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Cosa risiede nell’attività del giudizio umano?
Pinco dice che per giudicare ci vuole non solo il pensare ma anche il sentire, il sentimento, la bontà d'animo.
Pallino invece non è d'accordo perché il ragionamento e il sentimento sono essenzialmente differenti tra loro e l’obiettività del giudizio non può essere compromessa con qualcosa di soggettivo come il sentire.
Chi ha ragione?
Osservo dunque da un lato che l’attività del giudizio ha naturalmente a che fare con qualcosa di ben oggettivo, per cui il contenuto del giudizio dev’essere oggettivo. Quando però giudico, viene già in ballo tutt’altro: per il fatto che le cose sono oggettivamente giuste, queste non sono però già coscienti nella mia anima; devo prima rendervele coscienti, e ciò non può avvenire senza la cooperazione del sentire (attività del sentimento).
Perciò Pinco e Pallino possono essere d’accordo dicendo: “Sì, il contenuto oggettivo del giudizio è assodato al di là del sentimento, ma affinché nella nostra umana e soggettiva attività interiore possa formarsi la convinzione della giustezza del giudizio, deve intervenire l’attività del sentire”.
In breve, posso perciò dire che il giudicare è deputato a scoprire come stanno oggettivamente le cose, mentre il sentire è deputato a sancire l’oggettività (o la giustezza) del giudizio, mediante "convinzione" o “persuasione”.
La cosa merita di essere approfondita. Cosa faccio, in realtà, quando dico: “L’uomo dev’essere buono”? Unisco mediante il giudicare, cioè mediante il “dev’essere”, il concetto di “uomo” al concetto di “buono”. Quale forza quindi opera nel giudicare? Quella appunto del sentire o, più precisamente, del sentire nel pensare. Infatti è su questa forza che si basa la logica, ed è sempre grazie al sentire nel pensare che avverto l’illogicità o la sconclusionatezza di un giudizio, così come avverto una “stonatura” musicale. Non sento appunto alcuna “stonatura” logica solo quando tra i concetti, per dirla con Goethe, c’è “affinità elettiva”. Ecco perché Mozart (1756-1791), componendo, diceva: “Cerco due note che si amano”. Allo stesso modo, giudicando, si potrebbe dire: “Cerco due concetti che si amano”.
Ma perché i concetti si amano e si ricercano? Perché l’intelletto li SEPARA (come singole tessere) dal loro mondo unitario (dal mosaico), li isola, e li rende per ciò stesso - come dice Hegel “irrequieti”.
Il concetto non è altro che un singolo pensiero isolato dall’intelletto e, grazie alla mia ragione, tali isolati concetti diventano parti di un tutto, idee, configurazioni create, appunto, dalla ragione (cfr. R. Steiner, “Linee fondamentali di una gnoseologia della concezione goethiana del mondo”).
Ognuno deve dunque alla “ragione” o all’indeterminata attività del giudicare (in cui è attivo - come detto - il sentire nel pensare) la facoltà di formulare giudizi determinati.
Goethe diceva che la cosa più difficile era vedere con i propri occhi ciò che si ha sotto il naso. Ognuno ha appunto “sotto il naso”, dalla mattina alla sera, i propri giudizi. In effetti “la cosa più difficile” è proprio questa: vedere, coi nostri occhi, non solo come si formano i nostri giudizi ma anche come questi giudizi si trasformino infine in rappresentazioni.
Di fatto siamo innanzitutto incoscienti del modo di essere e di agire della nostra coscienza (ordinaria), dato che abbiamo, sì, coscienza della rappresentazione ma non abbiamo coscienza degli elementi di cui tale rappresentazione è sintesi, né dei processi di cui è l’esito (cerebralmente riflesso o speculato).
Per il fatto che gli oggetti percepibili sono oggettivamente giusti, questi non sono però ancora coscienti nella nostra attività interiore, detta ANIMA. Una cosa, infatti, è la verità, che sta nel mondo (la verità del mondo), altra cosa è la coscienza della verità, che è dentro la nostra anima ma che non può starvi “senza la cooperazione dell’attività del sentimento”.
Se cerco il sentire da un lato nella conoscenza (cioè nella rappresentazione) e, dall’altro, nella volontà, vedo che costituisce un’attività interiore intermedia tra il conoscere e il volere, e che questa attività irradia sé stessa in entrambe le direzioni: “il sentimento è conoscenza ancora incompiuta, come pure è volontà incompiuta: è conoscenza trattenuta e volontà trattenuta” (R. Steiner, "Antropologia. Arte dell’educazione", Ed. Antroposofica, Milano 1991, pp. 83-84).
Notando altresì che, in ambito conoscitivo, pure il giudicare è “un’attività animica intermedia” tra immagine e concetto, mi accorgo pure che la rappresentazione (cosciente) non è altro che il riflesso cerebrale dell’immagine (precosciente), vale a dire un’immagine definita e irrigidita.
Altra osservazione: se confronto le immagini vive e mobili del sogno con quelle morte e inerti della veglia, capisco subito la differenza tra la natura (eterea o eterica o vitale) dell’immagine di sogno e quella (fisica) del riflesso cerebrale.
Nel conoscere, ho quindi a che fare con concetti, col giudicare, con immagini precoscienti e con rappresentazioni coscienti.
Ebbene, i concetti li metto in rapporto (per via intuitiva) col volere, il GIUDICARE (per via ispirativa) col sentire, le IMMAGINI precoscienti (per via immaginativa) col pensare, e le RAPPRESENTAZIONI coscienti (per via riflessa) con l’ordinario rappresentare. A me pare, quindi, che la nostra ordinaria relazione con i concetti è incosciente, quella con il giudicare è sub-cosciente, quella con l’immagine è precosciente, e quella con la rappresentazione cosciente.
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Steiner era di questo parere quando spiegava: “Come ci si presentano dunque le manifestazioni corporee del sentire? Le vedrete sempre nascere là dove, nel corpo umano, le vie del sangue e le vie dei nervi vengono in qualche modo a toccarsi [...]. Tutto il nostro vedere e udire è percorso da un sommesso sentimento, ma noi non lo scorgiamo, e tanto meno quanto l’organo sensorio è separato dal resto del corpo. Nell’attività visiva dell’occhio non scorgiamo quasi affatto il simpatizzare e antipatizzare del sentimento perché l’occhio, immerso nella cavità ossea, è quasi separato dal resto dell’organismo [...]. Meno attenuata è tale azione nell’udito, il quale, molto più che non la vista, sta in un rapporto organico con l’attività generale dell’organismo [...], Per questo motivo, l’attività sensoria che si svolge nell’orecchio è fortemente accompagnata dal sentimento” (ibid. p. 84).
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Steiner distingueva i sensi che ci mettono in rapporto col nostro mondo interno (quelli “propriocettivi” del tatto, della vita, del movimento e dell’equilibrio), dai sensi che ci mettono in rapporto col mondo esterno (quelli “eterocettivi” dell’olfatto, del gusto, della vista e del calore), nonché dai sensi (dell’udito, del linguaggio, del pensare e dell’io) che ci mettono infine in rapporto con “l’interno dell’esterno” (con l’interiorità del mondo esterno).
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