Stato di Diritto, Notitia Criminis e APS GdP

Benvenuti alla sezione dedicata allo Stato di Diritto, Notitia Criminis e APS GdP. Qui puoi trovare approfondimenti sul concetto di Stato di Diritto e sulle soluzioni sociali attuali in relazione a discipline scientifiche e umanistiche.


Caratterizzazione dello Stato di Diritto

Lo Stato di Diritto non esiste. Esiste il diritto di Stato, che è mafia. Marameo esplora questa aporia e fornisce una prospettiva universale su come superarla.

Tri-Articolazione dei poteri sociali

Marameo fornisce informazioni dettagliate soprattutto sulla tri-articolazione del potere entro l'organismo sociale, esplorando il concetto di equità e di creatività.

Notitia Criminis

Esplorare le aporie e le contraddizioni che provocano riflessioni in relazione al contenuto concettuale di Notitia Criminis, è una necessità di oggi, che può offrire analisi approfondite per l'evoluzione degli esseri umani.

Lo Stato di diritto NON esiste. Forse è esistito ma è stato subito sostituito criminosamente dal diritto di Stato, che è mafia di Stato, che fa combattere i suoi “legionari” perfino contro le notizie di reato. Dal 1989, la cosiddetta “notitia criminis”, arbitrariamente usata dai giudici mafiosi, è regolarmente occultata.

L’arbitrio mafioso non è conosciuto dall’uomo della strada. I media non ne parlano. Perciò il cosiddetto collettivo può solo dividersi a destra o a sinistra in vari partiti, schiere, crocchi, sempre in lotta fra loro in nome di qualche valore, che però, tutto sommato, è ridotto in VALUTA, cioè in economicismo, materia del dio quattrino, usurpatore del dio trino. Quest’ultimo, in quanto dogma di fede non è scientificamente sperimentato nella sua concretezza. E qui l’uomo ha di fronte una superstizione: il pensare umano è creduto astratto, soggettivo e ascientifico. La superstizione comprende anche l’illecita inversione o l’illecita sostituzione del concetto di causa con quello di effetto. Ma non solo. Comprende anche la colpevolizzazione arbitraria di enti considerati illecitamente cause, dunque anche la loro eliminazione. Perciò l’uccisione del nemico, la guerra, la shoà, la nakba, il genocidio, ecc., diventano illecitamente “bene comune” o fede nel “bene comune”.

Tutto ciò è causato dall’abitudinaria rimozione del giudizio critico divenuta esponenzialmente prassi popolare. L’abitudine a non pensare è il peccato contro lo spirito scientifico, che non può essere perdonato (Matteo 12,32).

Per esempio, secondo logica di realtà, Putin non è la causa della guerra, così come Keynes e/o Draghi non sono la causa del disastro economico. La guerra odierna, qualsiasi guerra, così come qualsiasi crisi economica, politica o culturale, è come la caduta della “mela di Keynes”, di cui dal punto di vista della mela nessuno è responsabile, come dire che “non uccidere” è come uccidere considerando, per esempio, responsabile dello sparo di rivoltella il grilletto o il DNA di un dito, staccato dalla vita presente del suo portatore, come se l’uomo assassino non vi fosse connesso. E tale “scienza” è oro colato per i legionari del male. Faccio notare che per Goethe e per Steiner il male, problema della teodicea, è l’anacronismo, cioè l’abitudine a riporre il nuovo o l’attualità nell’inattualità, il vino nuovo in otri vecchi. In tale modo si scambia la causa con l’effetto. La logica di realtà mostra allora che Putin, Keynes, Draghi e ogni politicastro o legione di de-pensanti non sono CAUSE ma EFFETTI di tale abitudine. Detto in altre parole: siamo noi le vere cause di queste deficienze di pensiero per cui, delegando legionari a pensare per noi, fomentiamo guerre attraverso conferenze di pace. I legionari sono gli alienati di Stato, che da sempre (non solo dal tempo di Pilato) odiano la verità. Occorre parlarne con esempi pratici: nei vangeli si parlava già della schizofrenia del portatore del “nick” Legione (Marco 5,9).

Oggi, rivelando debolezza di vita pensante, Legione tenta in vari modi di screditare per esempio tutta l’opera di Rudolf Steiner. In questa pagina ne mostrerò un esempio minimale italiota ma sarebbe bene accorgersi che di simili esempi è pieno il mondo cosiddetto “transnazionale”, cioè mafioso, come è mostrato in questo libro.

Mi riferisco, a mo’ di esempio pratico, a proposizioni su Steiner tratte dal un sito sedicente filosofico, che non cito, ma che ugualmente può essere rintracciato con ogni motore di ricerca dall’attento lettore capace di indagare le proposizioni virgolettate.

Questo, ripeto, è solo uno dei tanti esempi di schizofrenia legionaria o di gatekeepers guerrafondai del controllo e della manipolazione mentale, dato che la salute degli Stati occidentali (cioè dei mafiosi Stati canaglia di tutto il pianeta) si chiama, da tempo, GUERRA. Perciò col nome “Legione” non intendo per nulla questa o quella persona.

