Induzione e Deduzione


Ancora sul Moto Pendolare Vivente

Appunti del 2003 di Nereo Villa sul moto pendolare vivente che costituiscono il continuo della pagina precedente.

La spiegazione delle Contraddizioni

Si propone di risolvere le contraddizioni legate alle discipline scientifiche e umanistiche spiegando che la scienza moderna non può procedere rigettando o derealizzando quella antica.

Il Mistero della Volontà e Consapevolezza

È un'importante conferenza tenuta da R. Steiner sul mistero della volontà e l'importanza della consapevolezza, come descritto anche in “La filosofia della libertà”.


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Appunti del 2003 di Nereo Villa sul moto pendolare vivente

Oscillando alternativamente, tra polo materiale e polo immateriale, sempre attraversando quello dell’attività interiore, l’io dà origine a un moto ascendente, afferente o di “inalazione” e a un altro moto discendente, efferente o di “esalazione”. Analizzando questo fenomeno in merito al processo della cosiddetta “cognizione sensibile”, sono emersi (nel MOTO PENDOLARE VIVENTE https://gratis-4733139.webadorsite.com/moto-pendolare-vivente due fatti: uno di ordine dinamico e l’altro di ordine qualitativo. Dinamico o vivente è infatti il movimento stesso dell’Io, mentre qualitativa è l’enantiodromia, cioè quel rovesciamento nell’opposto, che permette all’individuale, in fase di “inalazione” (inspirazione), di farsi universale (come è evidente nel conoscere) e all’universale, in fase di “esalazione” (espirazione), di farsi individuale (come è evidente nel creare).
Riprendo ora l’argomento del MOTO PENDOLARE VIVENTE https://gratis-4733139.webadorsite.com/moto-pendolare-vivente per evidenziare ancora due punti: PRIMO PUNTO) che tale movimento implica un occulto legame tra l’attività conoscitiva e quella morale; SECONDO PUNTO) che la fase in cui si ascende dall’individuale all’universale sottende il procedimento logico dell’INDUZIONE, così come la fase in cui si discende dall’universale all’individuale sottende quello della DEDUZIONE.

Per quanto riguarda il PRIMO PUNTO, occorre riflettere sul fatto che, come l’esalazione presuppone un’inalazione e l’inalazione un’esalazione, così l’attività morale ne presuppone una conoscitiva e quella conoscitiva una morale. La differenza che si può notare è, però, che tutto ciò che è presupposto sul piano materiale fisiologico è esplicito o palese; invece tutto ciò è presupposto sul piano immateriale è implicito o nascosto. Ciò che viene creato nel mondo materiale è infatti occultamente conosciuto (intuito) in quello immateriale, invece ciò che viene conosciuto nel mondo materiale è occultamente creato (ri-creato) in quello immateriale.
Nascendo il bene dalla verità e la verità dal bene (come il male dalla menzogna e la menzogna dal male), è dunque importante capire che l’uomo moderno, essendo ormai pervenuto all’intellettualità, all’autocoscienza e alla libertà (alla libertà “da”), non può più godere della verità godendo del bene come ai tempi (lontanissimi) in cui il pensare era ancora unito al volere, ma deve, per poter godere del bene (della volontà), conquistare la verità (del pensare), e muovere da questa. Questa realtà è spiegata anche nella scienza antica, dato che al riguardo il vangelo dice: “Chi non entra nell’ovile per la porta, ma vi sale da altra parte, è ladro e assassino” (Giovanni 10,1).

Coloro che oggi non vedono l’importanza della scienza antica o che si occupano superficialmente di questa o di sé stessi per ritrovarla in sé, diventano inautentici. Il buonismo ne è la conseguenza odierna.

Cos’altro fanno infatti i cosiddetti “buonisti” se non preoccuparsi di essere “buoni” senza prima preoccuparsi di essere “veri”? Non si usa dire, appunto, che “le vie dell’inferno sono lastricate di buone intenzioni”? Quanti oggi lamentano una “perdita dei valori”, farebbero bene dunque a ricordare che, essendo anche la verità un valore, dove non ci sono più valori, vuol dire allora che non c’è più verità.

