IL POPOLO CHE NON MUORE MAI

Benvenuti nella sezione "Il Popolo Che Non Muore Mai" del mio sito web. Qui puoi esplorare il significato etimologico della parola POPOLO, dal sanscrito PRANAS (Dizionario Etimologico Pianigiani). Questo fatto offre una prospettiva interessante e profonda da esplorare.

Il Significato di "Popolo" in Profondità

Questa sezione si concentra sullo studio del termine "popolo" e sulle sue radici etimologiche. Esplorare come il contenuto di questo concetto possa influenzare la nostra comprensione della società e delle dinamiche umane, è d'uopo!

 

IL POPOLO CHE NON MUORE MAI

ovvero

IL MIO POPOLO

 

Extrat

Questo scritto è un memorandum di reminiscenze che risiedono in me e in chiunque da molte vite, se si è capaci di pescarle dal profondo di sé. Ogni veggente capace di vedere non solo con gli occhi fisici ma anche con la sua coda dell’occhio, o terzo occhio, può intendere il senso di queste parole. Essendo io immateriale spirito, non sono mai nato materialmente, per cui non potrò mai morire. La domanda a cui ho risposto in questo contesto è: che popolo ho scelto prima di incarnarmi fino a ora? La risposta è: il PRANAS, cioè il POPOLO. Il POPOLO è PRANAS, vitalità, forze eteree o eteriche che attirano ognuno verso la terra durante le ripetute incarnazioni terrene.  

 

IL POPOLO CHE NON MUORE MAI

 

Quando trapasserò, farò cose già sperimentate mille volte. Deporrò per prima cosa il mio corpo fisico, cioè il cadavere. Il cadavere è marmoreo. Lì, non vi è più vita. Allora la vita dove va? La mia vita dove va?  

Nel ciclo spiraliforme delle mie ripetute vite terrene, l’antica reminiscenza sempre mi mostrò che mi spogliavo del fisico, per cui restavo con l’organizzazione di me stesso, io, con tutto il mio contenuto, cioè con tutta la necessaria attività interiore, anticamente detta ANIMA (l’anima oggi non la puoi neanche nominare perché subito ti danno dell’animista o dello spiritista se parli di spirito). Non solo. Mi restava ancora, anche se per breve tempo, la mia vitalità. Il periodo in cui ero ancora unito a quest’ultima diventava per me il periodo dello sguardo a ritroso sulla mia ultima esperienza terrestre, che ora si svolgeva in immagini davanti, appunto, alla mia attività interiore. Poi avveniva il solito salto della vitalità, ripescata dall’alto, come spinta o respinta verso l’alto, verso Io spazio cosmico, così come il corpo fisico era attratto o respinto verso il basso, la terra. Sperimentavo che Il fisico ora non si muoveva più al mio comando.

Queste cose le ho sempre sperimentate e non le ho mai dimenticate, anche se non le ho mai scritte. Non pretendo siano credute. So benissimo che sono bugie nella misura in cui sono scritte. Anzi, ogni parola è bugia se non se ne conosce il contenuto concettuale. Sono cose che si sperimentano ma che poi in genere si dimenticano, come il giorno di ieri che è passato e che al mattino impieghi un minimo arco di tempo per ricordare. Ma si possono ritrovate in ognuno, cioè ri-sperimentare in spirito. Sia chiaro: io non credo nello spiritismo. Se uno spirito ha bisogno di materia (tipo materiale piattino semovente) per manifestarsi, vuol dire che come spirito è un fallito e che quindi non è spirito. Lo spirito è io che sperimenta sé stesso, detto “sé” perché appartiene a tutti, protegge tutti e tiene unito il cosmo vivente stesso.

Ritornando al punto: allora, unito al mio moto interiore, avevo ancora effetti della mia vitalità, compreso tutto ciò che tale moto sperimentò nell’ultima vita terrena in unione alla vitalità entro il corpo fisico durante tutta la vita, quindi per un tempo più lungo, cioè fino a quando, ora, deponevo il fisico, nella cosiddetta dissoluzione. Ma cos’era la mia dissoluzione?

