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ZENONINSTEIN

In FISICA QUANTISTICA è stato dimostrato “sperimentalmente” un effetto noto come “Quantum Zeno Dynamics”, ispirato a Zenone di Elea (Misra, B. & Sudarshan, E. C. G. “The Zeno’s paradox in quantum theory” J. Math. Phys. 18, 756-763, 1977; Itano, W. M., Heinzen, D. J., Bollinger, J. J. & Wineland, D. J. “Quantum Zeno effect” Phys. Rev. A 41, 2295-2300, 1990; Facchi, P. & Pascazio, S. “Quantum Zeno subspaces” Phys. Rev. Lett. 89, 080401, 2002). Ma chi era costui?

Il presocratico Zenone, vissuto nel V secolo a.C. ad Elea, situata in Lucania (Basilicata, Italia), divenne famoso per una serie di argomenti che presero tradizionalmente il nome di "paradossi di Zenone". Da giovane me interessarono quelli aventi come tema il movimento, perché ancora oggi (2024) costituiscono il problema della continuità, dato che movimento e continuità sono essenzialmente legati (https://www.ospi.it/wp-content/uploads/storico/pdf/i%20paradossi%20di%20Zenone.pdf).

Il paradosso di Zenone sulla dicotomia all’infinito afferma che per attraversare una stanza bisogna prima raggiungerne la metà ma che per arrivarci bisogna prima coprire un quarto della distanza, e così via, e così via in un numero infinito di distanze decrescenti.

In base a questa logica l’uomo non potrebbe mai muovere neanche il primo passo. Zenone avrebbe così dimostrato che il movimento è impossibile.

Questo modo di ragionare è però solo logica astratta, non logica di realtà, dato che in realtà sappiamo tutti benissimo attraversare una stanza.

Tutta la teoria della relatività di Einstein è una simile congettura di logica astratta. Ed Einstein trova infatti sensato affermare che una velocità finita è infinita, dicendo: “Nella nostra teoria […] la velocità della luce gioca fisicamente il ruolo di una velocità infinita” (A. Einstein, Ann. Phys. 17, 891, 1905).

Egli perciò, riproducendo nella sua fisica teorica il paradosso di Zenone, o knabenphysik (letteralmente: fisica da ragazzini, così fu soprannominata la fisica quantistica ai suoi inizi) regredisce in una sorta di mediocrità omologata al sofismo di 2300 anni fa, bloccandosi in una scura strada a spirale infinita ma spacciata (nelle sue formule matematiche) come finita, e quindi in contraddizione perfino col suo mentore: Zenone d’Elea.

La buona strada della Fisica classica fu infatti irrazionalmente abbandonata all’inizio del 1900. Occuparsi della cosiddetta velocità della luce significava infatti avere a che fare con le proprietà elettriche e quelle magnetiche del mezzo (Etere) in cui il fenomeno luce appariva (e appare) ma che Einstein eliminò per far quadrare meglio i conti, anzi i calcoli di sua moglie Mileva Maric, dato che è notorio che in matematica Einstein non fosse molto abile. Tutta la relatività di Einstein dovrebbe chiamarsi relatività di Maric, cioè di una donna, che dai suoi calcoli matematici formalmente perfetti, risultò di fatto incapace di accorgersi della differenza tra finito e infinito, o capace solo di relativizzare la sua stessa capacità di attraversare una stanza.

L’eliminazione einsteiniana dell’Etere comportò per la Fisica un’enorme serie di problemi, i quali costrinsero poi a congetturare teorie sempre più astruse e complicate per far fronte alla banale aporia che in realtà ci muoviamo in un mezzo etereo, appunto l’Etere, e non nel vuoto, non nel nulla, come sognò infantilmente Einstein per poter maneggiare una fisica totalmente mentale e del tutto priva di connessione con la vita reale sperimentativa.

Quella di Einstein fu una fisica malata: una congettura astratta, simile alle antiche congetture di Zenone d’Elea, valide forse per la Settimana Enigmistica, ma in verità valide solo per tagliare le gambe allo stesso pensare umano che le formula, dunque per sottomettere l’uomo ad un proprio simile-ma-dissimile (o solo formalmente simile), in quanto caratterizzato dalla capacità logico-paranoide di generare malattia e contagio (1).

Oggi tutta la vita culturale e sociale procede purtroppo secondo simili congetture malate, secondo le quali il “contribuente” (i.e.: l’“onesto cittadino che paga le tasse”) si trova in condizione di non essere più capace di distinguere fra vita reale e vita virtuale. Perfino i buchi neri “fotografati” quasi ogni giorno da nuovi “fotografi” rientrano in questi giochetti enigmistici a raggi gamma! Per cui tutti i credenti si affannano a dire che Einstein aveva ragione.