“Legione” è un personaggio biblico in cui abitano molti “demoni” (Luca 8,30) ed il cui spirito di gruppo vive patologicamente, ancora oggi, in uomini dozzinali, cioè uomini senza io, dato che il loro io è scalzato da tale gruppo (ogni gruppo coarta l'io). Purtroppo esistono. E, secondo Steiner (ma non secondo me, che non sono alla sua altezza),  li dovremmo aiutare a diventare meno dozzinali, cioè individualità io-munite.

La loro guarigione è possibile e riguarda una malattia precisa, la “todetite”, individuata dal filosofo rumeno Costantin Noica come “carenza dell’individuale” (p. 75 di C. Noica, “Sei malattie dello spirito contemporaneo”, Ed. il Mulino, Bologna 1993): «una carenza che va effettivamente fino all’assenza di “questa cosa determinata” (TODE TI, in greco), attraverso la quale devono realizzarsi sia il senso generale sia le sue determinazioni […] è in qualche modo la malattia spirituale della PERFEZIONE o, nell’uomo, la malattia della disposizione teoretica in cui lo colloca il suo totale asservimento a un senso generale, che gli impedisce di trovare il suo individuale appropriato» (ibid.).

Imbattersi in tali siti web o in tali luoghi di “cultura” e rilevarne tale patologia è dunque molto facile. Lì, vi si “fabbricano”, appunto, letteralmente schiere di idioti per uso politico. Lo si sa da tempo: occupandosi di psichiatria sociale, lo studioso Alex Comfort osservò simili “fabbriche” antisociali in numero talmente elevato da farne addirittura un libro intitolato “Potere e delinquenza. Saggio di psicologia sociale”, che è da quasi un secolo il best seller in questo campo di indagine. Si tratta di veri covi di “legionari” turbo-statalisti assatanati per il potere, che fingendo di operare contro il cosiddetto sistema (marcio), lo incrementano secondo regolari crismi di Stato (cioè carta, attestati, diplomi, lauree, ecc., nobel compresi, in ogni ambito), che permettono loro di passare inosservati come criminalità organizzata o nuova mafia intellettuale di chierici, traditori di ogni valore umano ridotto a valuta.

Lo statalista Legione, sedicente filosofo, autore delle proposizioni di cui sopra esprime però, nelle sue stesse parole, contraddizioni talmente maldestre da tradire anche evidenti ingenuità o primitivismi, indegni comunque non solo di un filosofo ma di un essere umano. Per quanto scritta nello stile del politicamente corretto, la sua mal celata avversione nei confronti dell’opera steineriana, chiaramente, traspare nel tentativo di fare apparire il proprio sentire come se fosse pensare. Non credo sia colpevole di ciò. Semplicemente non ha l’io, manca di io.

Perciò, non potendo riconoscere l’universalità del pensare, si condanna da solo come novello chierico traditore dell’umano, in nome del subumano e dell’anacronismo.

Scrivo perciò tra le righe le mie osservazioni in caratteri evidenziati, tra parentesi quadre.

Rudolf Steiner [scrive Legione] indica il soggetto della nostra enunciazione [Legione chiama “soggetto della nostra enunciazione” l’io enunciante di Steiner, che crede “nostro” (cioè di ognuno); questo suo credere è, appunto, il suo sentire, privo dei dati di pensiero, che evidentemente il legionario non sente come necessari], ma [continua] non la significa. Il soggetto del nostro discorso [idem] è costantemente eccentrico [per Legione il soggetto enunciante qualcosa, qualsiasi cosa, è “costantemente eccentrico”] rispetto ai canali entro i quali ogni volta sembra attuarsi la sua visione del mondo.