Non era altro (e non sarà mai altro) che espansione. Ecco il contenuto del concetto di trapassare: la dissoluzione consisteva e consiste precisamente nell’espandersi nell’universo delle forze che avevo ancora in me e che ho sempre in me da vivo. Ed era quella stessa vitalità ora a riportare in sé le impronte di tutto ciò che avevo attraversato nell’ultima vita: una somma di forme, che si allargava sempre più, imprimendosi nel cosmo. Quanto si era svolto durante la mia vita e che si era impresso nella mia vitalità, agiva ora ulteriormente come forza nell’universo: si trasmetteva al cosmo il modo in cui mi ero comportato di fronte alla vitalità stessa.

E mi avvicino ora al contenuto concettuale di POPOLO.

Nei fatti, la mia vita, così come la vita di ognuno, non è priva di significato rispetto all’intero universo, come crede la “scienza” odierna. Infatti sorgeva ancora in me durante quel passaggio (trapasso, espansione) un sentimento: il sentimento della mia responsabilità. Così come al mattino quando mi sveglio sento la responsabilità del mio fare del giorno prima. E durante ogni trapasso sperimentavo che tutto quanto avevo incorporato nella vitalità tramite la tri-articolata vita intellettuale, vita di sentimento, e vita del fare, entro il POPOLO, dunque per mezzo della mia moralità, ora tutto ciò si comunicava, espandendosi, all’intero cosmo: nel cosmo erano e sono perciò contenuti tutti i comportamenti degli uomini vissuti nei tempi passati. Perché ciò che dalla mia condotta di vita agiva fin nel formarsi della mia vitalità, ora si separava e si raccoglieva nell’intero macrocosmo.

In che modo il concetto di popolo si avvicina a queste considerazioni?

Ognuno partecipa all’emanazione del mondo, detta impropriamente creazione e se si guarda profondamente in noi, si sa di essere “co-creatori” del mondo. Fui sempre preso da questo sentimento di responsabilità, cioè da questo sentirmi partecipe della “creazione” (emanazione) del mondo: perfino ciò che avevo portavo oltre come mia attività interiore non si distruggeva e non si distruggerà nell’universo. Quando io, DURANTE L'ESPERIENZA DEL TRAPASSO, deponendo il corpo, mi scioglievo dall’attività interiore, sapevo che tutto ciò che avevo incorporato in quell'attività, ora era lì, fuori, nell’universo; solo che ora quelle due attività percorrevano vie separate (ciò è di facile intuizione per l'uomo ominale. Invece è letteralmente impossibile per l'uomo animale della "scienza").

Ecco perché, tra l’altro, il nostro corpo fisico è costruito simmetricamente sui due lati di un asse centrale (la colonna vertebrale), ed perciò governato dal numero 2: abbiamo due occhi e due orecchie; e il cervello e il naso, pur essendo 1, sono in realtà 2: i due emisferi e le due narici. Poi ci sono i due polmoni, i due reni, e ancora più in basso, per l'uomo i due testicoli e per la donna le due ovaie. Infine, abbiamo due braccia e due gambe (anche se questa simmetria non è assoluta, dato che il lato sinistro del corpo non è mai esattamente identico a quello destro, fisicamente esiste simmetria. Nell’attività interiore. Oggi è risaputo che interiormente la questione si presenta del tutto diversa. Lo studio del cervello umano ha rivelato che le funzioni dei due emisferi non sono identiche: l'emisfero sinistro è la sede delle facoltà analitiche (la logica, il ragionamento) cosiddette maschili, mentre l'emisfero destro è la sede delle facoltà di sintesi (l'intuizione, la sensibilità) cosiddette femminili. Così, i due emisferi hanno attività complementari. Viviamo perciò in una simmetria che è anche polarizzazione).

L’attività interiore segue le sue proprie vie; così pure l’io. L’annientamento dell’attività interiore non esiste; al contrario, questa si sviluppa ulteriormente in quanto fui io a innestarvi, vita dopo vita, effetti di precisi impulsi morali e tutta questa attività fu di volta in volta trasmessa all’universo con l’aspetto risultante da quel dato fare secondo quei dati impulsi morali. Per questa sua reciprocità d’azione con l’universo, qualcosa della mia attività interiore si introduce continuamente nell’organismo cosmico, comprendente la ritmica vita, mia e della mia propria interiore attività.

