei gangli” con l’io – cfr. ibid., p. 59 -, non mancando però di ricordare che “con una sola descrizione non possiamo mai abbracciare l’intera verità, ma necessariamente ne offriamo solo una parte; dobbiamo perciò cercare luce da punti di vista sempre diversi, per riuscire a illuminare nel modo giusto l’aspetto della verità che abbiamo voluto presentare”: ibid., p. 57).

Dice al riguardo il testo di consulenza medica prima citato: “Il meccanismo basato sul gioco alterno dell’eccitamento e della inibizione è considerato ormai un elemento fondamentale nella spiegazione di tutti gli atti del sistema nervoso” (Tonali, op. cit., p. 38), precisando, però, che NON esistono “due tipi di impulsi nervosi”, ma che, con ogni probabilità, sono “due diverse sostanze chimiche” (non ancora “esattamente” individuate), a fare da mediatrici alla eccitazione e alla inibizione (cfr. ibid., p. 38).

Se però tali “sostanze” fanno solo “da mediatrici alla eccitazione e alla inibizione”, dovrebbe essere chiaro allora che anche nel caso in cui fossero “esattamente” individuate non servirebbero affatto a risolvere il problema dell’intrinseca diversità dei due impulsi.

All’origine, è vero, non esistono “due tipi di impulsi nervosi” (essendo l’io uno), ma è anche vero che la forza unitaria dell’io si articola e si differenzia poi, nell’essere umano, nelle tre forme qualitativamente diverse del pensare, del sentire e del volere.

Questa tri-articolazione della vita dell’attività interiore o dell’anima si riflette in quella del corpo senziente e – com’è accertato dalla stessa neurofisiologia – in quella del cervello. Nell’uomo – ricorda infatti il sopracitato testo – “è possibile riconoscere tre tipi di cervello: quello dei Rettili, quello dei Mammiferi arcaici e quello dei Neo-mammiferi. Radicalmente differenti l’uno dall’altro sia dal punto di vista strutturale che biochimico, si fondono nell’uomo in un’unica entità funzionale” (ibid., p. 17).

Per comprendere l’origine della differenza tra eccitazione e inibizione, è decisivo accorgersi che la qualità “infiammatoria” (vitale o calorica) del volere è opposta a quella “sclerotizzante” (formale o salina) del pensare, e che tutto il nostro organismo (a partire dalla sfera mediana del sentire) è pervaso e animato da un’attività ritmica che si palesa quale alternanza: sul piano nervoso, di eccitazione e inibizione, sul piano respiratorio, di inalazione ed esalazione, e su quello cardiocircolatorio, di diastole e sistole.

Risalendo le vie nervose, l’impulso arriva infine al cervello. Per la neurofisiologia, che considera la sola realtà del corpo, tutto finisce qui o, per essere più precisi, in una delle cosiddette “aree sensitive” della corteccia. Tali “aree sensitive” costituirebbero quindi il punto di arrivo degli impulsi sensitivi, mentre le “aree motorie” del corpo costituirebbero “il punto di partenza degli impulsi motori volontari” (ibid., p. 13).

Il cervello, dunque, sarebbe non solo il soggetto intelligente, cioè capace – come è spiegato nel testo – di “pianificare l’azione”, adeguandola “alle informazioni che giungono al sistema nervoso durante la sua esecuzione” ed elaborando “strategie alternative per far fronte a eventi diversi concettualizzati in modo astratto”, ma anche il soggetto morale cui compete di “scegliere l’azione da compiere”, di “abbandonare un obiettivo a favore di un altro” o di “non compiere un’azione” (ibid., p. 15).

Se però immagino due persone che, sollecitate da uno medesimo, reagiscono in modo diverso, dovrei credere che secondo l’attuale neurologia, un simile evento sia naturale, in quanto sarebbe la diversità dei loro cervelli a determinare la loro diversità, e quindi quella delle loro reazioni. Ma come spiego, allora, che un individuo umano, nel corso della sua vita, e a dispetto di quel “complesso automatizzato” che è il sistema nervoso (sistema che, una volta maturato, rimane così com’è), riesce a cambiare, a modificarsi, e quindi a reagire ai medesimi stimoli in modi diversi?