Niente è più nascosto di quanto ciò che nell’operato steineriano appare: il segno grafico, che si colloca nell’interdetto, [curioso è qui l’uso semantico del termine “interdetto”: l’“interdetto” vorrebbe significare per Legione ciò che a Legione sembra essere vietato: il pensare vivente, proibito, interdetto appunto, posto cioè tra le cose dette da Steiner (“inter” = tra); questo modo di procedere è insensato e ambiguo, tendenzioso e antiscientifico] fa parte di un processo di pensiero [questo grassetto e i successivi sono miei] attuato nel discorso in atto di cui, al suo apparire sotto forma di segno grafico, il portatore [Steiner] si è già disfatto [sfugge a Legione che l’atto del “il discorso in atto” è sempre connesso al tempo: in quanto “scritto” (o detto) il participio passato riguarda il divenire, ciò che passa, e che non può esistere se non come pensato e scritto, e che pertanto non può essere caratterizzato come “discorso in atto” nell’essere presente; infatti il contenuto dell’idea “discorso in atto” e la sua prospezione dialettica non sono la stessa cosa: sono essenzialmente differenti. Il primo appartiene al mondo delle idee, dunque al pensare, la seconda al mondo del fare, dunque al volere. Infatti si dice “Scripta manent” e non “Cogitationes manent”. Anche il volere è un’idea, senz’altro, però bisognerebbe saper distinguere, almeno, l’intenzione a volere, che è pensare, dal volere in atto. E questo può farlo solo l’uomo in sé, non l’intellettuale fuori di sé o alienato nell’astrazione divinizzata o assolutizzata degli idealismi assoluti. Ogni agire comporta consumo di ATP o di energia e così anche ogni pensare, però vi è differenza tra pensare e zappare, considerandone forza o debolezza. Il pensiero debole non può giustificare che l’interdire valga come una sanzione]. I disegni alla lavagna tracciati da Steiner durante le conferenze, essendo gesti che nascono da-e-con-la parola e rifluiscono in essa, si sono rivelati come l’eventualità di un’opera d’arte [al tempo di Steiner non esisteva la possibilità di creare video, per cui si tracciavano alla lavagna necessarie rappresentazioni, esattamente come oggi si registrano video per illustrare meglio ciò che si vuol dire]. Il discorso in atto nelle conferenze appare [a Legione] anch’esso come l’eventualità di una filosofia pratica, di un idealismo concreto che, nel disfarsi di ciò che crea, per sempre rigenerare la libertà del creare, rende possibile l’esperienza di ciò che diviene. Attraverso il disparire del detto, nell’intervallo di senso, ci appare [appare a Legione] l’evento di un segno che, nell’intenzione originaria, non tenta la permanenza [infatti escludendo la scrittura, le antiche scritture, sacre o non sacre, o altre testimonianze scritturali, non è mai esistita nella storia degli uomini un’intenzione originaria la cui permanenza sia rimasta originaria. Se così fosse stato, l’homo sapiens non sarebbe mai nato e il paleolitico sarebbe l’era attuale. Forse sarà anche così e in ciò Legione potrebbe avere ragione del suo ottuso primitivismo, però in tal caso non avrebbe bisogno alcuno di manipolare contenuti concettuali. Invece Legione chiama, ora “evento”, il “processo di pensiero” prima annunciato, dimostrando così di ignorare perfino la differenza scientifica tra evento e processo; un evento ripetuto non è già più evento: è un processo. Nella “cultura”, anzi nella kultura odierna, il soggiogamento dei primitivi al subumano parte dai primitivi stessi, che in modo superficiale ritengono antitetici contenuti concettuali come lapalissiani sinonimi. Ma sinonimi non sono: l’esempio, appunto, NON è il processo. Qual è la differenza tra processo ed evento? Un processo accade regolarmente, seguendo uno schema relativamente costante; un evento è straordinario e irregolare; un processo può essere continuo, permanente e uniforme; gli eventi accadono improvvisamente, con intermittenza e occasionalmente; i processi sono tipici; gli eventi sono unici; il processo segue una legge; l’evento crea un precedente. Perciò il “processo di pensiero” è un’espressione tanto “appropriata” quanto quella di “quadratura del cerchio”. Ecco perché, tra l’altro, l’evento della nascita si dice “lieto evento” e non “lieto processo”. La storia umana è fatta di particolari, di dettagli. I dettagli degli oggetti di percezione vanno osservati. Perché sono i dettagli a cambiare la storia. Sono i dettagli a determinare i risultati. L’uomo sano (non solo il filosofo o l’artista o lo scienziato) non può permettere che dei dettagli minaccino la qualità del suo domani. Ciò può spiegare anche come idee mediocri che sembrano formalmente logiche – l’artista e brava filosofa Nina Camelia le chiama idee da MACELLAI DEL PENSIERO, dato che oggi si parla per lo più, “da scimmia a scimmia”, perfino di “esotUrismo” del kotekino, o di REDUCTIO A NEANDERTHALENSIS, ecc. – possano acquisire la forza d’impeto che autentici ideali superiori non riescono più ad avere nei subumani.

Perfino il “fenomeno”, così come è considerato dall’odierna scienza ufficiale, è in sé superficiale pregiudizio, malgrado la sua enucleazione mentale, a cui coopera l’attuale logica “lapalissiana” di Legione, fornendo il necessario “meccanismo discorsivo”. La conformità ai codici del neopositivismo o dell’empirismo logico non è comunque indispensabile al fatto che l’individuo subisca il dominio del “meccanismo” discorsivo: è sufficiente la dipendenza del pensare dalla memoria o dalla psiche, che rende l’espressione razionale obbediente al corrente formalismo linguistico, in mancanza di un effettivo contenuto di idee. Il contenuto vero (di Legione) è perciò istintivo. Gli istinti possono dominare indisturbati nella misura in cui è instaurato il regno astratto della dialettica, che provvede alla loro codificazione.

In tal modo e per fare un altro esempio, la dialettica della redenzione sociale, prodotto da intelletti incapaci di afferrare la realtà fuorché come numero e peso, con la presunzione di avere la chiave di tale redenzione, è portata ai popoli nella misura in cui il fenomeno, superficialmente inteso, divenga evento kulturale, sociale, economico e tecnologico.