Questo fu la mia esperienza che si espande sempre più anche se arriva in una sola vita  ad espandersi fino a un certo limite, oltre il quale non può più continuare, e comincia allora di nuovo a contrarsi. Diastole e sistole.

La rapidità o la lentezza con cui si espandeva o si contraeva dipendeva essenzialmente da quello che vi incorporavo nel corso della mia vita. E il mio moto interiore si trasmetteva all’universo, si dilatava fino all’estremità del microcosmico me stesso attivo, poi ovviamente ributtato indietro. Allora seguivo la mia strada in quel nuovo e sempreverde mondo essenzialmente diverso da quello mio, il quale perciò sviluppava interiormente una specie di brama, la stessa che mi faceva sentire attrazione per l’attività che si contraeva nuovamente e che però diveniva qualcosa di diverso da prima: il trapasso non era altro che l’esperienza di un luogo di nuovo, una specie di collegamento fra trasformata attività interiore e me.

Mentre si avvicinava il momento in cui volevo o dovevo ritornare qui sulla terra, si determinavano in me certe inclinazioni verso le più varie direzioni. Ecco perché quando riappariva sulla terra la mia figura, passando attraverso ogni nascita, fui realmente formato da due parti: l’attività interiore, dopo la sua espansione nell’universo e la susseguente contrazione, si incontrava con me, simile a una specie di sfera cava che diventava sempre più piccola, come un piccolo sistema planetario. Perché sempre ho sperimentato l’affinità del macrocosmo col microcosmo: espansione e condensazione come di un cuore o di un pendolo fatto di diastole e sistole.

Nella mia via tra la morte e una nuova nascita, oltre al desiderio di ricongiungermi con l’attività interiore ho sempre sviluppato ma in modo ancor più intenso un altro genere di desiderio, teso verso un determinato punto della terra, verso un POPOLO, verso una famiglia. Così ebbi la solita riunione fra l’attività interiore trasformata e quello che ora io ero divenuto dopo il mio percorso fra la morte e una nuova nascita, che presentava quella potente forza d’attrazione verso il terrestre: il POPOLO, famiglia, genitori, vicini, parenti, ecc. Quando venivo alla luce ero esposto a forze di attività interiori trasformate in rapporto alla superficie esterna della mia corporeità: tutto ciò che era organizzato in direzione centripeta partendo dalla pelle, organi dei sensi compresi, era organizzato in me dal macrocosmo. Invece il risultato organico del mio sentirmi attirato dalla terra produceva l’organizzazione dall’interno verso l’esterno ma in senso opposto, polare appunto, all’altra organizzazione e ciò agiva specialmente come emanazione del mio nuovo sistema osseo, muscolare, ecc., dunque di tutto quello che era emanato dall’interno in direzione contraria a ciò che dalla pelle emanava verso l’interno.

Da ciò ho sempre avvertito di essere realmente generato dall’universo e che il mio soggiorno nel corpo della madre prescelta costituiva soltanto l’occasione di congiunzione delle due forze di cui sopra, una macrocosmica e l’altra terrestre. Ho sempre sperimentato di non crescere partendo da un solo punto, o dalla virtù di un seme; sono sempre stato la confluenza, da un lato, di forze extraterrestri, tenute assieme dalla mia trasformata attività interiore e, d’altro lato, di quanto, sotto l’influenza della terra, cresceva incontro a quelle.

Ecco perché so che quanto in me cresceva per opera del cosmo era connesso con le mie vite precedenti, ed era la cognizione, il leggere le cose e la facoltà di rappresentarmele.

E qui viene il bello sul contenuto del concetto POPOLO.

