Benvenuti a Muse Inquietanti
Benvenuti nella sezione dedicata alle opere dell'artista scrittrice Nina Camelia, co-autrice del libro APORIE di Nereo Villa. Qui potrete esplorare concetti come complotto, misunderstanding, MKULTRA, la decadenza del mondo dell'arte e della scienza, del diritto e dell'economia, e la tri-articolazione di Rudolf Steiner.
L'alchimia di "Canzone alchemica" è un messaggio al pianeta Terra per lo scoppio della pace. La "razza dei cattivi" continua infatti a insegnare la pacificazione della coscienza in luogo della pace. In soldoni: l'idea di uno Stato per un popolo nomade è una contraddizione in termini come l'idea di una staticità in movimento o di una forza di gravità centrifuga. Il contrario di freddo è caldo. Non può esistere il freddo-caldo. Se poi i popoli nomadi sono diversi, con etnie, lingue e culture differenti, diventa ancora più impossibile risolvere la contraddizione. Oggi gli accademici ("razza dei cattivi" o dei chierici traditori odierni), vuoi per ignoranza, vuoi per omertà mafiosa, non sapendo che pesci pigliare o sapendolo, cercano di mettere in forse lo stesso principio di contraddizione. Vorrebbero mostrare che tutto è roseo, secondo il modo new age di procedere nel politicamente corretto dell'assolutizzazione del "positivo". Cioè si vuole l'assimilizzazione assoluta dei diversi, al fine di giustificare tutto. Per esempio Theodore Roosevelt, 26° presidente USA, giustificò lo sterminio degli indiani dicendo che erano di ostacolo allo sviluppo dei territori in cui erano insediati, territori che erano meglio valorizzati dai colonizzatori. Chi ragiona secondo gli accademici che vogliono, ancora oggi 2024, uno Stato di Israele che contenga due popoli, pretende l'impossibile, così come è impossibile pretendere uno Stato di Israele adiacente ad uno Stato di Palestina o a diversi altri Stati. Da sempre la storia dimostra l'eterno conflitto ebreo-palestinese, che passa invece nel dimenticatoio in nome dell'assimilazione etnica astratta. L'idea degli accademici è, sì, razionale ma è pensata, come se esistesse solo l'occidente. NON RIESCONO a immedesimarsi anche in coloro che vogliono lo smantellamento pacifico dello Stato d'Israele. Tuttavia chi riesce a immedesimarsi in questo loro anelito, comprende ciò che gli accademici invece deridono. Oggi ci si dovrebbe identificare NON nell'essere umano animale della "scienza" occidentale ma nell'essere ominale, cioè nei figli degli uomini, anche se oggi sono in pochi. Da anni predico ciò ma devo riconoscere che è inutile predicarlo, parlarne, perché questa è una dinamica evolutiva individuale, non pastorale collettiva. Il tempo dei collettivi e dei partiti è finito. Ciò che più importa all'umano è 1) una giustizia, vivente nel cuore NON anacronistico; 2) un'economia, vivente nel cervello che sia specchio di economia reale (non di «econ"ò"mie» aventi l'accento sbagliato); 3) la cultura, vivente nei muscoli non automatici di colonizzatori. Gli occidentali si divertono oggi nello scuoiare gatti vivi, i sionisti nel torturare uomini da loro ritenuti meno importanti dei gatti, e i religiosi nell'imperare sui entrambi secondo il "divide et impera" del diritto anticristiano dell'impero romano (chiesa cattolica). Vi è un libro di Ilan Pappé, israeliano ma antisionista, del 2006, tradotto in italiano nel 2008: "La pulizia etnica della Palestina", Fazi Editore, Roma. Pappé si esprime onestamente attraverso documenti d'archivio israeliano, quindi oggettivamente. Lo stimo ma sono