Perciò tale dialettica fa presa su uomini carenti di vita pensante e, se portata in ambiti subumani, non solo non opera in senso sociale, dato che non sollecita negli individui forze consapevoli da cui comunque origina, ma agisce direttamente SOTTO la coscienza, cioè nella zona delle forze ataviche del cosiddetto cervello rettiliano. Questo tipo umano, sia esso “leone da tastiera” o operaio, o “burino”, ecc., in quanto appartenente a popolazioni cosiddette “sottosviluppate” o a “razze” di colore, viene letteralmente corrotto dai bisogni retorici ritenuti “sociali” dai neo-chierici traditori (genia dominante di intellettuali “progressisti”), che portano incontro ai subumani da loro generati, la propria tara interiore dialettizzata, con lo stesso bisogno irresistibile di trasmetterla, mediante inquadramento dottrinario e politico. A questi “intellettualini” dal “pensiero debole”, generati dai loro “maestri”, ed ai “maestri” stessi, non interessa elevare il primitivo o l’ingenuo o il cosiddetto “proletario”, ma trasmettergli la propria fede: non interessa che l’uomo diventi logico e libero, ma che sia strumento del loro mito. Perfino le elementari “provvidenze sociali” (protezionismo mafioso di stampo keynesiano) diventano perciò veicolo di soggiogamento politico. La schizofrenia di Legione non concepisce che si possa provvedere a una dignitosa esistenza dell’uomo fuori dalla coartazione operata da un mito politico.

La negazione della parola scritta [continua Legione], negata dall’attività di Steiner conferenziere, attesta la volontà di de-pensare l’opera [qui si manifesta l’apoteosi dell’idiozia legionaria (odio? Invidia?) in quanto, secondo Legione, l’attività di conferenziere di Caio attesterebbe la negazione della sua parola scritta; Legione addirittura non considera che se applicasse questa stessa congettura a tutte le parole scritte da Sempronio o da Legione stesso ed a quelle da lui dette nei vari video, bisognerebbe trattare di altrettante attestazioni di “volontà di de-pensare”, tanto nelle parole dette quanto in quelle scritte nelle loro opere. Infatti così continua:]. La parola si viene a posizionare nella stasi dell’azione discorsiva e nella scissura tra immagine e parola viene recuperata l’origine di un fenomeno primordiale [paleolitico, appunto]. Fruire dopo sessant’anni [ancora invidia? O odio?] di latenza storica di questi disegni attesta [le attestazioni sono evidentemente per Legione moneta sonante] il ritorno ad un linguaggio fittizio [il “linguaggio fittizio” di Steiner] che sta a fondamento di un soggetto [l’io di Steiner] che insiste a non divenire il vettore di significati permanenti[questi “significati “permanenti” sarebbero invece per Legione quelli che in modo lapalissiano egli crede di predicare impunemente, proclamando giornalmente ai quattro venti in opere e omissioni dialettiche (video a iosa), che Keynes sarebbe imprescindibile per la società che Dio comanda, anche se Keynes si occupò un secolo fa di econòmia anziché di economìa. Legione pertanto si palesa così un anacronistico dogmatico che si attarda a predicare ancora quanto segue]. "Soltanto chi pone tutta la sua fiducia in Gesù Cristo e crede che egli è morto come vicario per i suoi peccati, può essere salvato. Senza dubbio le buone opere restano delle buone opere. Perlomeno agli occhi degli uomini. Ma ciò non implica necessariamente che esse siano apprezzate anche da Dio. Agli occhi di Dio è buono soltanto ciò che avviene concordemente alla sua volontà[mi fermo qui, al paleoliticismo lapalissiano ovvero alla REDUCTIO A NEANDERTHALENSIS di Legione, non prima di avere accennato a quest’ultima sua attestata (sic!) contraddizione (e/o avversione alla coerenza, e/o aporia), che lo squalificano del tutto come essere umano pensante].

Questo momento storico è molto grave in quanto ricolmo di malattia mentale. Bisognerebbe chiedere a questo lapalissiano legionario di Keynes, predicatore di dogmi e sedicente filosofo del 3° millennio cosa sia oggi la “volontà di Dio” e cosa significhi “fare la volontà di Dio”. Significa che l’uomo tautologicamente DEBBA agire secondo catechismo perché DEVE, oppure che faccia del dovere il PROPRIO volere?

L’argomentazione che questa domanda comporta non è molto difficile da comprendere: se “Dio” volesse che il motivo dell’agire degli uomini consistesse nel fare o volere ciò che Egli vuole, in base al fatto che Egli evidentemente non può adeguatamente identificarsi in ciò che l’essere umano vuole, ne conseguirebbe che “Dio” NON vuole libero e autonomo l’uomo, dato che tanto la norma dell’agire umano, quanto “Dio” stesso, si troverebbero fuori di lui, essere umano; se invece tale volontà (di “Dio”) riguardo all’uomo fosse che l’uomo facesse del dovere il PROPRIO volere, allora l’uomo, paradossalmente, ubbidirebbe solo quando non agisce più per mera ubbidienza, ma seguendo la PROPRIA volontà.