La facoltà di cui sopra, risalente alla mia precedente vita sulla terra mi proveniva e proviene dal fatto che tutto ciò che della precedente vita avevo intessuto, si dilatava ora nel cosmo e ne ritornava eleggendo come organo principale la mia testa (non è che sono un megalomane con ipertrofia dell’io, sto solo descrivendo un fatto naturale, che la reminiscenza di ognuno può sperimentare in sé stesso), il mio comprendonio, sostanzialmente formato dall’esterno, come organo del sistema dei sensi. Il rimanente sistema dei sensi (pelle compresa) era ed è un’appendice della testa. Invece il mio fare, detto anche volere, apparteneva alle forze terrestri, dato che, procedendo verso una nuova nascita, ero attratto verso un punto della terra, appunto come organizzazione dell’io volente.

Insomma ritornando a nascere, il cielo mi diede sempre il mio intelletto, la terra, la volontà di fare, muovermi, e fra i due c’era il sentimento.

Il SENTIRE, o sentimento, non mi era dato né dalla terra né dal cielo, ma si basava e si basa su CONTINUA OSCILLAZIONE fra terra e cielo, ed aveva sostanzialmente il suo organo esterno nel mio sistema ritmico-respiratorio-circolatorio: questo era ed è a metà fra sistema nervoso e sistema metabolico, cioè a metà tra l’organismo proprio della testa e l’altro organismo, risultante dal macrocosmo per intermediare la mia attività interiore dell’incarnazione precedente con quanto mi proveniva dalla terra, dunque la mia organizzazione del volere, o del fare.

Nelle mie ripetute vite terrene ho imparato che non esiste una vera osservazione di me stesso solo nella mia attività interiore o solo nel lato fisico: questi due oggetti di osservazione sono mescolati assieme, si interpenetrano in tale completa osservazione. D’altro canto, ciò era per me evidente in quanto ero, sono e sempre sarò – come ogni essere umano - non solo animale ma anche ominale - in rapporto all’intero macrocosmo: la mia testa è qualcosa che il macrocosmo stesso organizza. Ecco perché il mero intelletto riporta sempre verso il passato.

Queste cose nessuno le dice scientificamente, però tutti le sanno nel profondo, non potendole dire se non ci si prende la briga di scrutarle in noi stessi. Ma sono cose uguali per tutti, cioè universali. Pertanto, anche considerando impossibile conquistare tale conoscenza con la mera consapevolezza ordinaria del mero quotidiano, mi rendevo conto che qui, in questo campo, erano ricondotte a mie precedenti vite sulla terra.

Sapere ciò significa cercare soprattutto di stabilire un rapporto tra vita ritmica e vita della testa.

Vorrei dire a coloro che non conoscono il cosiddetto post mortem e che tuttavia pretendono di sapere cos’è il POPOLO: imparate a conoscere questa coincidenza del sistema ritmico col sistema del ricambio e sarete certi che in voi si pone già il seme per la prossima vita terrena, semplicemente perché il ricambio, dal suo lato spirituale, contiene i germi per la prossima vita terrena. Anche se per l’attuale vita terrena esso è la parte inferiore della complessione umana, dal lato spirituale il sistema del ricambio contiene invece i germi per la prossima vita terrena. Ci si innalza così a una considerazione dell’intero uomo (soprattutto gli uomini occidentali sono attualmente proprio come il cieco davanti al colore; ad esempio, tutto quello che noi accogliamo per via matematica, dunque ciò che agisce attraverso forme di linee, forme di angoli, verticale, orizzontale, quello che possiamo anche misurare, tutto ciò noi lo sviluppiamo dal nostro interno, sta a base della nostra interiorità. Dal momento in cui si imparerà a vedere che cosa sta alla base della nostra interiorità, non si indicherà più, alla maniera di Kant, semplicemente con una parola fraintesa, ciò che germoglia nell’interno dell’uomo, dicendo: la matematica è una conoscenza a priori: cfr. Kant, Critica della ragion pura, Introduzione V). Questo è sbagliato. Sì, a priori è una locuzione che si trova in uso. Ma se si impara a guardare interiormente, si viene a sapere da dove proviene questo singolare fenomeno matematico: l’attività interiore di ognuno è passata attraverso la matematica dell’intero universo, e tutto ciò vi si è poi condensato. Lasciamo semplicemente emergere dalla nostra anima ciò che abbiamo sperimentato in una precedente incarnazione, che poi è andato attraverso l’intero cosmo e quindi affiora di nuovo nelle linee matematico-geometriche; nell’a priori si esprime dunque un atteggiamento di fronte al mondo, simile a quello che il cieco ha di fronte al colore. Invece bisognerebbe sapere che tutto quanto in senso kantiano è chiamato a priori, proviene dalle nostre precedenti incarnazioni ed emerge in questa incarnazione con un aspetto trasformato, dopo aver attraversato il cosmo intero).