Cosa succede in questi casi? Cambia forse il “complesso automatizzato”? E là, dove fosse davvero così, chi lo cambia? E come?

Insomma, il determinismo neurologico potrà anche spiegare in qualche modo – per dirla con Manzoni – la pusillanimità di Don Abbondio o la santità del Cardinale Borromeo, ma non potrà mai spiegare la conversione di padre Cristoforo né quella dell’Innominato. E ciò per il semplice motivo che il materialismo non fa che spodestare il soggetto libero (l’io) per insediare al suo posto un cervello determinato.

Scrive appunto Eccles (in una specie di raro auspicio): esiste “una radicata ortodossia materialista, sia filosofica che scientifica, che si erge a difendere i propri dogmi con un fariseismo che può quasi essere equiparato a un certo dogmatismo religioso del passato […]. Se si dovesse descrivere la motivazione più profonda del materialismo, si potrebbe affermare che essa è semplicemente un terrore della coscienza […]. La ragione più profonda della paura della coscienza possiede il carattere sostanzialmente terrificante della soggettività” (J. Eccles, op.cit., pp. 28 e 74).

Si potrebbe perfino credere, riassumendo, che dal punto di vista conoscitivo tutto comincia con l’incontro o lo scontro tra l’essenza del soggetto, che si manifesta mediante attenzione, e quella dell’oggetto che, modificando l’ambiente, si presenta ai recettori in veste di stimolo: mediante i recettori, il soggetto trasformerebbe prima gli stimoli in impulsi nervosi e poi guiderebbe questi verso il cervello; qui gli impulsi sarebbero ulteriormente trasformati per darsi al soggetto quali sensazioni.

Ma è davvero il cervello a operare questa nuova metamorfosi del contenuto originario dell’oggetto percepibile? 

Chi può scientificamente dirlo? Qui, anzi, la scienza è bloccata. Nel cervello, infatti, non si registrano che impulsi nervosi relativamente “integrati” e non si realizza alcun salto di qualità.

Vale la pena rammentare, a questo proposito, le celebri affermazioni di Emil Du Bois-Reymond (1818-1896): «Che rapporto si può immaginare tra certi movimenti di determinati atomi nel mio cervello da un lato e dall’altro fatti per me originari, non meglio definibili, innegabili: “sento dolore, desiderio, caldo, freddo; mi piace il dolce, sento profumo di rosa, odo suono d’organo, vedo rosso”, e la certezza immediata che da essi deriva: “Dunque io sono”? È perfino incomprensibile, del tutto e per sempre, che, per un certo numero di atomi di carbonio, idrogeno, azoto, ossigeno, non debbano essere indifferenti la disposizione e il movimento attuali, passati e futuri. Non si capisce affatto come dalla loro compresenza si origini la vita cosciente» (E. Du Bois-Reymond, “I confini della conoscenza della natura”, Ed. Feltrinelli, Milano 1973, p.40).

Du Bois-Reymond è certamente convinto che i processi psichici resteranno “per sempre” qualcosa di incomprensibile”. Ma questo deriva dal fatto che per comprendere i “processi psichici” occorrono un metodo e un pensare DIVERSI da quelli che servono a comprendere le “condizioni concomitanti materiali”. E finché si continuerà ad affrontare e ad indagare la vita dell’anima con gli stessi strumenti con cui si affronta e si indaga quella del corpo, tale vita rimarrà davvero “del tutto e per sempre incomprensibile”.