Oltretutto, se l’uomo si ostinasse a voler agire per mera ubbidienza alle “mitzvot” (“comandamenti di Dio”), senza fare di queste il proprio volere essenziale, proprio allora disobbedirebbe al comandamento principale, che è quello di amare, cioè di agire NON per ubbidienza, ma per amore. D’altronde, se l’agire epicheico caratterizza (come si legge dai vangeli sul “sabato”) l’autentico spirito neotestamentario, come mai allora la “Mater et Magistra” – cioè la Chiesa Cattolica dei “legionari” predica ancora, esattamente come Legione, dogmi di romana memoria, anziché insegnare tale spirito nuovo nelle sue catechesi? Non è stata forse l’omissione (esclusione) dell’epicheia dalla predicazione cattolico-romana a riproporre ed a giustificare fino a ieri, nel catechismo, l’anacronistica “legge del taglione” la guerra e la pena di morte?

Non sarebbe meglio allora insegnare, con l’esempio, qualcosa che lo spirito del tempo odierno esige di autenticamente sociale, anziché continuare a predicare la religione keynesiana di Bankitalia, avversa alla parola di Dio (Giovanni 2,15), oltretutto a lato dell’esponenziale instabilità delle finanze della “legittima autorità pubblica” (la “banca emittente”, elevata dal diritto di Stato ad “Istituto di diritto pubblico” con tanto di monopolizzazione della creazione di valuta dal nulla e senza riserva aurea)?

Predicare la pace attraverso il carattere guerrafondaio del keynesiano e anacronistico spirito di chi vuole tutto subito, confondendo eventi e processi, cause ed effetti, in un miscuglio di idiozie preistoriche contro l’io (l’io che è via, verità e vita) non potrà mai far ritrovare sé stessi, ma dannare ad essere sempre più dementi. L’uomo senza io è un primitivo irresponsabile, traditore dell’umano, che si vende per un piatto di pasta o per trenta sicli d’argento, pur sapendo di essere poi destinato ad impiccarsi (Matteo 27,3).

Perfino le considerazioni sull’arte che Legione mette in bocca a Steiner per proiettarvi il “depensante” che lo stesso Legione, e non altri, ha in sé, omettono la consapevolezza che l’infilare idee nella testa altrui è anche questo un’arte, dato che un uomo non è mai tanto deciso quanto crede che una convinzione gli appartenga. Ecco perché al “sistema”, Legione, mascherato da rivoluzionario secondo il “sistema”, è oltremodo necessario. L’uomo del “sistema”, il legionario, cioè lo statalista masso-mafioso, non sposerebbe mai, infatti, una causa che non fosse formalmente giusta, cioè perfettamente giusta, assolutamente giusta. Ma questo giochetto di concetti meramente formali ma privi di contenuto si chiama GATTOPARDO e oggi non bisognerebbe più giocarvi ancora, credendo in essi senza nemmeno provare a verificarli in noi stessi.

Occorre pertanto imparare, almeno un po’, ad uscire dalla preistoria o dalla “neanderthalizzazione” indotta, a cui siamo stati magistralmente sottomessi in nome del “bene comune”.

Pertanto è ovvio che se tutto rimane così come è oggi (2024; nel libro: 2022, e gli anni passano), la separazione o divisione dei poteri, principio fondamentale dello Stato di diritto, è inattuabile nell’organismo sociale vivente. Lo stesso avverrebbe se un cuore fosse sezionato in parti in un organismo umano. Proprio perché lo Stato sociale o politico non è altro che il cuore di tutto l’organismo.

Si tratta in definitiva di comprendere come sia possibile il passaggio dalla società astratta, definita o morta nella mera carta dei legionari lapalissiani, al vivente organismo sociale.

Non potrebbe attuarsi alcuna vita in qualsiasi organismo in cui il cuore fosse in sé separato o diviso nelle sue tre funzioni relative per esempio al sangue venoso, arterioso e al plasma. Per esempio, i talenti, che vivono come qualità negli esseri umani, non si possono separare come se fossero quantità di merce da pesare. Perciò la caratterizzazione dei poteri non può avere a che fare con separazioni o divisioni ma con articolazioni. Ciò vale anche per il concetto di autorità. Autorità proviene dall’autore di qualcosa: se io sono l’autore di un’opera ho autorità su di questa ma se io sono legislatore e creo leggi, come la mettiamo? Qualunque chiesa, movimento culturale, partito politico, ideologia o gruppo, che inesorabilmente pretenda di imprigionare la coscienza degli uomini nel cerchio chiuso di una catechizzazione costruita all’ombra del kantiano “dover essere” (“devi fare così per vivere bene”) in base a mera autorità (“devi fare così perché te lo dico io e io me ne prendo la responsabilità”) o a morale eterodiretta “devi fare così perché sta scritto qui”, non fa che un’opera di dissoluzione e di morte, compromettendo ogni possibilità di libertà, di responsabilità e di dignità personali. Nella hit parade dei truffatori, i banchieri vengono prima o dopo i giudici? Il banchiere è infatti semplicemente un mandato (mediante monopolio), mentre lo Stato (concessore del monopolio), rappresentato in questo caso dai giudici, è il mandante. La domanda che mi pongo allora è: le azioni di certi giudici (o forse di tutti i giudici), di certe autorità (o forse di tutte le autorità) sono dunque sostanzialmente prive di coerenza logica, per cui continuo a percepire innocenti che continuano ad andare in prigione, come per esempio avvenne per Giuseppe Pinelli, Enzo Tortora, Gigi Sabani, Elvo Zornitta, ecc., ecc., ecc., e a pentiti che invece sono ricompensati con incentivi di miliardi e con pensioni di Stato a vita? Ciò mi rimanda al concetto di autorità. Credere nell’autorità mi è difficile in quanto dovrei avere una fede da zelota ma la fede dello zelota nelle strutture è strana; mi ricorda una domanda alla quale tanto i cattolici, quanto i comunisti, o i più fervidi credenti nell’“impianto” statalista, dovrebbero porre alle proprie coscienze, in merito al concetto di gerarchia o di autorità: come si fa oggi ad avere fede pur restando in buona fede? E come si fa a credere oggi all’autorità?