Non siete più abituati come gli antichi a prestare attenzione a queste cose. Perciò anche l’odierna osservazione del mondo resta superficiale: secondo il metodo oggi in uso, noi studiamo un POPOLO di una determinata regione della terra. Ebbene, che cosa si fa oggi da parte degli storici? Si dice: qui vive l’attuale generazione, un’altra l’ha preceduta, e un’altra ancora prima di questa. Si risale nei secoli, si arriva al Medio Evo, seguendo così le correnti di sangue lungo le generazioni: si seguono le eredità esteriori, e si dice che quello che vive nel POPOLO attuale è da ricondursi alle sue precedenti fasi evolutive. Ma questo è soltanto un modo di pensare materialistico trasportato nel campo della storia. È sbagliato considerare isolatamente il fatto che la vostra vita interiore abbia attraversato precedenti vite sulla terra o ne attraverserà in avvenire, ma va realmente considerare sotto questo punto di vista anche quello che si svolge nel mondo. Poiché se consideriamo una generazione oggi vivente di un popolo qualunque, se la riferiamo, andando a ritroso, secondo il sangue, secondo caratteristiche fisiche esteriori, alle precedenti generazioni che hanno vissuto sullo stesso suolo, o che possiamo riferire, andando indietro, a degli antenati vissuti su un altro suolo, restiamo pur sempre nell’ambito fisico-materiale in cui bisogna dire che il POPOLO è bue. Perché questo è il risultato del materialismo dialettico.

Ma non è così. Il POPOLO è PRANA, cioè vitalità che ci attrae verso l’incarnazione. Guardate anche solo l’etimologia di questa parola (sempre sapendo che ogni parola è bugia se non si risale al suo contenuto concettuale).

 

Ecco l’etimologia presa dal Dizionario etimologico Pianigiani:  

 

«pòpolo: dialetto sardo "pobulo"; rumeno: "popor"; provenzale: "pobels"; francese:  "peuple"; catalano: "poble"; spagnolo: "puello", "puevro"; portoricano: "povo"; latino: "popu-lus" per ""pol-pul-us", che è forma raddoppiata della radice PAR=PAL, che ha il senso "mettere assieme, riunire, che è in sanscrito "pr-nami" per "par-nami", "riempio", "pra-nas, purnas", "pieno", "pur-us" = vedico "pulus", "molto", "puri" = greco "polis", "città", e da cui anche il latino "plus", "più", l'antico slavo (chiesastico e cirilliano) "plù-nù" "pieno", "pluku" "popolo", ple-me tribù, il lituano "pil-nas" pieno, "pùlkas" moltiludine, il greco, "plèos" pieno, "plethos" "folla, moltitudine, nonché, mediante cambiamento della P in F, l'antico alto tedesco "fol" = moderno "Voll", "pieno", "Folc" = moderno "Volk", "popolo". (Altri lo vuole detto per "quòelus" = "quòl-cul-us" e interpreta: circolo o adunanza di persone, vedi Poplite). Moltitudine di uomini dello stesso paese e vivente sotto le stesse leggi, o por lo meno della stessa razza. Contrapposto a nobiltà vale la Massa dei cittadini, tranne i nobili. Con senso più ristretto tutta quella quantità di gente, che è compresa in una parrocchia. Derivati: "Popolano", "Popolare", "Popolazione", "Popolato", "Popoloso", "Spopolare"; cfr. Pubblico».

