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Il Passato Musicale di Marameo

Qui troverete il mio passato di musicista avverso al diritto d'autore. Spiego le motivazioni antiuomo di tale diritto inventato e non scoperto.

SIAE TUMORE DELLA CULTURA

SCONOSCIUTO IL TUMORE SIAE DELLA CULTURA

 

Nel 2008 scrivevo il seguente articolo, i cui riferimenti web, come vedrete, sono stati furbescamente rimossi dalla SIAE stessa (evidentemente si vergognarono un po’). Ora questa istituzione mafiosa si presenta come opera voluta dagli artisti stessi ma è una menzogna, e quanto segue lo dimostra.

SIAE COME CULTURA DI STATO

 

A 23 anni, per poter registrare il mio primo 45 giri, fui costretto per legge a sottopormi all’esame per l’iscrizione alla S.I.A.E. (Società Italiana Autori Editori). Questa imposizione determinò in me – che volevo semplicemente fare il rock – un primo conato di vomito per le leggi italiane, le quali ancora oggi includono la SIAE nel novero degli enti pubblici economici. Ecco il foglio di carta dell’esame cui fui sottoposto creando una partitura per pianoforte su tema dato (oggi tale esame non si fa più: basta chiedere l’iscrizione.:

In verità l’ente SIAE è anti-creativo e anti-culturale, in quanto poggia sull’aberrante premessa che: “senza diritti d’autore, quindi senza compensi, non ci sarebbero gli autori, cioè coloro che creano le opere”. Questa frase, che denota quanto l’essere umano sia degradato nel suo pensare (sia nell’inventare leggi anziché scoprirle, sia nell’accettazione acritica delle stesse da parte del “collettivo”) è la giustificazione e la dottrina che la SIAE dà alle sue normative e leggi (1).
Con ciò è di fatto negata ogni ipotesi di esistenza di spiriti liberi, capaci di opere non finalizzate al compenso. Le creazioni artistiche di cui parla la SIAE nelle sue premesse, non suggeriscono infatti alcuna idea di libera espressività, di produzione nel bello, né di assenza di vincoli rigidi o di autorevoli saggezze. I creativi, in questa prospettiva, non possono essere spiriti liberi.
Se l’artista in quanto “insoddisfatto del solo mondo delle apparenze, cerca di imprimere nella materia le idee del suo io e di immettere in essa quel di più che si trova nascosto nel suo mondo interiore, al fine di riconciliarsi col mondo esterno” (2), l’artista SIAE si muove invece esclusivamente in vista di compensi: “op op op, din din din”… così è la kultura di stato… É pertanto ovvio che tale kultura provochi incidenti, malcontento, e S.O.S.