Cito me stesso: "Qualunque chiesa, movimento culturale, partito politico, ideologia o gruppo, che inesorabilmente pretenda di imprigionare la coscienza degli uomini nel cerchio chiuso di una catechizzazione costruita all'ombra del solo “albero della vita” (“devi fare così per vivere bene”) in base a mera autorità (“devi fare così perché te lo dico io e io me ne prendo la responsabilità”), non fa che un’opera di dissoluzione e di morte, compromettendo ogni possibilità di libertà, di responsabilità e di dignità personali. Un organismo sociale orientato alla verità è possibile nella misura della volontà del superamento del proprio male...” (N. Villa, “Il sacro simbolo dell'arcobaleno”, Ed. Sear, p. 106).

Le seguenti riflessioni sul concetto di “autorità” mi consentono di aggiungere che, senza tale volontà, ogni autorità è tirannia.

Il produrre dà significato all’auctoritas, non viceversa. Questo vale in ogni campo, compreso quello musicale. Il termine “autorità” proviene da “auctor” e questo è formato dal tema “aug”, da “augere”, “far sorgere, far crescere”, e dal suffisso “tor”, che compare nei cosiddetti “nomina agentis” (nomi indicanti chi agisce) come espressione della capacità di - appunto - produrre, indicata anche in forma rovesciata nel tema “art” di “arte” in cui “tr” di “tor” diventa “rt” di “art”. L’autore, infatti, cioè l’artefice, che produce non in modo lineare o automatico o a caso, bensì consapevolmente “ad arte”, produce anche obbedienza e consenso. E ciò pur sapendo che l’arte di per sé è falsità, dato che rappresentare finanche due semplici parallele ad arte, per esempio prospetticamente, significa disegnarle come un triangolo (cfr. l’immagine seguente).

Ciò vuol dire che una legge non può essere inventata “ad arte” ma SCOPERTA. L’autore di un’opera d’arte, invece, proprio perché produce “ad arte”, produce anche obbedienza e consenso, dato che può insegnare la sua arte, mentre se il prodotto è scadente, anche l'obbedienza ed il consenso svaniscono: quando l’oggetto creato si chiama legge tutto ciò non ha valore, dato che non è giusto uccidere in nome del non uccidere. Chi non vede questo non è un vedente. Non è veggente. È un cieco volontario o un credente nel “lapalissiano” uccidere per non uccidere. 

Allora la disobbedienza diventa virtù. Infatti, in tal caso, la scelta fra obbedienza e disobbedienza ha di fronte a sé un’“autorità” che si caratterizza non come autorevolezza nel fare il bene, ma come “legittimità” di produrre legittimamente il male. Ha di fronte il potere della forza, dell’arma, della prevaricazione, e della violenza esteriore ed interiore. La vita non può essere spezzata se no muore come vita e diventa sopravvivenza. La stessa cosa può essere detta del respiro vitale: il “tempo dell’inspirazione”, il “tempo dell’espirazione” e il “momento in cui non vi è né l’inspirazione né l’espirazione” (detto di solito “punto zero”) non sono separati tra loro ma naturalmente modulati, cioè articolati.

Solo la costruzione di un robot, cioè di una macchina, può essere pensata come giustapposizione di parti meccaniche, non così l’organismo umano, e non così l’organismo sociale, il cui socio continuerà a fallire nel proprio tentativo di costruire una vita sociale adatta a sé.

Dai Veda a Salomone, e da Platone fino Montesquieu, la filosofia ha continuato a fallire, individuando e separando le cosiddette tre funzioni dello Stato: legislativa, esecutiva e giudiziaria.

Anche mettendo in risalto la neutralità del potere giudiziario, appannaggio di giudici nominati pro-tempore tra i soci dell’organismo sociale, nulla di sociale si è attuato perché ai soci è sfuggito che ognuno alberga in sé facoltà nervose, cardiache, e motorie, che riflettono tutto l’organismo sociale stesso. Nervi, cuore, e membra sono una triade preposta alla riflessione, al sentimento ed al movimento, astrattamente detti pensare, sentire e volere.