 

In sanscrito, la parola "PRANAS" riguarda flussi di forza vitale, di cui il "prana" ("respiro" o "spirito", "vita", "energia vitale", ecc.) vale non solo per il microcosmo o l’individualità umana ma anche per il macrocosmo, dato che nella natura microcosmo e macrocosmo sono UNO, una sola entità, cioè non sono sezionati come la cultura meccanica (della “scienza”) abitua a pensare (meccanizzazione dello spirito). In sostanza, il POPOLO, non è altro che quella vitalità in cui che ognuno, dopo il trapasso, è attirato durante la propria reincarnazione o apocatastasi, come un pianeta entro il suo ciclo spiraliforme di ritorno.

Rudolf Steiner caratterizzò come “corpo eterico” tale forza universale che mantiene uniti sia il cosmo che l’uomo, secondo l’antica sapienza. Einstein invece tentò ma invano di negare realtà al contenuto concettuale di “etere”. Il fisico italiano Roberto Monti fu uno dei primi ad accorgersi di quella cantonata di Einstein.

Non crediate che ci voglia Einstein per capire le sue aporie. Non ci vuole un “genio” per sapere che per cambiare il mondo occorre partire da sé stessi, mutare sé stessi, diventare umani, ominali. L'osservazione del proprio mutamento antropologico predispone ad una nuova antropologia, differente in quanto ominale, cioè non solo animale come detta la "scienza": se è vero (come è vero) che l'idealismo oggettivo ontologico empirico arriva, in base a ciò che è stato fatto secondo una legge, al postulato di leggi CHE AGISCONO (o dell'AGIRE secondo leggi) nei fenomeni emergenti, tanto in natura quanto nell'uomo, dal fisico, dal vivente, dall'attività interiore e dallo spirituale-io (cfr. Peter Heusser, "Scienza e Antroposofia, un'introduzione", sintesi del cap. 6°), sorge da qui l'ESIGENZA di distinguere NON SOLO UNA FORZA AGENTE, quella fisica, MA ben QUATTRO CLASSI DI FORZE E LEGGI (p.es., in medicina si dovrebbero tenere presenti il fisico, il vivente, l'animico e lo spirituale-io).

A questo proposito sussiste il problema dato dal fatto che “scienza” e “psicologia” hanno di fronte a sé ciò che è stato prodotto e, in ogni caso, possono rintracciare solo in forma astratta le leggi di ciò che è stato prodotto, cioè come mera idea (in fisica, p.es., la legge del campo magnetico; nell'organico le leggi organizzative del vivente; nella fisionomia corporea l'impronta dell'elemento animico-spirituale), ma questo AGIRE PRODUTTIVO STESSO associato alle leggi pare NON ESSERE, IN LINEA DI PRINCIPIO, PERCEPIBILE.

Numerosi pensatori della storia della scienza europea hanno avvertito questo problema come un limite della conoscenza e hanno cercato una soluzione conoscitiva adeguata. I.P.V. Troxler, collegandosi a Schelling e a Hegel, ha richiesto che dal semplice pensare-le-leggi operative, si dovesse passare a una loro OSSERVAZIONE EMPIRICA, cioè che si dovesse sviluppare una forma superiore di scienza, la cui attività conoscitiva, a livello dell'ambito soprasensibile, seguisse il modello dell'epistemologia scientifica: percezione ed elaborazione pensante del percepito. Avendo sintetizzato come "Antropologia" le scienze del conoscere usuale, egli, già nel 1828, chiamò "Antroposofia” la scienza superiore invocata. Perfino L. H. Fichte, nella sua "Antropologia”, sulla base delle accessibili osservazioni psicologiche e scientifiche sulla vita dell'anima, conclude che l'anima umana sia un'entità consistente in sé stessa, che ha bisogno, sì, del corpo per sviluppare la coscienza comune, ma che per tale entità, dopo la morte, si possa fondamentalmente concepire un'esistenza libera dal corpo, inaccessibile empiricamente all'antropologia scientifica. Perciò anche Fichte si richiamò all'esigenza di una "Antroposofia", in grado di completare l'antropologia a questo riguardo.

 

Giorgio Cerquetti, amico di vecchia data, a proposito del PRANA, spiegato dal punto di vista della intramontabile scienza antica, ti invita alla semplicità del respirarlo: