Di là & di qua = De mo no Crazia

La sezione "Di là & di qua = De mo no Crazia" su Marameo esplora il caso Bellia e quello del Calunniator Frescone. Questi argomenti affrontano le sfide della società attuale e offrono soluzioni per un futuro autogoverno del popolo italiano.
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Sul caso Bellia e del Calunniator Frescone
Rifacimento sintetico della pagina https://nereovillaopere.wordpress.com/2022/07/06/sul-caso-bellia/
Un’amica mi dice che si parla di me in FB. “Bene”, rispondo. “Ma si dice che tu hai litigato con Bellia”. “Non bene” – rispondo – e quando?”. “Questo non si dice”. “Allora si calunnia?”, domando. “Forse, non so. Tu litighi con tutti ma la litigata con Bellia non la ricordo. Forse non me ne sono accorta, comunque tu sei un litighino…”. Risate.
È venuto il momento di parlarne, quindi ho cercato nel web questa storia del mio rapporto con Nicolò Giuseppe Bellia, che da anni non è più tra i mortali ma che ringrazio di cuore per avermi fatto comprendere, di risata in risata, il suo amichevole rapporto col Padre eterno… Credo che il suo “amico Dio” sia anche amico mio e di tutti, soprattutto dei poeti, dei sognatori e dei lettori di Nina Camelia, mondo nuovo e inaspettato di artisti veri, cioè con le palle.
Il materialismo di Bellia gira ancora nel web come antroposofia della mutua o della stupidità, perché il mondo è davvero ammalato di materialismo e quindi non vede il materialismo stesso. Intendo per mondo la gente del mondo, dato che il mondo in sé, come dice la parola è mondo. La terra è dura e bassa ma in fondo è buona. Ci dà il pane se la trattiamo bene, pettinandola un po’ ogni tanto. Ma vedo che mi sto già perdendo pensando ai poeti. Quindi vengo al dunque.
Chi afferma (come Nicolò Giuseppe Bellia affermava) che bisogna avere la pancia piena per poter filosofare, pensa secondo me in modo assurdo, causale o causidico. Quando si ragiona in modo causidico, per esempio sulla stessa proposizione “prima bisogna avere la pancia piena per poter ragionare” cosa si fa? Cominciando dal fondo, si ha da questa frase come prima lettera la “e” di “ragionare”, che deriverebbe dalla “r”, poi dalla “a”, dalla “n”, “o”, ecc. In tal modo si crede di avere ogni volta l’effetto della causa che precede. La “e” è l’effetto della “r”, la “a” della precedente “n”, e la “n” della precedente “o”, e così via. Ma questo è un assurdo. Ogni lettera ha origine unicamente per il fatto che un io umano l’ha scritta, e certamente la lettera che precede non ha prodotto quella che segue. È dunque completamente assurdo dire che la lettera che precede sia la causa di quella che segue, o che quella che precede produca quella che segue. Quindi le vere cause vanno ricercate altrove dato che con la pancia, vuota o piena, due meno uno farà sempre uno. Questo per quanto riguarda il materialismo di Bellia o di chi sostiene che prima bisogna vivere e poi filosofare. Per Bellia infatti era assolutamente esatta la massima aristotelica “primum vivere, deinde philosophari”, nel senso che “prima bisogna avere la pancia piena e poi si può anche ragionare”, dimenticandosi che questa era una massima molto spuria, anzi aberrante, di un “Aristotele” arabizzato da Avicenna e da Averroè. Come dire: se non mangi, non caghi. Filosofia? Evidentemerde! (Vecchia battuta da orchestrale).
Per il resto, lo spostare il prelievo delle imposte dal reddito alla massa monetaria, come predicava Bellia, era – ed è – secondo me un errore, o tutt’al più un’impossibilità pratica. La massa monetaria non è un chilo di prugne percepibile a tutti, per cui basta prenderne il 7 o l’8 per cento da dare ai poveri.
Per entrare nella massa monetaria occorre entrare nel portafoglio della gente.