Se però si vuole qualcosa solo con l’intenzione e non si muove la mano e il braccio per afferrarla, si permane nel pensare e non si entra ancora nel volere.

La questione è semplice ma lo scientismo l’ha fatta diventare un’impossibilità pratica: escludendo da sé l’individualità umana, l’io umano, per procedere in modo rigorosamente oggettivo. Perciò si trova imprigionata in sé stessa: senza un io che sperimenti concretamente un volere, un sentire e un pensare, nulla può fare. Quindi è diventato difficile chiarire la differenza tra funzione legislativa, esecutiva e giudiziaria. Legiferare, eseguire (o far eseguire, imporre, obbligare, costringere, ecc.) e giudicare non possono attuarsi se non in base a pensare, agire e sentire, i quali sono e sempre saranno strumenti dello spirito umano o io.

 

Napoleone assunse in sé i tre poteri non come essere umano ma come un dio e l’operazione fu un fiasco colossale.

 

Dopo la seconda guerra mondiale, quando io nascevo, la costituzione italiana non esisteva ancora. Entrò in vigore quasi un anno dopo, il 10 gennaio del 1948. A volte ho il sentore di essere nato per dire: guardate che questa carta non dice il vero. Ebbene, questa carta si fonda sulla netta separazione dei poteri: legislativo del parlamento, esecutivo del governo, e penale della magistratura. Quindi accade che oggi esiste una contraddizione, tutt’altro che avvertita, riguardo alla delega costante del parlamento, titolare del potere legislativo, a favore del governo, deputato al potere esecutivo. Avviene perciò che il parlamentare facitore di leggi delega costantemente chi governa a imporle. Già questo è come accettare che esista un uomo che scoprendo una legge, voglia delegare un altro, che dovrebbe essere un suo simile, a rispettarla e a farla rispettare. Se il socio fosse una macchina sarebbe giusto. Se però il socio è un organismo vivente quanto lui, non è giusto. Se si scopre la legge naturale di gravità di un corpo, cioè un peso, quel peso vale per entrambi, se no la scoperta è fasulla. Quindi c’è differenza fra la legge di natura che si scopre e la legge meramente decretata o solo detta, parlata, inventata. 

Qui entra allora in campo il giudizio, cioè il sentire. Ed è in questo clima psicologico politico e sociale che si innesca ogni possibile contestazione o protesta relativa all’esecuzione del potere giudiziario da parte della magistratura. Con quale diritto io parlamentare posso decretare che un mio simile possa eseguire un mio ordine? Questo è un problema mai risolto di una dittatura mai rimossa e mai trasformata in modo naturale, cioè umano, in democrazia o in vita conviviale. Il DM (Decreto Ministeriale) non è altro che un retaggio tirannico del fascismo se non è motivato universalmente. 

Avvenne invece che il DM del 30 settembre 1989 (anno della caduta del muro di Berlino e del comunismo) introdusse nell’iter relativo alla notizia di reato (in latino “notitia criminis”), già disciplinata nel titolo 2° del 5° libro del codice di procedura penale, il “modello 45”. 

Sembrò trattarsi di un registro che si accomunasse ad altri modelli come il 21, sul quale si annotano notizie di reato di cui si conosce il colpevole, oppure il modello 44 quando il reato è attribuito ad ignoti. Il modello o registro 45 era invece destinato a contenere la registrazione di quegli atti “privi di rilevanza penale”, come precisò la circolare del ministero di giustizia del 20 luglio del 1990. 

L’obbligo dell’iscrizione della “notitia criminis” su questi registri è oggi (2024, nel libro 2024 e il tempo passa) in capo al pubblico ministero o procuratore della repubblica, come disposto dall’articolo 335 del cpp (codice di procedura penale); spetta a lui decidere ed è solo sua la discrezionalità di valutare se nella notizia di reato si configuri un’ipotesi di reato o se la denuncia-esposto, da parte anche di soci dell’organismo sociale (i cosiddetti privati cittadini) o trasmessa dalla polizia giudiziaria, debba essere inviata al giudice delle indagini preliminari e quindi avviare un processo.

Questo kantiano “dover-essere-per-inviare” (o avviare, o fare qualsiasi altra cosa) è ridurre l’uomo ad un ridicolo automatismo che mostra una “fisiologia” meccanica o robotica che non esiste in natura in quanto: sia nell’organismo umano che nell’organismo sociale nella vita reale non esiste la teoria da una parte e la prassi dall’altra; questo modo di ragionare è meccanicistico e materialistico, ed è uno dei maggiori errori rimasto come retaggio del marxismo nelle coscienze quasi addormentate dell’uomo attuale: quando si va al bancomat per prelevare soldi non si agisce mai nella mera prassi: anche solo nel semplice camminare umano si esprime un rapporto tra pensare, sentire (o percepire) ed agire. Davanti allo sportello del bancomat si trovano magari persone che stanno aspettando il loro turno prima di noi; aspettare in coda non è un programma da computer che vive nell’uomo come teoria o prassi: la cosiddetta prassi distinta dalla cosiddetta teoria di cui si parla dai tempi di Hegel e di Marx è un’idea illusoria che non risponde ai contenuti a cui si riferisce. La corrispondenza tra pensare e agire pratico può solo riguardare la traduzione in realtà di contenuti fisici e meccanici. Per un computer vanno bene perché nel computer possono esservi programmazioni e relative azioni meccaniche. Ma non si tratta di azione vera, cioè di volontà vera. Il poter realizzare nella prassi il prelievo di una somma da un qualsiasi conto bancario per versarla a favore di un gruppo di bisognosi è, sì, azione pratica, ma lo è solo in quanto si attua per il contenuto ideale che comporta: l’azione pratica non è il movimento meccanico dell’andare in banca, prendere la somma e portarla ad altri. È invece l’obbedire mediante consequenzialità pratica ad una decisione interiore che è immateriale: la volontà è lo scorrere di quella decisione in un’azione, non il suo meccanismo.