La prima vitale espressione dell’interiore attività (o anima) umana sembra dunque essere la sensazione; ed il testo di cui sopra afferma, per l’appunto, che la sensazione rappresenta “una risposta dell’individuo a una data stimolazione”. MA È SBAGLIATO: la sensazione sembra infatti essere una risposta dell’individuo ad un impulso nervoso, che ha GIÀ raggiunto il cervello, e che nella differenziazione fatta non è quello primigenio dichiarato “STIMOLO”. Osserva al riguardo Eccles: “La trasmissione dall’organo recettore alla corteccia cerebrale avviene attraverso uno schema codificato del tutto differente dallo stimolo originario, mentre anche lo schema spazio-temporale evocato nella corteccia cerebrale si presenta differente. Eppure, come conseguenza di questo schema cerebrale di attività, proviamo sensazioni (più propriamente, quei costrutti complessi noti come percetti), che sono “proiettate” da qualche parte al di fuori della corteccia: sulla superficie o persino all’interno del corpo, oppure, come avviene per i recettori visivi, acustici e olfattivi, nel mondo esterno” (J. Eccles, op.cit., p. 43; faccio notare che qui Eccles chiama le “immagini percettive” dell’antroposofia, “PERCETTI”, considerandoli erroneamente “sensazioni”).

Circa tali “proiezioni”, il fisiologo e/o il neurologo, dovrebbero innanzitutto almeno porsi la domanda: se per trasformare lo stimolo in un impulso nervoso è necessario un recettore fisico, non dovrebbe allora necessitare anche un altro e differente “recettore” per trasformare l’impulso nervoso in una sensazione?  

Per la scienza dello spirito antroposofica, questo diverso e superiore “recettore” non è altro che l’anima: più precisamente, l’anima senziente.  

Il soggetto, dunque, dopo aver elaborato lo stimolo iniziale nel corpo, incomincia a elaborarlo nell’anima. Pertanto là, dove si dà la sensazione, si realizza il passaggio dal corpo all’anima.

Per intendere meglio la necessità di una così complessa elaborazione, propongo la seguente comparazione tra il processo ordinario di assunzione cognitiva e quello dell’assumere cibo nella nutrizione.

Com’è noto, quando assumiamo un qualsiasi cibo, cominciamo subito a destrutturarlo, nella bocca, per mezzo della masticazione. Lo deglutiamo e lo passiamo nello stomaco solo dopo averlo infatti sminuzzato, triturato, insalivato e parzialmente disciolto.

Allo stesso modo, lo stimolo percettivo può passare nell’anima solo dopo essere stato opportunamente elaborato dal corpo: dal corpo fisico, mediante gli organi di senso; dalla vitalità eterica, mediante l’attività biochimica nelle sinapsi; dal corpo senziente, mediante l’attività elettrica nei neuroni.

Di fatto, tanto gli alimenti quanto i contenuti delle percezioni, sono per l’individualità “corpi estranei” che abbisognano, in quanto tali (in quanto “mondo”), di essere in parte assimilati e in parte eliminati per mezzo, rispettivamente, della digestione e della cognizione.

Il processo conoscitivo è quindi la “metamorfosi ascendente” (Goethe) del processo metabolico (processo respiratorio compreso): il processo eterico-fisico o vitale dell’assunzione del dato percettivo corrisponde infatti a quello fisico dell’assunzione del cibo, mentre il processo immateriale o spirituale dell’attività interiore (anima) del conoscere (che comporta il ricordare e il dimenticare) corrisponde a quello fisico della digestione (che comporta l’assimilare e l’eliminare).

Il processo conoscitivo però non si conclude con la sensazione: per poter essere lucidamente ri-conosciuto dal soggetto (cioè dall’io), il contenuto originario dell’oggetto di percezione (vale a dire l’ESSENZA dell’oggetto o del fenomeno) necessita di ulteriori elaborazioni da parte dell’attività interiore (anima razionale o affettiva) e della consapevolezza (anima cosciente).