Per quanto riguarda il SECONDO PUNTO, occorre invece realizzare che senza il “moto pendolare vivente”, illustrato da R. Steiner nella sua Scienza della Libertà, non avremmo né INDUZIONE, né DEDUZIONE. Una cosa sono infatti l’INDUZIONE e la DEDUZIONE (in sé), un’altra cosa è il tipo (o il livello) di consapevolezza che ne abbiamo. Infatti, l’ordinaria coscienza intellettuale (o rappresentativa), ignorando sia il movimento che l’enantiodromia, le conosce nella misura in cui le estrapola o astrae dal vivo insieme, di cui sono momenti: le isola e le contrappone (in ossequio alla logica analitica e al principio d’identità).
Dice lo Zingarelli che l’induzione consiste “nel ricavare da osservazioni ed esperienze particolari i principi generali in esse impliciti”, mentre la deduzione consiste “nel derivare, da una o più premesse date, una conclusione che ne rappresenta la conseguenza logicamente necessaria”. Come si vede, è detto che l’induzione consiste, NON nel fare dell’individuale un universale, bensì nel “ricavare da osservazioni ed esperienze particolari i principi generali in esse impliciti”.

Ma perché lo Zingarelli scrive così?

Perché il procedimento deduttivo ha caratterizzato l’antica metafisica, mentre quello induttivo caratterizza la scienza moderna. E la moderna induzione scientifica ha appunto sostituito l’UNIVERSALITÀ con la GENERALITÀ, e la NECESSITÀ con la PROBABILITÀ.
L’antica metafisica, fondandosi unilateralmente sulla deduzione (deduzione logica), alterava però il rapporto dell’uomo col mondo (sensibile) del percepibile, così come la scienza moderna, fondandosi unilateralmente sull’induzione (empirica), altera il rapporto dell’uomo con il mondo (immateriale o spirituale) del pensiero.
Osservare per ricercare l’idea (la legge) oggettiva che è NEL fenomeno è cosa infatti ben diversa dall’osservare per congetturare o opinare soggettivamente SUL fenomeno (muovendo dal DOGMATICO pregiudizio e/o presupposto che la sua essenza o non esista o sia irraggiungibile).

In Goethe – osserva ad esempio Bruno Maffi – “da una visione del mondo che è insieme partecipazione poetica e presa di possesso razionale, partono i grandi fasci di luce che lo guidano nella selva “delle esperienze e degli esperimenti”, ma l’idea non si sovrappone meccanicamente ai fatti; se ne nutre, si sviluppa e si articola a contatto col mondo reale; è insieme il punto di partenza e il punto di arrivo dell’osservazione” (B. Maffi: nota introduttiva a “Scritti scientifici” in J. W. Goethe: “Opere”, Ed. Sansoni, Firenze 1961, vol. V, p.3). Tuttavia è così nella misura in cui è appunto attraverso l’IDEA che si manifesta (nell’interiore attività umana, detta anima) l’essenza (l’entelechia) del fenomeno. Ecco perché “l’essenziale nell’idea NON È il fatto che l’idea si manifesti nel soggetto umano, ma che appaia inerente all’OGGETTO SPIRITUALE (o immateriale), così come il colore è inerente a un oggetto sensibile; e che l’anima umana – il soggetto – percepisca in quello l’idea, come l’occhio percepisce il colore nell’essere vivente” (R. Steiner, “La mia vita”, Ed. Antroposofica, Milano 1992, p. 71).
PERTANTO, dell’ODIERNO (2024) procedimento “scientifico”, è qui in discussione NON il momento “a-posteriori” della verifica sperimentale dell’idea, bensì quello “a-priori” dell’idea.
Che idea ha infatti dell’“idea” l’odierno scienziato? Forse quella fornitagli dalla neurofisiologia o dalla neurobiologia? E cioè di una specie di “cosa”? Oppure quella fornitagli dalla cibernetica? E cioè di una mera “informazione”?
Fatto sta che una cosa sono le idee della scienza (ossia, la coscienza), altra è la scienza delle idee (ossia, l’autocoscienza).
Significativo, del resto, è che oggi la cosiddetta “comunità scientifica” si preoccupi molto degli aspetti strumentali e finanziari della “ricerca”, ma assai meno delle idee che dovrebbero ispirarla, guidarla e orientarla.
E la cosa è DRAMMATICA, poiché quanto più la scienza (galileiana) si allontana dalla realtà inorganica per inoltrarsi, con immutata forma mentis, in quella organica (e, a maggior ragione, in quella animico-spirituale), tanto più PROCEDE PERICOLOSAMENTE a “tentoni” come un cieco, dopo essere passata dall’universalizzare al generalizzare e dal generalizzare al procedere.
Come la metafisica è finita col perdere di vista i fatti, così la “scienzah” con l’acca è finita col perdersi tra i fatti. Oggi, tuttavia, anche alcuni rami della Fisica moderna, quali ad esempio la “Cosmologia” o la “Fisica delle particelle elementari”, hanno finito – al pari della metafisica – col perdere di vista i fatti, per librarsi in un iperuranio di carattere matematico. Mentre in alcuni casi, quindi, il pensiero allontana dalla realtà sensibile, in altri la realtà sensibile allontana dal pensare. Ed è appunto in questi che si finisce con lo smarrirsi tra i fatti e col cadere nell’empiria: nella posizione di chi si affida all’esperienza, non per ricavarne – come sarebbe legittimo – la conferma o la smentita di un’idea, ma per stare semplicemente a vedere, a prendere atto e a registrare quel che succede. O, peggio ancora, per perseguire fini utilitaristici (più o meno personali). Ecco infatti ciò che nel 1998 scrisse al riguardo (non è che un esempio di giornalismo, che dimostra la gravità di ciò che continua a succedere) Riccardo Chiaberge (parlando del libro “Cloni” di Gina Kolata): “Quello che più impressiona, in queste pagine, è il ritratto impietoso di una comunità scientifica divorata dall’ambizione e dal business. Una comunità che ha smarrito ogni bussola morale, che non sa più qual è il suo ruolo nella società” (R. Chiaberge: prefazione a Gina Kolata: “Cloni – Da Dolly all’uomo?”, Ed. Cortina, Milano 1998, pp. XV-XVI).
Ma non è che la comunità scientifica non sappia “più qual è il suo ruolo nella società”, è che non sa più quale sia il ruolo della conoscenza e della scienza nella vita degli esseri umani. E non lo sa, perché non sa più, o non sa ancora, che cos’è un essere “umano”.
Scrisse al riguardo Steiner, più di un secolo fa: “Ogni scienza sarebbe solo soddisfacimento di inutile curiosità, se non tendesse a elevare il valore dell’esistenza della persona umana. Le scienze acquistano il vero valore solo mostrando l’importanza umana dei loro risultati. Scopo finale dell’individuo non può essere la nobilitazione di una singola facoltà dell’anima, ma lo sviluppo di tutte le facoltà che sono latenti in noi. Il sapere ha valore soltanto se fornisce un contributo per lo sviluppo complessivo di tutta la natura umana” (cfr. R. Steiner, “La filosofia della libertà”, Ed. Mondadori, Milano 1998, p. 240).
Si tenga oltretutto presente che, là, dove si cade nella mera empiria “scientifica”, si rinuncia per ciò stesso a una delle caratteristiche proprie della scienza, cioè al suo potere di previsione. Il che – superfluo dirlo – è oggi oltremodo inquietante, dato che gli “scienziati”, arrivati a investigare e a manipolare economicisticamente perfino la realtà genetica, climatica e quant’altro, non sanno nemmeno distinguere uno sgabello da un "gatto morto".

Bibliografia

www.ospi.it/2003/03/04/induzione-e-deduzione/