più vicino al pensiero dei נטורי קרתא, "neturei karta" (che in italiano potrebbe significare "naturali delle carte" o "naturali osservatori delle carte") secondo il quale agli ebrei è vietato avere il proprio Stato fino all'avvento del messia. Per i "neturei karta", l'odierno Stato d'Israele è di per sé una ribellione contro Dio. Sono più vicino a loro ma da individuo che ha già riconosciuto il Cristo-messia, non storicamente, né fideisticamente ma cosmicamente. Anzi, non capisco proprio perché anche i vari "scienziati" e/o i predicatori confessionali siano sempre ancora bloccati nel tentare di stabilire la storicità del palestinese Gesù, come se non avessero mai letto le parole attribuite a Gesù nei vangeli. Queste parole sono state pensate. Se sono state pensate, qualcuno le ha pensate. Cosa c'entra la storicità, dal momento che qualcuno le ha EVIDENTEMENTE pensate? Altra cosa tremenda è che oggi si dubita perfino del principio aristotelico di non contraddizione... Si vuole arrivare al memoricidio di tutto per far agire i "contribuenti" come galline o criceti? Speriamo di no. In caso contrario la "razza dei cattivi" è destinata a sparire definitivamente con l'avvento del sabato pedr l'uomo (tri-articolazione dei poteri dell'organismo sociale). TESTO DEL BRANODI NINA: I baci degli amanti sono perle sulle labbra: tonde, bianche e perfette sfere di latte cosmico. Prezioso ornamento di parole di miele. Arcano lucente tra le tenebre umane. Segreto nutrimento Di un cuore Inchiodato. Profuma di rosa, l'ultimo retaggio di stirpe reale, nobile e gloriosa. Guerrieri indomiti, eretici e fedeli. Qui restano solo LADRI DI MISTERI UNIVERSALI. Spasimanti bramosi, pezzenti curiosi (boriosi) per formare la razza dei cattivi, quelli che non usano la dimora nel corpo soltanto come opportunità per giungere alla coscienza dell'io. Sotto, risuoneranno bestemmie, volontà di allontanamento da ciò che proviene dalla trasformazione.
Le opere di Nina Camelia
Scoprite le affascinanti opere di Nina Camelia, che esplorano i concetti più profondi della nostra società moderna e offrono una nuova prospettiva su temi complessi come la cultura, l'economia e la politica.
Il libro APORIE di Nereo Villa
Esplorate il libro APORIE di Nereo Villa, scritto in collaborazione con Nina Camelia. Questo libro offre un'analisi approfondita della decadenza del mondo dell'arte e della scienza, del diritto e dell'economia, e offre proposte anziché proteste.
Esplorate ulteriori opere di Nina Camelia
Scoprite ulteriori opere e approfondite la vostra comprensione dei concetti trattati.
MUSE INQUIETANTI
ovvero
PREMESSA di Nina Camelia ad “Aporie”
Il complotto è definito tale finché non emerge la verità, e allora si chiama Storia.
La sovra-informazione, fatta di notizie che si susseguono, accavallano e confondono vorticosamente, altrimenti detta infodemia, è una pratica di cui si avvale la gestione politica degli eventi storici per creare caos e spingere, in maniera automatica, come sotto l’influenza del campanello di Pavlov, l’incauto e ignaro “individuo sociale” a seguire quel che viene diffuso attraverso i mezzi di disinformazione mainstream. E inserire, di conseguenza, chi non esegue il comando a distanza, attivato da anni di chirurgia sociale e manipolazione massmediatica, in una categoria moralmente esecrabile e, di conseguenza, perseguitabile. In realtà, alla luce del più presente momento attuale, potremmo serenamente dire che esistono due tipi di complotto: il gombloddoh e il complotto.
