CONTINUO - DISCRETO - FACETO
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Epistemologia
Qui esploreremo le profondità della conoscenza umana, analizzando le diverse teorie e approcci all'epistemologia. Scopriremo insieme come la nostra percezione del mondo influenzi la nostra comprensione della realtà.
La realtà è costituita da un Re, che è l'io, e di un reame, che sono le cose, che l'io nominaper santificarle.


Fisica
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CONTINUO - DISCRETO - FACETO
IL MOVIMENTO E IL SUO CARATTERE DI CONTINUITÀ
Appunti dallo scritto “Il movimento e il suo carattere di continuità” di Daniele Liberi (https://www.ospi.it/category/scienza-e-coscienza/ 2001), riveduti da Nereo (2024) ,
per uno studio esoterico del PI GRECO
Il pigreco è un valore numerico irrazionale in quanto non è possibile esprimerlo come proporzione di grandezze intere, cioè non esiste alcuna frazione che lo possa rappresentare, dato che ha INFINITE CIFRE DECIMALI NON PERIODICHE, per cui sembra un numero infinito. Eppure può essere rappresentato con un… sorriso. Un sorriso è una FACEZIA NUMERICA che vale
3,141592653589793238462643383279502884197169399 (prime 50 cifre), ad libitum.
Per fare un paragone, considero una biglia. È finita o no? Come oggetto senza limiti numerici, vale a dire che non ha confine matematico sarebbe infinito ma sicuramente resta sempre una biglia, cioè un oggetto finito. Ho pensato così il contrario di un paradosso di Zenone, mostrando che il contrario di un paradosso è sempre un paradosso. Risulta pertanto necessario spiegare e risolvere l’importanza di questo problema, legato ai concetti di circonferenza, circolarità, ciclo, rotazione, orbita planetaria, precessione solare, ecc., e soprattutto di MOVIMENTO.
L’intelletto umano riscontra notevoli difficoltà nel comprendere quel fenomeno che va sotto il nome di MOVIMENTO. È cero che ognuno sa del movimento attraverso l’osservazione di un oggetto durante il suo cambiamento di posizione. Il problema è comprendere il movimento nella sua essenza. Se osservo la mia mano mentre si sposta da un punto A ad un punto B, noto certamente che il suo moto ha come caratteristica fondamentale la continuità: andando da A a B passa senza dubbio per tutti i punti intermedi e lo fa in modo continuo, cioè non salta alcuna posizione. Immagino quel percorso come un segmento che ha gli estremi in A e in B. Se, partendo da A, la mia mano deve raggiungere B, posso dire che prima di raggiungere B, deve necessariamente passare per la metà di tale segmento, e prima di passare per la metà, dovrà passare per la metà della metà. Proseguo con questo ragionamento per un numero enorme di volte, numero enorme, ma non infinito (dato che il concetto di infinito non mi è ancora noto).
Così facendo ottengo un numero grandissimo di posizioni intermedie. Anche due successivi punti intermedi possono lecitamente essere pensati come gli estremi di un segmento che a differenza di quello originario è solo più piccolo. In questo modo però devo riconoscere che il mio intelletto non sta facendo alcun passo avanti verso la comprensione di questa misteriosa CONTINUITÀ.
Provo ora a fare un salto concettuale: immagino di dividere il mio segmento iniziale un numero infinito di volte, cioè un numero di volte più grande di qualsiasi altro. Immediatamente, grazie a una pura intuizione, riesco a far scomparire i segmenti e a trasformarli in punti. Ecco che il mio segmento si è trasformato in un insieme infinito di punti, ed ecco svelato, APPARENTEMENTE, l’arcano: la continuità che si manifesta al mio percepire quando osservo ciò chiamo movimento consiste in una SEQUENZA DI INFINITI PUNTI. Questo significherebbe – usando il linguaggio della fisica odierna (2024) - che LA CONTINUITÀ NON È ALTRO CHE UN INSIEME DI OGGETTI DISCRETI (i punti), MA IN NUMERO INFINITO. Tornando al movimento, dovrei dire che il movimento consiste in una infinità di stati di quiete (ABOLENDO COSÌ IL MOVIMENTO STESSO!). In realtà, per considerare la questione effettivamente risolta, mi resta ancora da comprendere e giustificare il salto concettuale di cui sopra, affinché non sia FACETO, perché è proprio nelle facezie prese per serietà che LA SCIENZA DIVENTA SCIENZIAGGINE, mentre il vero problema da risolvere permane.