NOTE
(1) Cfr. la Legge n. 248 del 18/08/2000 nel sito della SIAE (http://www.siae.it/Site2/SiaeMainSite.nsf/html/It_faq_dir.html#aut) o della F.I.M.I. (http://www.nafura.it/infomp3/normative.asp) : “LA SIAE, UNA GARANZIA “SALVAUTORI”. COSA FA LA SIAE PER TUTELARE IL DIRITTO D’AUTORE? Autorizza l’utilizzazione delle opere. Verifica e distribuisce i compensi agli autori e a chi ne ha diritto. La funzione istituzionale della SIAE consiste nell’attività di intermediazione per l’esercizio dei diritti d’autore dei propri associati, il che vuol dire che la SIAE concede licenze e autorizzazioni per l’utilizzazione delle opere tutelate; riscuote i relativi compensi e li ripartisce agli aventi diritto (autori, editori, eredi, ecc.). Per l’importanza sociale della sua funzione, la legge ha incluso la SIAE, nonostante amministri interessi degli autori e non riceva alcuna sovvenzione dallo Stato, nel novero degli enti pubblici economici. La SIAE tutela solo i musicisti? No, la SIAE tutela i “creatori” di tutte le opere dell’ingegno. Attraverso le cinque sezioni in cui è strutturata, MUSICA; LIRICA; D.O.R. (opere Drammatiche, Operette e Riviste); OLAF (Opere Letterarie e Arti Figurative) e CINEMA, tutela rispettivamente i diritti dei vari autori. La SIAE amministra, quindi, il repertorio musicale e tutte le opere dell’ingegno affidate alla sua tutela. COME É NATA LA SIAE? Verga, Carducci e Verdi sono stati i primi soci… L’idea di associarsi per tutelare i diritti degli autori di opere sfruttate commercialmente fu realizzata nel 1882 a Milano per iniziativa dei maggiori intellettuali dell’epoca, tra cui spiccano i nomi di Giovanni Verga, Giosuè Carducci, Giuseppe Verdi, Ulrico Hoepli, Marco Praga e Arrigo Boito. Fu così che nacque la SIAE (Società Italiana degli Autori ed Editori), che venne poi riconosciuta come ente morale nel 1891. Dopo alcuni decenni di attività, nel 1926 la SIAE si trasferì a Roma, mentre la sua funzione di pubblico interesse andava progressivamente affermandosi fino a trovare formale ed esplicita ufficializzazione nella legge 633 del 22 aprile 1941 sulla protezione del diritto d’autore. Nonostante abbia assunto complesse strutture organizzative di tipo aziendale, per meglio assolvere ai suoi compiti, la SIAE conserva la sua originaria natura e lo statuto di ente pubblico economico senza fini di lucro. Attualmente gli iscritti sono circa 50.000 ed il loro numero è in costante crescita. La SIAE, quando accetta un’opera in tutela, svolge anche attività per favorirne il collocamento o la diffusione? No, la SIAE non e’ un agente. Non promuove le opere che le sono affidate in tutela. Un equivoco comune è che la SIAE possa favorire l’utilizzazione pubblica delle opere affidate alla sua tutela, come se fosse un agente. Tutti i rapporti con la SIAE (iscrizione, mandato, deposito di inedito) non comportano da parte della Società il compito di collocamento del lavoro depositato. La tutela di un’opera è, infatti, diversa dalla promozione. La SIAE garantisce uguale tutela a tutte le opere che le vengono affidate. Il diritto d’autore non ostacola la diffusione della cultura? Al contrario, la agevola. Senza diritti d’autore, quindi senza compensi, non ci sarebbero gli autori, cioè, coloro che creano le opere“.

(2) R. Steiner, “Filosofia della libertà”, Ed. Antroposofica, capitolo 2°, 4° capoverso.

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Quanto segue è un’altra mia testimonianza di quel periodo.

 

LA SIAE COME ISTITUZIONE ANTIUOMO
La SIAE è un’istituzione antiuomo, che aliena la creatività ed ostacola l’economia. Questo risulta all’osservazione pensante di chi guarda le cose in modo libero da pregiudizi.
La riduzione delle dinamiche della creatività ad ingranaggi del sistema meccanicizza ogni forma d’arte, spersonalizza le coscienze e disanima le masse, privando gli esseri umani dell’immaginativa morale necessaria ad ogni gradino evolutivo.
Farò due esempi: letteratura e musica.
Letteratura
In nome del “monitoraggio dell’UNESCO” (cfr. Ivan Cecchini, direttore AIE e C.d.A SIAE, nel Bollettino SIAE n° 5-6, settembre-dicembre 2003, Ed. SIAE. Oltretutto come se l’UNESCO fosse un abito da indossare per ottenere credibilità; cfr. a questo proposito: https://digilander.libero.it/VNereo/onu_&_anacronismo-04-ambientalismo-onu.pdf) e della cultura, la SIAE (società italiana degli autori ed editori) invita a non divulgare la cultura stessa tramite fotocopia: in nome della “cultura” del principio del brevetto, che è poi quello dei cosiddetti “diritti d’autore”, essa invita a non usare le fotocopiatrici (anch’esse ovviamente “protette” da “brevetti”) per non danneggiare coloro che scrivono, e non in quanto costoro scrivono perché hanno qualcosa da dire, ma in quanto essi sono “scriventi” per professione, cioè per i “diritti d’autore”. È roba da matti! Se l’anatocismo è la tassa sulla tassa, l’impedimento alla diffusione di un bene in nome del bene stesso è anatocismo demenziale, maniacale.