Nel gombloddoh, il nemico interiore si esteriorizza e si attiva. L’individuo, specificato da un latente narcisismo misto a instabilità emotiva e immaturità intellettuale, del tutto privo di critico discernimento, assoggettato a un principio di autorità potentissimo, crede alla lettera che il Male Oscuro voglia materialmente dominare il mondo e schiavizzare le genti e cade in ridicole paranoie ufologico-rettiliane e psico-cosmiche farse. Non possiamo certo negare, e saremmo stolidi se lo facessimo, che un fondo di autenticità giace silente e intoccabile in certe credulonerie ed è esattamente questo l’aspetto che le rende credibili! Ciò che fa del gombloddoh una teoria popolare, il motivo per cui raccoglie ampi consensi, è proprio la sua verosimiglianza. Al contempo, è questo l’aspetto che produce l’irrisione dei detrattori e la logica trasformazione del possibilismo in delirio. D’altronde, proprio così la verità è nascosta: se vuoi nascondere una verità, vestila da menzogna; qualunque cosa tu voglia nascondere, mettila in mostra. Il complotto, invece, è il nucleo pulsante e vivente della Storia, ciò che genera il naturale sviluppo degli eventi e che nutre la cronaca: senza il complotto la storia stessa non potrebbe nemmeno dirsi, non potrebbe farsi! Infatti, questa è disseminata di complotti, è costituita, per sua stessa natura fattiva, da complotti: non ci sono che complotti nella Storia! Sui libri, però, si studierà il frutto di una precisa sofisticazione del complotto, nella quale chiaramente il complotto non esiste, dato che la narrazione avverrà a opera dei vincitori, o usurpatori, dei quali è doveroso dare l’idea di “salvatori di popoli, esportatori di democrazia, buoni e necessari”. E saranno loro, poi, a mettere in giro, sottobanco, la teoria del gombloddoh. Una delle più raffinate tecniche psicologiche del complotto è il panico morale ovvero l’individuazione di un nemico esterno che rappresenti, per la maggioranza, un pericolo di qualche tipo; un fenomeno di disorientamento collettivo ingiustificato nei confronti di qualcosa o qualcuno vissuti come minaccia, come dannosi, in certi casi addirittura letali, alimentato senza tregua da notizie miranti a scatenarlo e ingigantirlo. Un vero e proprio sistema di martellamento che passa dai più primitivi passaparola e/o sentito dire, false notizie come pettegolezzi (nei livelli più ordinari della piramide “social”) fino ai più tecnologici articoli online, spot eccetera (nei livelli più elaborati). In questo caso, accade che un gruppo anche molto eterogeneo al suo interno, che spontaneamente non si verrebbe mai a creare, governato da spirito gregario, si spinga coeso e violento contro un singolo o una minoranza. Assistiamo all’induzione della paura negli individui come strumento di controllo. Essi, infatti, non esistono più separati dal gruppo cui fa capo un’energica eggregora, sapientemente costruita con specifici rituali subliminali di formule verbali (slogan: andrà tutto bene, distanti ma uniti, io resto a casa) e simboli (mascherine, guanti, distanziamento sociale).
Mi piacerebbe fare un paio di esempi pratici per chiarire quanto ciò sia storicamente dimostrabile. Nel 1487, fu scritto e messo in giro a opera di due frati domenicani, tali Sprenger e Kramer, un testo che si chiamava Malleus Maleficarum, il quale aveva come obiettivo identificare in maniera inequivocabile la strega al fine di attuarne l’eliminazione per mezzo del rogo emesso come condanna dal Tribunale dell’Inquisizione. Una delle caratteristiche fondamentali della strega delineate dai due era l’essere donna. Il che significava mettere sull’attenti già più della metà della popolazione, inserendo un elemento di disturbo nello svolgersi pacifico del matriarcato rurale.
La strega è donna poiché la donna, per sua diabolica connaturazione, è strega: non possiede l’anima, è difettosa dalla Creazione ed è relegata al livello del suo animale famiglio, il gatto nero. Il presupposto fu fortemente misogino e si fondava sulla convinzione, da alcuni teologicamente sostenuta, dell’inferiorità spirituale della donna rispetto all’uomo (per amore di giustezza, oggi pare che la Chiesa Cattolica abbia risolto il problema appellandosi a un frivolo misunderstanding linguistico: Gregorio di Tours, nella sua Storia dei Franchi, ricorda che al Sinodo di Mâcon, del 486, uno dei prelati osservò che “non si dovevano includere le donne nella definizione di uomini”, dando alla parola “homo” il senso restrittivo del vocabolo latino VIR [maschio]. Aggiungeva che, citando le Sacre Scritture, le argomentazioni dei vescovi gli fecero abbandonare questa falsa interpretazione, il che pose fine alla discussione. Gli autori della Grande Enciclopedia del XVIII secolo, però, avrebbero sfruttato questo incidente insignificante, neanche menzionato nei canoni del Concilio, per dare a intendere che si negava alla donna la natura umana). Questo fatto fu largamente accettato, anche perché si collocava in un periodo in cui la Chiesa esercitava un terrore ineguagliato e faceva leva sull’asservimento delle genti, perlopiù contadine, illetterate e superstiziose. Sappiamo che i roghi della caccia alle streghe furono un brillante stratagemma per sopprimere fastidiosi eretici e scomode minoranze. La strategia inquisitoria fu una tattica politico-militare che servì per abbattere ogni residuo di paganesimo naturale o magico presente nelle culture campestri e imporre la “religione di Stato” e il Patriarcato, distruggere la Dea Madre (relegata a un minino culto mariano) e centralizzare il potere temporale e spirituale nelle mani del Papa, uomo.