In breve, gli eventi corticali rappresentano, per l’anima senziente, ciò che le sensazioni rappresentano per l’anima razionale o affettiva. L’anima senziente trasforma gli eventi corticali in sensazioni, mentre l’anima razionale o affettiva trasforma le sensazioni in concetti. In sostanza, l’individuo umano è sempre in presenza di un processo di costante e progressiva esplicitazione del contenuto originario dell’oggetto di percezione: esplicitazione indispensabile all’io per potersi ri-conoscere in tale ESSENZA e indispensabile a questa ESSENZA per potersi conoscere nell’io.

Comprendere questo nuovo passaggio esige una particolare “animadversio”: è necessario accorgersi che, al momento dell’atto percettivo del soggetto, l’essenza unitaria (entelechia per Aristotele) dell’oggetto si frantuma in un numero di stimoli pari a quello degli organi di senso impegnati nell’atto! Nell’istante dell’impatto con l’attenzione del soggetto, ad esempio, lo stimolo esercitato dall’oggetto “x” si articolerà in uno stimolo “a” per la vista, in uno “b” per l’udito, in uno “c” per l’olfatto, e così via.

Sono quindi tali stimoli parziali, una volta trasformati in impulsi nervosi, ad affluire per vie diverse al cervello, e ad essere qui sottoposti a un primo, limitato e provvisorio processo d’integrazione. “Gli eventi cerebrali – ricorda appunto Eccles – rimangono disparati” e “non forniscono alcuna spiegazione della nostra esperienza più comune, cioè il mondo visivo osservato come un’entità globale, momento per momento” (ibid., p. 50).

Eccles chiama “DENDRONI” i luoghi fisici in cui si attua una prima e provvisoria integrazione dei diversi impulsi, e chiama “PSICONI”, quelle non meglio identificate sensazioni dell’anima in cui sono ancora “implicati” (Gioberti) i concetti. Scrive infatti: «L’interazione “dendrone-psicone” è essenziale per la vita mentale». E ancora: nell’autocoscienza, «gli psiconi possono esistere indipendentemente dai dendroni in un mondo esclusivo di psiconi, che è il mondo dell’io […]. La trasmissione da psicone a psicone potrebbe spiegare l’unità del mondo interiore della nostra mente e delle nostre percezioni […]. Finora, è rimasto inspiegato da qualsiasi teoria sull’interazione mente-cervello il fatto che eventi nervosi multiformi nella nostra corteccia cerebrale possono fornirci, da un momento all’altro, esperienze mentali complessive che assumono un carattere unitario» (ibid., p. 142).

Ma ANCHE QUI SBAGLIA, perché sono proprio tali “eventi nervosi multiformi nella corteccia cerebrale” a essere afferrati, esplicati o “distillati”, in prima istanza, dall’inconscia (1) forza intuitiva dell’anima senziente, in forma di sensazioni, e, in seconda istanza, dall’inconscia forza ispirativa dell’anima razionale o affettiva, in forma di concetti.

L’anima razionale, tuttavia, non solo li esplica o “distilla”, ma provvede pure, giudicando, a unificarli o sintetizzarli. Del resto, così come nel “mondo esclusivo di psiconi che è il mondo dell’io” di Eccles, è possibile cogliere un presentimento del mondo dei concetti o delle idee, allo stesso modo nella “trasmissione da psicone a psicone”, cui si dovrebbe – a suo dire – “l’unità del mondo interiore della nostra mente e delle nostre percezioni”, è possibile cogliere un presentimento dell’attività giudicante e sintetizzante dell’anima razionale o affettiva. “Non esiste alcuna spiegazione – osserva ad esempio – per il tremendo enigma dell’unificazione delle nostre esperienze percettive” (ibid., p. 140).

ALTRO ERRORE! Cioè Eccless non si accorge che è però solo nella superiore anima cosciente che tale sintesi o “unificazione”, RICEVENDO IL SUGGELLO (VOLITIVO) DELL’IO, può porsi come oggetto di fronte al soggetto. 