 

Eppure questa “pazzia” (schifo allo stato puro) è divenuto un manifesto dell’AIE (associazione italiana degli editori), che manifesta in realtà la morte di ogni cultura, e che in Italia tappezza dall’ottobre 2003 “77 atenei di 32 città universitarie, 700 biblioteche, 400 librerie e 2000 copisterie. Da Bari a Udine, da Milano a Roma, da Cagliari a Parma, da Bologna a Firenze. È una sfida aperta – recita il Bollettino SIAE (che ricevevo mensilmente in quanto “iscritto”) – a chi fa e permette le fotocopie illegali dei libri, creando un danno non solo agli autori e agli editori, ma a tutta l’industria che gira attorno al libro” (ibid.).
Su questo tema infame, “sono stati presentati sino ad ora quattro disegni di legge sul tema; manca però la proposta del Governo, su cui sta lavorando e speriamo – afferma sempre il Bollettino – sia pronta a breve, come ha recentemente annunciato Alain Elkann alla Fiera del Libro di Francoforte” (ibid.).
Questa “seria politica di promozione della lettura, di sostegno alle librerie e una maggiore tutela del diritto d’autore” (ibid.) non è altro che un principio repressivo su cui il portatore del pensiero fasullo si basa per stimare i danni causati dai “reprobi”, e che fa perfino introdurre nel linguaggio il nuovo termine “REPROGRAFIA”. Si parla infatti di “stima della reprografia libraria illecita” e, in base ad essa, dell’urgenza di nuova legalità: “l’urgenza – per ridare vitalità al settore è, in primis, quella di una legge quadro sul libro” (ibid.).
In base a questi “legalissimi” principi di tutela del valore del brevetto o del “diritto d’autore”, la situazione è un paradosso di proporzione mondiale (in quanto il pensiero fasullo è di portata planetaria) che per la sua troppo vasta portata di imbecillità passa inosservata. Infatti volendola confrontare evolutivamente ai primordi dell’umanità, sarebbe come ammettere come cosa logica che lo scopritore del fuoco non avesse potuto scaldarsi, fino alla morte per congelamento, per difendere i diritti del dio Sole, che solo lui può, secondo legalità, dispensare calore!
Siamo arrivati a questo punto. Queste cose preparano i nostri governatori della cultura, pagati dai cittadini 20 mila euro (40 milioni di lire) mensili, affinché siano prodotte mortificazioni dello spirito simili a quella dell’AIE e dei suoi “manifesti di morte” della cultura.
Musica
Nel campo musicale l’obbrobrio è ancora più evidente.
È storicamente innegabile che, DALL’AVVENTO DELLA SIAE, L’OPERA DIVENTA OPERETTA E L’OPERETTA CANZONETTA, fino alla massima degenerazione in cui il testo, la parte letteraria, trasformando il simbolo in allusione, canta gli aspetti meramente fisiologici della vita umana, come se essi fossero le caratteristiche dell’essere umano, concepito come animale, bestia. Un chiaro esempio di ciò a cui ha condotto questa impostazione della creatività, lo abbiamo negli ultimi spot pubblicitari (anno 2004), in cui la scena, la coreografia, la musica e i rumori, mostrano persone (uomini e donne) che ruttano e scoreggiano. Dunque scene della vita fisiologica umana, in quanto specie animale, non della vita umana in quanto vita dell’Io. Ma per la biografia di una vita umana che senso hanno le rappresentazioni delle sue funzioni corporali? Dove sta il pensare?
L’animalità non pensa, e perciò è ridotta a bistecca.
Allo stesso modo, l’essere umano non pensante, o pensante in modo fasullo, è ridotto alla schiavitù, fagocitato da istituzioni e da leggi che sembrano proteggerlo ma che in realtà lo rattrappiscono proprio nella sua essenza creativa.
A 23 anni (1970), per poter registrare il mio primo 45 giri, fui costretto a sottopormi all’esame per l’iscrizione alla SIAE (è il post precedente).