Ora, dopo il dimezzamento del valore della lira con Prodi – gli scrivevo – (fra l’altro Bellia allora affermava che con l’euro non sarebbe cambiato nulla!) e dopo l’altro dimezzamento dovuto all’euro, “farsi mettere ancora le mani nel portafoglio con l’invenzione della fiscalità monetaria” mi sembrava davvero un assurdo masochismo, un eccesso di fede nell’autorità di Pinco o di Pallino, sedicenti esperti risolutori del problema del cosiddetto debito pubblico (risolutori in contatto col Padre eterno, come diceva di sé Bellia; conservo ancora le sue esilaranti registrazioni telefoniche che voleva che io registrassi da studiare).
Perciò, visto che insisteva in una semplicità che non era un gran che semplice, “osai” chiedergli formule matematiche almeno funzionanti per esempi chiarificatori! Se le sue formule fossero state funzionanti, a quest’ora tutti le avrebbero capite, e tutti vorrebbero la sua fiscalità monetaria.
Così non è.
Non ebbi mai risposte chiare e tonde, semplicemente perché non le aveva e mai nessuno le potrà avere. Cerco di spiegare il perché.
Una distribuzione di beni, non può essere lecitamente fatta, prendendone la metà per saldare un debito truffaldino, perché un’azione non può essere fatta mediante l’agire in conformità al suo contrario. Pagare un pizzo è mafioso quanto pretenderlo. Inoltre chiamare “antropocrazia” la rappresentazione di tale agire, è antilogica: è esattamente come quando nel gioco delle tre carte si sostituisce, una carta. E in tale antilogica quel sostituire è effettuato sul piano dei contenuti concettuali, dunque un’antilogica che pone a fondamento di sé una teocrazia, creduta antropocrazia, a sua volta creduta antroposofia e procedimento democratico. Chiamare “antropocrazia” tale “cratologia” (miscuglio di machiavellismo, kantismo e tsuismo: cfr. S. Tzu, “L’arte della guerra”, Ed. Mondadori) è la medesima antilogica che fa poi porre a fondamento di una pseudo giustizia un procedimento democratico o di “democrazia informatica” o di “democrazia diretta” che dir si voglia, per addirittura elettrificare valuta, già anche troppo elettronicamente manipolata dal diritto di Stato (mafia sostituita allo Stato di diritto).
Antropocrazia è altro da Democrazia: non può chiamarsi antropocrazia un solipsismo poggiante su antilogica, anziché su universalità del pensare. Io sono antropocratico solo quando comando me stesso non i miei simili.
Pretendere consensi democratici sull’antropocrazia, o su un determinato tipo di antropocrazia è come pretendere di mettere ai voti che la somma degli angoli di un triangolo sia di 180 gradi. Ecco perché chi, come Bellia, insiste ancora così pervicacemente in questa pretesa non può che essere un solipsista. Infatti nei suoi sermoni, che Bellia credeva assolutamente scientifici, compariva prima o poi il Padre eterno…
Il termine solipsismo è appropriato in quanto, provenendo dal latino “solus” e da “ipse”, riguarda una dottrina di pensiero che sostiene l’evidenza assoluta ed esclusiva dell’io o di contenuti di coscienza. Ne deriva un idealismo soggettivo di tipo metafisico che nega la realtà del mondo esterno (mondo esterno della realtà comune a tutti), negando altresì la necessità e la possibilità di mostrarlo e/o di attingerlo come realtà (o come realtà di altri soggetti, cioè di altri io). Per tale visione metafisico-solipsistica, è perciò necessario poi il ricorso a Dio, come unico garante, dell’oggettività del conoscere. E in tale contesto di pensiero fideistico, la storia, è concepita come opera divina (oltretutto, se uno è non credente, cosa fa, si adegua?). “Ecco perché – era solito dirmi Nicolò Bellia, concludendo ciò che affermava in modo completamente arbitrario – io dico sempre che la realizzazione dell’antropocrazia dipende dalla storia, e quindi dal Padre eterno”.
Credo, pertanto, che il maggiore avversario dell’“antropocrazia di Bellia” sia stato, fino a prova contraria, Bellia stesso. Il suo comportamento infatti, era di fatto quello di un piccolo Cesare, pavido ed arrogante come in fondo è un qualsiasi dittatore.