Lo sviluppo della coscienza dell’oggetto va dunque di pari passo con quello della coscienza del soggetto (dell’autocoscienza). Solo dove c’è un io può esserci infatti un non-io.

Occorre poi non dimenticare che mentre il veicolo fisico delle attività dell’attività interiore o anima è rappresentato dai tre “distretti” del sistema nervoso (quello superiore, in cui prevalgono i processi coscienti; quello mediano, in cui prevalgono i processi subcoscienti o sognanti; quello inferiore, in cui prevalgono i processi incoscienti), il veicolo fisico dell’io è rappresentato invece dal sangue.

Tutto ciò che va dall’io al mondo esterno (o al corpo) passa perciò dal sangue ai nervi. Invece tutto ciò che va dal mondo esterno (o dal corpo) all’io passa dai nervi al sangue. Ancora diverso è il compito del sistema nervoso autonomo: a tutto ciò che va dalla vita interna del corpo all’io è impedito, grazie infatti al sistema nervoso autonomo, di passare al sangue (e quando tale attività inibitrice è insufficiente s’ingenerano infatti gli stati “ipocondriaci”; cfr. R. Steiner, “Una fisiologia occulta”, Ed. Antroposofica, Milano 1991).

Con questa veggenza, risulta ora significativo anche quanto inizialmente riportato – citando Eccles – circa l’“aumento del flusso sanguigno cerebrale” prodotto dall’attenzione mentale. Questo è vero: quando l’io (lo spirito) agisce sull’anima, il sangue agisce infatti sul nervo. “Si può prevedere – afferma sempre Eccles – che in futuro si scoprirà che l’immensa serie di pensieri silenziosi di cui siamo capaci è in grado di promuovere attività in così tante regioni specifiche della corteccia cerebrale che gran parte della neocorteccia si potrà considerare sotto l’influenza mentale del pensiero” (J. Eccles: op. cit., p. 112).

Ricapitolando: nell’anima cosciente si forma, grazie a una inconscia forza immaginativa (ma che sempre più diverrà cosciente: vedi la nota 1), il germe di quella rappresentazione che, una volta “trasportata nel mondo esteriore” (R. Steiner, “Antroposofia, Psicosofia, Pneumatosofia”, Ed. Religio, Roma 1939, p.83), s’invera nell’ordinaria e tridimensionale immagine percettiva (anche Eccles, in una delle citazioni precedenti, accenna a “percetti” proiettati “da qualche parte al di fuori della corteccia”).

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(1) Ho parlato di una “inconscia forza intuitiva” in relazione all’anima senziente, di una “inconscia forza ispirativa” in relazione all’anima razionale o affettiva e di una “inconscia forza immaginativa” in relazione all’anima cosciente. Ciò non deve sorprendere. Così come ogni essere umano è in grado di digerire ben prima di conoscere le forze e le leggi che presiedono alla digestione, allo stesso modo è in grado di conoscere il sensibile ben prima di conoscere le forze e le leggi (extrasensibili) che presiedono a tale attività. Proprio perciò Steiner sottolinea la necessità di sviluppare quei gradi della conoscenza superiore che chiama appunto “immaginativo”, “ispirativo” e “intuitivo” (cfr. R. Steiner, “I gradi della conoscenza superiore” in “Sulla via dell’iniziazione”, Ed. Antroposofica, Milano 1977). Un conto, infatti, è usufruire naturalmente (e quindi inconsciamente) di intuizioni, ispirazioni e immaginazioni, altro è portarsi coscientemente dall’ordinario grado rappresentativo a quelli in cui si danno siffatte realtà. D’altro canto, le teorie avanzate dalle odierne neuroscienze testimoniano in abbondanza equivoci che possono insorgere quando si affrontano indagini del genere muniti della sola coscienza “rappresentativa” (detta anche da Steiner “oggettiva” o “materiale”) e oberati, per di più, dai consueti pregiudizi materialistici".

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