E ancora.
Nel 1610, il Paladino d’Ungheria, György Thurzó arrestò Erzsébet Báthory con l’accusa di omicidio seriale, tortura e stregoneria. L’obiettivo era sottrarle l’immenso potere e le ingenti ricchezze, detenuti in virtù del suo titolo in comunione con quello del marito, Ferenc Nádasdy, personaggio di grande rilievo che aveva ottenuto prestigio dagli eroici servizi prestati alla Corona, durante la guerra dei Trent’anni. Abbiamo ragione di credere che la morte improvvisa e prematura di Ferenc non fu che il principio della trama ai danni della Contessa poiché Mattia II, re d’Ungheria, aveva contratto con suo marito un considerevole debito che non intendeva estinguere. Per questo motivo, si appalesa il sospetto di un omicidio meditato al fine di lasciare sola la giovane moglie che, vulnerabile e senza protezione, avrebbe facilmente ceduto alle pressioni politiche e depennato il debito, nonché consegnato il suo patrimonio. Ma le cose andarono diversamente: Erzsébet si dimostrò inaspettatamente tenace e agguerrita, determinata a conservare il suo ruolo di potere, mossa da una profonda responsabilità verso la servitù e le popolazioni dei territori di sua proprietà. Iniziò così la messinscena giuridica più clamorosamente fake della storia d’Europa: due procedimenti penali zeppi di violazioni e incongruenze, false testimonianze, assenza di prove evidenti e fisiche dei reati di cui fu accusata, errori di trascrizione, dichiarazioni multiple della stessa persona, ambiguità processuali, condizionamento psicologico dei testimoni, tortura dei testi principali, impossibilità dell’accusata di deporre in tribunale e di essere rappresentata da una figura giuridica che potesse difenderla, arresto con condanna a clausura forzata a vita, prima dell’istituzione del processo. Ciò fu possibile, nell’indifferenza dei molti complici e nella corruzione dei pochi decisivi, poiché la portata della montatura delle informazioni fu capillare e poggiava sul senso di ossessivo terrore suscitato dai racconti di morte, violenza, sevizie e sadismo.
Mentre i due fatti succitati accadevano senza un esatto programma, o forse sarebbe meglio dire in assenza di una precisa Agenda, invece, in tempi più recenti, accadde qualcosa di decisamente nuovo.
Nel 1920, lo psicologo statunitense John B. Watson, padre del Comportamentismo, dichiarò: “Datemi un bambino e lo trasformerò in qualsiasi tipo di uomo”. Con un suo esperimento, chiamato “Little Albert Experiment”, condotto alla Johns Hopkins University di Baltimora, osservò che la forza dominante nel comportamento umano non è l’amore bensì la paura. Dimostrò come una mente non sviluppata in maniera adeguata, può essere controllata dall’esercizio della paura, innescando un sistema di azione-reazione che, pur con molteplici variabili e combinazioni di rinforzo, risulta sempre prevedibile, dunque anche gestibile dall’esterno, ovvero manipolabile. Da un certo momento in poi, le conoscenze derivanti da questi ed altri studi, furono traslate sul piano sociale e applicate secondo un metodo sistematico che andava dai modelli più aggressivi e individuali, come il leggendario Progetto di programmazione Monarch, MKULTRA, per scopi di intelligence internazionale, a quelli meno traumatici e collettivi, propri dell’ingegneria sociale, atti alla creazione di esseri che agissero nel mondo non come individui ma come perfetti ingranaggi di quella mostruosa macchina chiamata “mercato”.