L’autorità suprema è oggi la civiltà della tecnica. Ma si dovrà prima o poi discutere il senso di ciò che viene dato per ovvio: l’esistenza dell’auctor, cioè del produttore e quindi del produttore che dà significato all’auctoritas.
Qualche tempo fa era di moda la canzone della banana, e tutti la cantavano. Il suo autore certamente si è fatto i soldi con la SIAE, e costui sarà anche ricco e potente. La maggior parte degli attuali pseudoartisti musicisti lo hanno invidiato e cercato di imitare, proprio in base ad un ragionamento molto semplice: “Se indovino una canzone faccio i soldi”. In altre parole si scrive musica pensando al mercato. Questa è la cultura di Stato. E proprio attraverso questa “modalità” “funzionano” anche le “università” (oramai le virgolette sono costrette a virgolettare tutto il linguaggio). Prevedendo gli introiti della “banana”, l’artista-SIAE, propone al mondo una letterale cazzata, che il bove-mondo accetta come canto della miseria umana.
La previsione stabile che consente certezze e verità definitive e che rinchiude il divenire all’interno di argini immutabili: ordinamenti, formule, istituzioni inalterabili e incrollabili, è allora non altro se non il nuovo cerimoniale dell’imbecillità generatrice di schiavitù.
Il nuovo cerimoniale rende allora visibile a tutti questa stabilità. Esprime la sicurezza che essa dona, in apparenza, tanto ai padroni e custodi del riparo, quanto ai sottomessi e ai servi, che rientrano anch’essi nell’ordine stabile del mondo.
Ma poi, un poco alla volta, è inevitabile che gli svantaggi finiscano col superare i vantaggi della stabilità. Il “tengo famiglia” pian piano riduce talmente l’autentica felicità che la famiglia si divide, la coppia scoppia come le torri di Bin Laden, e il malcontento regna ovunque.
Non solo le verità alla banana, ma anche Dio, il padrone, la legge, la verità definitiva – cioè tutte le forme del riparo – soffocano allora la vita.

Il divenire fa paura.

Ma il divenire è anche la vita.