Eppure Einstein nel 1939 pubblicò un lavoro in cui dimostrò che nessun collasso di nessuna stella può portare alla formazione di un buco nero (A. Einstein, Ann. Math., 40, 1939, 922). Azz! Voi non dite “Azz!”? E allora lo dico io.

Pertanto oggi si potrebbe dire con la stessa imbecillità di chi non dice “Azz!” che il buco nero “fotografato” è la conferma e contemporaneamente la sconferma della relatività di Einstein…

***

(1) “Istintivamente, o inconsciamente, il logico paranoide è portato a trasmettere il proprio male: perché soltanto contagiando la moltitudine, il suo dialettismo rientra nell'ordine della normalità, ossia nell’ordine di una generale necessità, a lui indispensabile come forma di un valore etico: in ciò facilitato dalla stampa, dalla radio-televisione, dalla pubblicità, che oggi sembrano funzionare come suoi appositi strumenti. Il collettivo riconoscimento di una “verità” oggettiva, in quanto trasmessa secondo canone logico-dialettico, operando come una fede, è ciò di cui egli necessita come di un sostegno mistico. Infatti, per istinto sente l’irrealtà della sua dialettica, e per istinto cerca un appoggio extradialettico: tende a suscitare la fede più facile, quella che oggi tutti devozionalmente accordano ai risultati dell’indagine scientifico-razionalistica, senza esigenza di verifica. Il contagio dialettico è il più facile, perché fa presa sull’inerzia mentale tendente a darsi giustificazione filosofica e logica evitando sforzo d'autoconoscenza” ( Scaligero, “La logica contro l'uomo”, Ed. Tilopa). Tale inerzia è appunto il principio dell’alterazione mentale, o l’alterazione che comincia a divenire normalità, in quanto risponde a uno scadimento del pensare in dialettismo, e al dialettismo come discorso indipendente dal pensare. Il catechismo scientifico che ne deriva “assume in tal senso la funzione che oggi può essergli più regolare: operare per la fede che risponde alla segreta necessità del mentale alterato: servire i processi della corporeità e della materia mitizzata e culturizzata” (ibid.). Una psichiatria sociale del mentale alterato diventa perciò necessaria. La diversità di funzioni tra cervello e cranio da una parte, e midollo e colonna vertebrale dall'altra, è osservabile: l’osservare connesso al riflettere dovrebbe già di per sé garantire l’iniziale terapia psichiatrica: la colonna vertebrale si protende all'interno del corpo umano; il cranio ne è posto fuori, quasi che la parte superiore della colonna vertebrale tenda ad esporsi verso l’esterno, mutando, cioè, dall’interno all’esterno, la propria collocazione. All’interno di questi due “contenitori”, la grande massa del cervello si distingue dall’altra parte che vi discende appesa come uno stelo: la brevità con cui il midollo spinale, tramite i nervi che da questo si diramano, effettua le sue operazioni, permette di compiere movimenti d’urgenza, atti istintivi di difesa contro stimoli nocivi o dolorosi, movimenti che non potrebbero attendere la riflessione pensante proveniente dal cervello. Il cervello presiede alla funzione coordinatrice generale, alla riflessione, alla consapevolezza, ecc. Invece il midollo spinale ha una funzione che si potrebbe chiamare extra-corticale, in cui non vi è il tempo per riflettere ed agire, bensì solo per reagire istintivamente, senza averne piena coscienza. Tutto ciò che nel midollo produce reazione, nel cervello si trasforma nella possibilità di azione mediata dalla riflessione. D’altra parte, il compito del sistema simpatico, anche se diverso da quello del sistema nervoso centrale, è integrato e complementare ad esso. Mentre il sistema nervoso centrale ha la funzione di trasmettere al meglio le impressioni esterne fino all'io, l’opposta funzione del sistema simpatico consiste nel tenerle lontane. Le tiene lontane dalla consapevolezza dell'Io. Si prendano per esempio le attività metaboliche di trasformazione delle sostanze introdotte dall’esterno: sarebbe di estremo disturbo dover partecipare coscientemente alla distruzione e alla produzione dell’energia indispensabile per tutti gli eventi necessari, dalla sintesi delle proteine, degli zuccheri e dei liquidi, al battito di una ciglia, alla contrazione di un muscolo, al trasporto attivo di molecole attraverso la membrana cellulare. Questo divenir coscienti dei nostri processi nutritizi sarebbe una continua fonte di dolore (cfr. G. Wachsmuth, “Le forze plasmatrici eteriche, nel cosmo nella terra e nell’uomo”, trad. it. Atanor, 1929; vedi anche la nota 2 in Nereo Villa, “Il geroglifico dell’infinito). Il decadimento dell’uomo nella relatività è appunto come il ragionare di pancia, cioè l’accettare PENSATI come dogmi di fede senza averli prima interiormente osservati alla luce del pensare, come se il pensare fosse doloroso. Azz!