Sul fondo storico della prima metà del ‘900, si stagliano, come sintomo di un Nuovo Ordine, ben tre figure cruciali per l’evoluzione dei tempi così come li conosciamo e li viviamo oggi: Sigmund Freud, padre della neonata pseudo scienza detta psicoanalisi, riduce l’uomo a un brutale agglomerato di istinti e bassezze inconsce e inconfessabili i quali tuttavia, suo malgrado e nella totale assenza di autocoscienza, dirigono la sua esistenza come cavalli imbizzarriti, rendendolo pericoloso per sé e per gli altri; John M. Keynes con il suo pensiero econòmico “rivoluzionario”, sostiene che lo Stato debba incentivare i cittadini a spendere, tramite l’imposizione fiscale e il saggio d’interesse, formulando la teoria secondo cui l’offerta non è in funzione della domanda ma la domanda è in funzione dell’offerta e prospettando un condizionamento al consumo proveniente dall’alto (con la generazione del bisogno e la compulsione alla sua soddisfazione), non più uno spontaneo movimento di relazione economico-sociale (com’era il baratto, ad esempio); Albert Einstein, con la Teoria della Relatività Generale, pone la prospettiva del mondo nell’ottica del particolare e sancisce definitivamente il divorzio tra la Fisica di laboratorio (che diviene, come mera Fisica Teorica, Scienza di Stato) e la pratica della realtà empirica oggettivamente esperibile da un corretto pensare.
Anche l’arte, ha una sua fetta di responsabilità. A partire da Andy Warhol, essa diviene sfacciato presupposto dell’entertainment, si mette supina alle richieste dei pubblicitari (che in quegli anni cominciano a occuparsi del “bisogno”). Entrando nella quotidianità dei supermercati e piazzandosi tra i banali beni di consumo popolare, l’opera d’arte precipita nell’abisso del “senza titolo” e perde d’autorevolezza, mentre il singolo qualunque s’innalza, sulle ali di ego, in cerca dei suoi quindici minuti di fama.
A nostra opinione, è alla Pop Art che dobbiamo la deriva animale dell’homo Sapiens Sapiens, strategicamente retrogradato a neanderthalensis. E così, fino all’arte performativa, alla body art, al corpo post organico e, infine, al post human. Diavolerie e deviazioni mentali patologiche, degne di ricovero in istituti di sanità mentale, sono fatte passare dai critici (nuovi kapò della kultura di Stato) per opere di grande intelletto. Lo spettatore, innocente e non ignorante, è posto nella condizione di sentirsi inadeguato e incapace a fruire un’opera d’arte troppo autoreferenziale, ego riferita che agisce solo per se stessa, a suo elitario uso e consumo, che nulla ha ormai da dare allo spettatore, ma che al più si svende a un mercato (vedi sopra) di mignotte, tutte prese in una infeconda masturbazione di gruppo. Tale seme creativo, perduto e sprecato, fa leva sul principio di autorità che rende succube e mette in soggezione il pubblico il quale, oltre al danno subisce la beffa: paga per sentirsi stupido.
È così che il pubblico-pagante/popolo-belante s’illude di determinare le sorti di tale artista/personaggio pubblico quando, invece, subisce solo una ben precisa scelta dall’alto che, come abbiamo già visto, è dispositivo vincente di addormentamento e manipolazione.
Tutto concorre a chiudere magicamente il cerchio “consumo/consumatore”: un drago che divora dalla coda la sua stessa brodaglia primordiale. Fino ad arrivare al punto in cui non è più possibile farsi autonomamente strumento di comprensione della complessità dell’essere in tutte le sue forme (religiosa, politica, economica, culturale), se non per obbligata intercessione di un “competente” il quale è stato insignito di tale onorificenza dalla medesima Istituzione che lo detiene entro un ambito predefinito, capretta nel recinto. A quello, e a quello soltanto, si deve delegare la decodifica dei simboli che ci parlano del mondo, dell’uomo e della società. E, senza verbo proferire, chinare grati il capo, ossequiosi, riverenti e consenzienti.
Ne deriva che il motto cartesiano “penso dunque sono” (già di per sé imbarazzante aborto del pensiero filosofico occidentale) si è tramutato in “penso dunque delego”, come se l’affidamento fideistico a un esperto qualunque fosse il risultato di un atto del pensare logico. Tale passiva immolazione a chicchessia, purché competente del suo settore, trasforma quest’ultimo in una sorta di stregone metropolitano futuristico cui si consegna, inermi e storditi, la propria sorte. Osserviamo un abuso di questo verbo, delegare, in quanto vessillo di civiltà. Tale diffuso parlare manifesta che non solo si delega una competenza specifica, bensì l’intero processo del pensare, e ciò vuol dire deresponsabilizzarsi!