La vita diventa assurda nella misura in cui teme sé stessa, pur non potendo rinunciare a sé stessa. Perciò diventa promotrice del suicidio, così come è stato dimostrato dal professore di diritto Giacinto Auriti che io considero un maestro nel campo del diritto umano come diritto alla vita.
Tutta la nostra storia umana è la vicenda dove la vita distrugge i ripari immutabili che essa ha costruito per difendersi da se stessa. La libertà dell’uomo moderno appare allora come liberazione da tali ripari e quindi da ogni cerimoniale in cui essi si esprimono.
Così il bisogno di cambiare – che è l’anima della moda – che spinge la borghesia ad avanzare, è la volontà dell’uomo moderno (non solo borghese) di liberarsi da ciò che estingue la vita. È la volontà di distruggere la stabilità dell’ordinamento che irrigidisce, e che rende definitive le distanze tra gli uomini.
La vita (il cambiamento) è produzione e distruzione: il capitalismo diventa la forma dominante della vita moderna, dove il produrre e il distruggere sono un processo infinito che travolge ogni limite e ogni stabilità e si libera progressivamente dalle sue stesse e progressive forme di produzione. L’essenza del capitalismo non sta forse nell’innovazione continua dei prodotti e del modo di produrli?
Ovviamente, la moda è oggi una delle massime forme di investimento, ed espressione diretta dell’anima del capitalismo, cioè dell’anima dell’uomo moderno che crede di liberarsi da tutti gli ordinamenti immutabili e da ogni cerimoniale che li consacra.
Se fosse vero che nel capitalismo lo scopo della produzione è il mero profitto crescente, cioè la crescita delle vendite, dunque l’innovazione del prodotto, sarebbe anche vero che la moda è l’enunciazione esplicita del principio che ha valore solo ciò che è nuovo, e che rappresenta l’imporsi di tale principio nella coscienza dei cittadini.
Però, per la grande massa dei cittadini la verità non esiste, e dobbiamo questa aporia agli stregoni massmediatici, che dalle scuole elementari alle università ci propinano la cultura della banana.
Si ha paura dell’ordinamento naturale ed incontrovertibile delle cose. Addirittura si ha paura della paura stessa. Perciò si avversa e si distrugge il nuovo prima che nasca.
Chiaro è che la distruzione di ogni ordinamento immutabile investe anche le sicurezze, le certezze, le verità, e le forme di felicità che vi sono connesse. Quindi la gioia non può essere il riconoscimento pubblico della propria stabilità. Può essere solo il superamento dell’aporia entro la propria capacità di cambiare.
Ma io cambio e miglioro solo se riconosco l’errore o la tecnica usata nel mio agire. Questo vale tanto nell’esercizio al pianoforte quanto nella mia moralità o tecnica morale.
Se non faccio così, e se soprattutto sono un musicista mediocre, non sto a perdere tempo con lo studio, e mi accontento dei floppy disk di moda per le mie serate musicali. Allora mi sta bene perfino la SIAE perché, essendo mediocre, ho tutto da guadagnarci e niente da perdere.
Questa moda dell’homo economicus o dell’homo ridens – di trasmissioni televisive del tipo del sabato sera – non è che l’espressione dell’attuale configurazione del mondo, prodotta dalla potenza suprema della scienza e della tecnica usate contro l’uomo.
Se l’auctor di ieri era capace di opere come la Pietà di Michelangelo, l’auctor di oggi è un creatore di “banane” per una moneta, che oltretutto è essa stessa un equivoco, dato che nasce assolutamente priva di garanzia, e tuttavia come debito da restituire alle emittenti bancarie che la “prestano” senza riserva aurea!
Che in uno Stato vi siano guardiani dell’arte, “in difesa” delle opere o dei diritti degli autori, è assennato quanto lo sarebbe se tale “difesa” fosse applicabile anche ad opere come la “Pietà” di Michelangelo. Ma chi è capace di copiarla non ha davvero bisogno di protezionismo statale.
Così è per la musica e per ogni altra forma d’arte. Se vi è un ambito in cui è lecito ed, anzi, doveroso rubare, esso è proprio quello del pensiero e della creatività. L’attuazione del proverbio “Impara l’arte e mettila da parte” è possibile infatti solo se si è in grado di “rubare” il mestiere a chi è più bravo di noi in quella determinata arte. E solo “rubando” i pensieri migliori dei nostri simili possiamo farli nostri, evolverci e cambiare… La gente che ha orecchi per intendere o orecchio musicale non ha davvero bisogno che qualcuno le tappi le orecchie di fronte a un clone di un altro artista. I pecoroni, invece, o coloro che non intendono più altro che il business, difenderanno sempre la mafiosità del welfare come se fosse qualcosa di benefico, o un sacro cerimoniale della loro mediocrità.
La vita è caratterizzata da movimento, poiché tutto si muove e tutto è in evoluzione. Per questo motivo, anche grazie ad Internet, certe verità, che in passato non erano state ancora del tutto accettate, ora – a parte la Cina, dove Internet è vietato – saranno chiarite e capite, e in seguito se ne aggiungeranno delle nuove.
Gesù di Nazaret ha dimostrato proprio questo, portando una nuova morale che non era quella di Mosè. Nei vangeli egli ripete a più riprese: “È stato detto… ma io vi dico…”. La sua visione del mondo non era quindi più quella insegnata da Mosè. Ed ora è il tempo di andare ancora più lontano.
Certi cattolici, capaci solo di mettere il vino nuovo nelle botti vecchie, certamente si scandalizzeranno ancora, in quanto non vogliono che ci siano altri problemi da risolvere dopo Gesù di Nazaret. Secondo questa genia di gente non vi è più nulla da aggiungere.
In verità è sempre il Cristo che viene a portare ogni volta nuove verità più elevate, e nuova creatività. Egli, nell’uomo non può accettare di fare arte per mangiare, cioè per i diritti d’autore… Perciò oggi l’artista, che non si presenta come un artista di Stato, resta povero. Oggi il cantautore che canta che l’ora di dire “basta” alla SIAE è arrivata è raro, così come è raro il politico che dice no a questo sistema economico di infamia e di indegnità.
Chi però nelle sue canzoni canta esclusivamente queste cose, canta esclusivamente la verità. Può farlo, nonostante la sua povertà, perché sa che sempre ci sarà il talento, perché sempre ci saranno rapporti umani di – e del – talento. Solo essi valgono. Solo essi sono moneta vera.

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Vaffanculo SIAE!

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