La volontà non è il meccanismo dell’azione. Il meccanismo dell’azione è sempre in contraddizione col mio agire.

Marx fu molto sagace nel prevenire questa contraddizione con la filosofia della “prassi” riconoscibile come il movimento hegeliano dell’idea, o di tutto l’idealismo da Socrate a Gentile: farsi del vero, prassi, per virtù della “materia”, che muove come “idea”. Fu però un dividere la vita umana in due: da un lato il corpo fisico e dall’altro lo spirito che lo anima (nella dottrina di Marx sarebbe stato sufficiente sostituire la parola “materia” con “idea” e tutto sarebbe andato a posto: “non occorre molto acume per accorgersi che la materia, autonoma, vi è ravvisata come idea, mentre si attribuisce all’idea soltanto l’autonomia della prassi, ossia l’autonomia movente dalla materia: però vista come idea” (Massimo Scaligero, “Metafisica del materialismo”, in “Il pensiero come antimateria”, Roma, 1978).

Legiferare, eseguire e giudicare possono attuarsi solo mediante pensare, agire e sentire, universalmente validi, cioè a disposizione di ogni socio. Il concetto di ministero va riveduto se no si cade e si permane nel mistero o nella metafisica ministeriale in cui tutto può essere il contrario di tutto, come risulta essere oggi dappertutto in ogni campo scientifico, politico, ed economico. Appare evidente che se il pubblico ministero (il socio procuratore della repubblica, che procura elementi su cui impostare il giudicare) non soppesa mediante sentire (cioè non percepisce) e quindi non ritiene-mediante-pensare che un fatto portatogli di fronte come notizia di reato abbia caratteristiche di notizia di reato, né elementi probanti dello stesso, si muoverà solo mediante il voler iscrivere al registro modello 45 tale notizia. Avviene così che i dati di quel fatto non sono inviati al gip (giudice indagine preliminare) per l’archiviazione ma sono direttamente avviati all’archivio del pubblico ministero. Cioè la notizia del crimine è archiviata. 

Questo è il “vulnus” della questione, alimentata dalle recenti polemiche relative alle commistioni di (o “porte girevoli” per) politici e magistrati, che pre-giudicano l’articolazione dei poteri (detta meccanicisticamente o materialisticamente “separazione” o “divisione”) tra cui l’autonomia della magistratura giudicante-mediante-sentire, che assieme alle altre due autonomie (legiferare-mediante-pensare ed eseguire - (o far-seguire) - mediante-volere-in-atto) è un perno centrale della democrazia antica e nuova, anzi sempreverde. 

Per contrastare la distorsione dei contenuti costituzionali a salvaguardia dell’articolazione naturale dei poteri detta materialisticamente separazione, così come è detta tripartizione la “tri-articolazione sociale” dei neo-massoni dell’antroposofia nel 2017, con mia grande felicità, è nata l’associazione di promozione sociale denominata Governo del Popolo, guidata da Francesco Carbone. 

All’associazione fanno parte liberamente soci dell’organismo sociale, professionisti, avvocati e magistrati che contestano l’uso strumentale meccanicistico e materialistico del modello 45 «[…] utilizzato per sabotare denunce e processi contro sistemi criminali dentro e fuori le istituzioni (cosche, logge, ordini, sette)» (da un volantino dell’associazione GdP). 

Le procure italiane sono pertanto a tutt’oggi scientificamente osservate ad oltranza da numerosi soci di GdP. E questa osservazione può essere attuata da tutti. Cioè è universalmente osservabile da chi, ovviamente, ha ancora orecchi per intendere. 

Potrà forse sembrare paradossale, ma è realmente così: per la futura evoluzione dell’umanità è proprio antisociale al massimo grado il coltivare in sé la caratteristica di abbandonarsi ad un’immediata simpatia o antipatia di fronte al prossimo” (R. Steiner, “Lo studio dei sintomi storici”, Milano 2016). In futuro, la migliore e più notevole qualità sociale consisterà, appunto, “nello sviluppare un interesse oggettivo e scientifico per gli errori degli altri e nel porre l’interesse per gli errori altrui al di sopra dei tentativi di critica” (ibid).

Questa pagina è presa dal capitolo omonimo del libro APORIE

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