La delega del pensiero funziona così: “Mi rifiuto di approfondire ciò che mi viene propinato dalla propaganda, quindi accetto ogni cosa senza obiettare, perché non posso certo pensare a tutto io! Mi devo fidare, devo delegare, allo specialista, all’esperto, a chi ha le competenze. Io, che ne so?”
Ed in questo incantesimo, nasce la burocrazia, l’orrido che fagocita la semplicità del fare! La burocrazia è entrata persino nelle dinamiche mentali, poiché compatibile con le tortuosità del pensiero riflesso, degli psichismi intellettualoidi dell’uomo non più avvezzo alla meravigliosa dimensione pratica dell’esistenza. Il terricolo ormai agisce come automa: non ha più un pensiero suo giacché, delegando e delegando, vive di pensati altrui. In questo modo, finalmente, il Fantoccio può sentirsi libero di (lasciarsi) vivere da istinti primari e sentimenti vili, tutto avvinto nella sensuale animalità sua.
Se invece di assumersi il principio di autorità in maniera passiva, l’uomo abbracciasse, con coraggio, il suo diritto naturale al pensare, interrogandosi e guardandosi dentro, penserebbe correttamente e anche le sue azioni sarebbero di qualità superiore.
Vorremmo, però, spezzare una lancia a favore degli attuali abitanti del pianeta Terra, considerando che essi non sono, in relazione a quanto appena analizzato, corresponsabili consapevoli del Sistema, operanti attivamente nella realtà. Essi non sono che manichini di carne, malati, inabili al pensiero individuale critico e oggettivo, vittime dell’istruzione di Stato, pedine prodotte allo scopo esatto di divulgare, nello sconfinato mondo delle ideologie, il Verbo distopico del sanguinario e sempre affamato Crono che non tarderà a saziarsene magno cum gaudio. Il fine, alla fine, non è tanto il temutissimo transumanesimo quanto il già presentissimo sub-umanesimo.
Quanto solo brevemente accennato è tutto contenuto in questo terzo libro di Nereo Villa. Quando mi è stato proposto, in vista di una pubblicazione, non avrei mai immaginato di avere per le mani un testo così significativo.
In questi due anni di pandemia, diversi scrittori hanno trattato l’argomento da svariate prospettive: economico-finanziaria; geopolitica; spirituale; sociale; culturale, psicologica; letteraria e filosofica. Chili di carta non riciclata è stata utilizzata per affrontare il tema calzante della farsa virologica.
Tanti si sono precipitati alla stesura di guide essenziali per la massima comprensione di questi giorni in cui l’avanzata dell’Avversario appare assai visibile e riconoscibile.
Molti sedicenti spiritualisti, anche antroposofi, hanno percepito il giusto dispiegarsi degli eventi a livello sottile, sepolto sotto la fumosa coltre del resoconto mainstream. E hanno fondato la propria resistenza filosofica al Sistema sull’ingerenza degli Ostacolatori arimanici e asurici che oggi lavorano a pieno regime, anzi, a cottimo. Il gap di fondo è che spesso mischiano newagismi tossici ad assiomi culturali altrettanto tossici ovvero di riferimento tristemente masso-mafiosi. Altri biascicano dogmi disgraziatamente cattolici. Quelli, invece, che si sentono esoteristi nerboruti lasciano l’argomento fuori dal tempio, perché loro, con la sex magick e i grimori, hanno già capito tutto.
Accade, dunque, che le argomentazioni addotte catapultino le obiezioni alla narrazione ufficiale in una dimensione totalmente aliena, spesso alienata, rispetto alla realtà in cui si muovono e disputano gli “altri” che traggono da ciò materiale grottesco di cui farsi platealmente beffe.
Ciò causa un abbassamento del livello di discussione e una frattura sociale sempre più insanabile: da una parte, i “collaborazionisti” schiavi del potere e, dall’altra, i “resistenti” schiavi dell’ignoranza. Un gioco al massacro, stabilito al vertice del potere politico-economico, tra individui squilibrati, tristemente polarizzati (stremati, per lungo tempo, da misure di sicurezza e norme giuridiche illogiche e schizofreniche), sì da risultare deprivati della facoltà mediatrice del giusto pensare.
Del tutto avulsi dalla compassione, dall’ascolto dell’altro e dall’accoglienza del diverso, viviamo tempi in cui la morale buonista, figlia deforme dell’aberrante matrimonio tra le muse inquietanti, cancel culture e politically correct, perisce sotto i suoi stessi colpi. Inesorabile avanza il puzzo di putrefazione degli schizoidi sentimentali, tutti pisellòv, col cerebro in pappa di marijuana, sbandieranti Friday for the Future, che si strappano le treccine per le microplastiche che affogano la fauna del Pacifico, mentre sorseggiano, con cannuccia, una bibita gasata del McDonald’s, rinunciando all’unica lotta necessaria, la “guerra santa” interiore, alla conquista della Gerusalemme celeste.
Il lavoro in oggetto alla dissertazione, immenso per portata scientifica e filosofica, è proprio ciò di cui c’era più bisogno. È l’unica risposta concreta alle aporie, spudoratamente manifeste, che il cercatore serio e bilanciato osserva nel tempo storico presente.
All’interno di una contestualizzazione tecnico-scientifica, di matrice attualissima, sullo sfondo di uno scenario economicopolitico vigente e futuribile, l’Autore inserisce la presente e stringente attualità, eseguendo un’analisi lucida e cruda della condizione dei governi mondiali, costruendola sulle premesse della tri-articolazione dell’organismo sociale vista da Steiner.
Nonostante il tema in apparenza ostico e astratto, scienza, economia politica e loro intrinseco rapporto alla base dell’attuale crisi europea, l’opera possiede un pragmatismo sorprendente. È chiara e semplice e si offre scorrevole anche al lettore meno esperto. Ciò che Villa fa è stimolare la capacità critica del lettore non con lo svolgimento didascalico dei concetti, ma stimolando l’intelletto e incoraggiando la riflessione.
Scopriamo, capitolo dopo capitolo, che le circostanze contingenti di oggi sono il risultato di prodromi rintracciabili in tempi già molto remoti. La causa a monte della pseudoscienza e della derivante anti scientificità di decreti ministeriali, restrizioni politiche sedicenti sanitarie, false misure di contenimento dei contagi, senza dubbio liberticide e pure antidemocratiche, sono figlie di una mentalità sbagliata, distorta e marcia delle sue buie radici e costituiscono, per certo, un crimine contro tutta l’umanità.
Il modello keynesiano e la Relatività Generale einsteiniana sono messi in intima interrelazione poiché sono considerate l’uno effetto dell’altra. Si parte dal sottinteso esplicito che la teoria di Einstein si è basata su informazioni incomplete non verificate e considerazioni che nulla hanno a che vedere con l’esperienza del reale, giacché la realtà la smentisce quotidianamente (come il giroscopio sugli smartphone, per esempio).
E il britannico Keynes, sulla falsa riga dello scienziato tedesco, ha teorizzato un vero e proprio regime economico politico altrettanto fittizio che, slegato dalle esigenze tangibili dell’organismo sociale vivente, si limita ad imporre dall’alto le leggi economiche senza rispettarne la ragion d’essere pratica.
Nonostante i problemi posti dal suo Autore, la bellezza di questo testo sta nel fatto che da ogni parola scritta emerge la soluzione: il “corpo sociale” è articolato come il corpo umano. Il rapporto tra i due è una spirale aurea, l’unica con fattore di accrescimenti tendente alla massima bellezza e perfezione. Insieme, essi perseguono la ricerca e la centralità del buono, del bello e del vero.
In conclusione, uno s’interroga: allora è proprio vero questo, che si può cadere in errore suggestionati dalla filosofia e dalla cultura occidentale, se si trascura che esiste anche altro al di fuori di essa? Sì, quel che esiste al di fuori di essa è l’Essere. SUM ergo cogito. Chi guarda i segni del tempo presente e vi vede il futuro usa il pensiero vivente.
Viene chiamato profeta e si dice che abbia delle visioni. Ma la visione è il pensare che coglie se stesso nella sua scaturigine soprasensibile, di là dal riflesso mentale, e si traduce in un’emozione superiore che si rivela come immagine.
Nina Camelia, 22/02/2022
Crea il tuo sito web con Webador