Mi chiedo allora: è lecita l’ovvietà con cui si passa dall’effettuare un’azione un numero FINITO di volte all’effettuarla un numero INFINITO di volte? La risposta è negativa. Non posso infatti considerare ovvio introdurre un concetto, quello di infinito, che non appartiene al mondo dei fenomeni. In realtà tutta l’analisi matematica che mi permette di affrontare il problema della continuità presuppone l’utilizzo di questo concetto, sebbene, per la mia mente, tale concetto sia del tutto sfuggente. In proposito, mi rifaccio ad Hegel, che scrisse: “L’infinito matematico riesce interessante da un lato a cagione dell’ampliamento da lui portato nella matematica e dei grandi risultati dovuti alla sua introduzione in essa; dall’altro lato poi è degno di nota per ciò che a questa scienza non è peranco riuscito di addurre, dell’uso che ne fa, alcuna vera giustificazione basata sul concetto” (Hegel: “Scienza della Logica”, Laterza, Roma-Bari, 1988, pp. 264-265).
Cosa significa fare qualcosa un numero infinito di volte? Ad una analisi superficiale significa semplicemente fare qualcosa un enorme numero di volte, ma se provo a riflettere attentamente risulta addirittura paradossale il voler contare un numero infinito. Dire infatti “NUMERO INFINITO” è già una CONTRADDIZIONE: un numero è per definizione un ente ben definito anche quando è molto grande. L’INFINITO, al contrario, NON È AFFATTO DEFINITO. Anche in questo caso le parole di Hegel mi possono fare chiarezza: “una grandezza viene definita in matematica come qualcosa che può essere aumentata e diminuita, e perciò in generale come un limite indifferente. Ora, in quanto l’infinitamente grande e l’infinitamente piccolo sono tali che non possono essere più aumentati o diminuiti, di fatto essi non sono più un QUANTO come tale” (Hegel, “Scienza della Logica”, Ed. Laterza, Roma-Bari, 1988, pp. 264-265).
Sembra quindi che la comprensione della continuità sia da ricondurre alla comprensione del CONCETTO DI INFINITO: concetto che però SFUGGE AD OGNI ANALISI UMANA. Posso ipotizzare che le cose stiano nel modo seguente: l’uomo ha definito il movimento come il cambiamento di posizione di un qualsiasi oggetto e, in tale senso, il movimento appartiene al mondo dei fenomeni. La comprensione però del suo carattere di continuità si sottrae all’intelletto che, facendo appello ad un concetto puramente ideale, tenta di afferrarlo tramite una pura ed immediata intuizione. E ora mi chiedo: QUAL È IL NESSO TRA CONTINUITÀ ED INFINITO? Per quale motivo tale immediata intuizione va incontro al concetto di INFINITO anziché ad un altro, quasi fosse spinta da una innata necessità? Chi mi sa rispondere scientificamente? Nessuno. Eppure ognuno, se non è un criceto, vorrebbe saperlo. E così anch’io, da giovane, seppi da Steiner che la mia coscienza è puramente spaziale. Io sono infatti cosciente dello spazio che occupo col mio corpo fisico. Ognuno è cosciente solo in rapporto al mondo fisico-spaziale, dove gli oggetti si presentano separati e finiti, come se l’unità del mondo fosse un insieme di parti sconnesse. QUESTA RAPPRESENTAZIONE (aggregato sconnesso di oggetti di percezione), PORTA AD UN RAPPORTO COL MONDO DI TIPO ESCLUSIVAMENTE QUANTITATIVO. Se però la realtà è esclusivamente un insieme di oggetti, l’unica cosa che posso fare per conoscerli è contarli.
Se le cose stessero effettivamente così, il nostro ragionamento sarebbe corretto ma non ci verrebbe incontro alcuna intuizione di qualcosa che è profondamente diverso, addirittura opposto, all’idea di separazione: LA CONTINUITÀ. In sostanza CONTARE LA CONTINUITÀ È UN ERRORE CONCETTUALE. LA CONTINUITÀ È, IN QUANTO TALE, NON QUANTIZZABILE. CONTARE ALL’INFINITO SIGNIFICA SEMPLICEMENTE NON CONTARE. Insomma la continuità si offre a me come carattere fondamentale del movimento, ma la sua essenza, per essere compresa, richiede qualcosa che NON APPARTIENE A QUESTO MONDO. L’ESSENZA DELLA CONTINUITÀ È LA SUA NON FINITEZZA, LA SUA INSEPARABILITÀ, L’IMPOSSIBILITÀ DI ESSERE SPAZIALIZZATA. Ecco perché l’intelletto, intuitivamente coglie l’essenza della continuità appellandosi al concetto di infinito, ma in maniera goffa: infatti, invece di aprirsi alla sua continua attività interiore di pensiero (sua coscienza) per cogliere la continuità nella sua realtà, trascina verso il basso questa realtà per renderla simile al suo pensiero discontinuo, e poterla così contare.
Il seguente ulteriore esempio può chiarificare l’argomento. Immaginiamo una curva che unisce i punti A e B. Chiedendo sempre al nostro intelletto di spiegarci cosa sia una curva, ci verrebbe detto che possiamo immaginare tale curva come una linea spezzata i cui elementi (segmenti) sono infinitamente piccoli. Rappresentiamoci cioè la curva come una linea spezzata, ed immaginiamo di rimpicciolire sempre di più i segmenti che la costituiscono. Nel limite in cui rendiamo “infinitamente piccoli” tali segmenti, riotteniamo la linea curva come un insieme di punti. Anche in questo caso però, la curva in questione non è in realtà il limite della linea spezzata per segmenti sempre più piccoli, ma è una realtà diversa. In sostanza, se voglio comprendere la continuità ed i fenomeni ad essa strettamente connessi, come il movimento, devo necessariamente smettere di contare. Contando infatti non ho più a che fare con la realtà che si manifesta di fronte a me, ma con una sua ombra. Sono io che dovrei conformarmi alla realtà che osservo e non viceversa.
Pertanto, immaginare il moto come infinita successione di stati di quiete, impedisce drasticamente di poter pensare il passaggio tra due successivi stati di quiete: diventa di fatto paradossale pensare due cose come successive (quindi separate!) per poterle contare. Qui vi è FACEZIA, cioè follia che fa ridere, dato che - come sopra accennato - NEL MOMENTO IN CUI INTRODUCO IL CONCETTO DI INFINITO, CONTARE DIVENTA UN ASSURDO E IL MOTO SCOMPARE.
Certo, nessuno mi impedisce di pensare geometricamente il cerchio come poligono (pensando ad un poligono di 360 lati) ma ciò è in sintonia col nome dell'ultimo, cioè del ventiduesimo dei Tarocchi Maggiori, chiamato, appunto, il "matto", come ho spiegato nei miei libri sull'alfabeto ebraico.
Mi rendo conto che occorre qui spiegarne ulteriormente l'epistemologia: 360, cioè il valore dell'angolo giro del cerchio, è in un rapporto logico matematico e logico immaginativo con la ventiduesima lettera dell'alfabeto ebraico, così come il valore 360 dell'angolo giro si rapporta al cerchio: infatti nel cerchio è possibile inscrivere 22 poligoni regolari, non meno di 22, non più di 22. Mediante i loro lati queste 22 figure geometriche dividono i 360 gradi dell'angolo giro del cerchio a partire dal primo possibile: il triangolo. Si hanno così:
il triangolo equilatero con i suoi 3 lati, corrispondente al valore numerico 1;
il quadrato con i suoi 4 lati, corrispondente al valore numerico 2;
il pentagono, con i suoi 5 lati, corrispondente al valore numerico 3;
e così via fino al ventiduesimo valore numerico.
Se accanto alla prima disposizione dei valori numerici dell'alfabeto ebraico, pongo il numero di lati del rispettivo poligono regolare, inscrivibile nel cerchio, ottengo due serie di valori numerici:
1 ......... 3
2 ......... 4
3 ......... 5
4 ......... 6
5 ......... 8
6 ......... 9
7 ......... 10
8 ......... 12
9 ......... 15
10 ......... 18
20 ......... 20
30 ......... 24
40 ......... 30
50 ......... 36
60 ......... 40
70 ......... 45
80 ......... 60
90 ......... 72
100 ......... 90
200.........120
300 ......... 180
400 ......... 360
Ovviamente, l'ultimo poligono, avendo 360 lati, uno per ogni grado del cerchio, è anch'esso, in realtà un cerchio. La "stravaganza" di chiamare poligono il cerchio, pensando a un poligono di 360 lati, è in sintonia con il nome dell'ultimo, cioè del 22° dei Tarocchi Maggiori, chiamato, appunto, il "matto". Faccio notare che la parola "tarocchi" deriva da "torah", che in ebraico significa "legge" (o "teoria", "sistema", "studio", ecc.). Ecco perché nel 1998 ho raffigurato in una tabella le lettere dell'alfabeto ebraico con i rispettivi valori numerici e geometrici:

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