Lo stile dittatoriale, intrinseco ad ogni egoismo, egotismo, sopravvalutazione di sé, ipertrofia dell’ego, ecc., ognuno lo può anche nascondere, ma si tratta sempre, in fondo, di un modo d’essere che non paga, in quanto ci lascia poi monchi, e ci debilita. Succede comunque quasi sempre, però, che su questa condizione di minorità o minorazione dell’individuo rispetto al collettivo, dovuta alla sopraffazione dell’altro, faccia subito luce lo spirito libero, appena si affaccia nella vita di ognuno. Allora lo spirito libero mette subito il dito nella piaga, e l’anima non libera ne ha paura, e scappa, accusando magari: ti nascondi dietro il dito…
Così fece Bellia con me. Scappò. Semplicemente scappava dalle mie domande. E così fanno oggi tutti i legionari con le loro calunnie nei confronti di qualcuno se messi alle strette. Scappano perché in verità NON hanno argomenti validi per far correggere questo o quel presunto errore di pensiero che attribuiscono al malcapitato.
Chi continua a scappare solipsisticamente dai propri errori anziché antropocraticamente combatterli in sé, deve prima o poi scontrarsi con la propria solitudine, e riflettere maggiormente sulla paura che probabilmente li genera.
Frequentando Bellia, incappavo prima o poi in certe sue affermazioni del tipo “questa è la mia convinzione”, “io procedo nella mia strada”, “io procedo nella mia convinzione”, ecc., che non sarebbero di per sé niente di male se non si fossero però riferite ad una tuttologia assurda di “verità sociali”, e perfino matematiche. Il fatto è che anche quando si trattava di calcoli, Bellia seguiva la “sua” strada! Ma una verità matematica può essere esatta o non esatta, confutabile o inconfutabile. Non può essere una convinzione, o un cammino di fede.
Eppure ancora oggi (agosto 2024) vi sono sedicenti matematici alla Bellia che, anche dopo essere stati matematicamente confutati, continuano a procedere per la “loro” strada, nonostante essa risulti matematicamente sbagliata. Si veda per esempio la pagina “Commenti sulla Formula Bellia” del matematico Paolini (che studiò una formula matematica di Bellia dietro sua richiesta): “Il calcolo della traslazione di Bellia […] – così si legge – introduce un errore nell’equazione del polinomio traslato, dovuto all’errore di arrotondamento nell’aritmetica del computer. Questo errore rischia di accumularsi al procedere del processo iterativo. Nella descrizione dell’algoritmo di Bellia non viene MAI detto che […] se ci si ferma dopo un numero finito di passi si ha inevitabilmente un errore. Anzi, nell’algoritmo si dice: “vediamo, ad ogni traslazione, che la funzione tende ad avvicinarsi all’origine degli assi fino a passarvi […]”, lasciando intendere “errore zero dopo un numero finito di passi”. Naturalmente non c’è alcun cenno ad un test di arresto, o al numero di iterazioni effettuate. Men che meno ci sono dimostrazioni di convergenza […]”.
Ecco perché questi sognatori sono poi confutabili come sognatori “fai da te” che “aggiustano il tiro” della realtà quando la realtà mostra loro che è diversa dal sogno.
E Bellia scriveva: “Chi voglia approfondire l’iter di pensiero che porta a tale concezione dell’Essere Umano, troverà ne “La filosofia della Libertà” di Rudolf Steiner una completa trattazione filosofica di tali argomenti” (N.G. Bellia, “L’antropocrazia”, Ladispoli 7 Marzo 1992). Palle! Quali argomenti?
Anche qui il sognatore non usciva dal suo sogno di grandezza… E non si accorgeva che il denaro di decumulo (chiamiamolo pure così) di Steiner non era assolutamente quello di Bellia.
Steiner diceva di tassare le uscite, non le entrate (Rudolf Steiner, “Cultura, politica, economia”, Monaco, 2006, pag. 95). Bellia invece diceva di tassare tutta la base monetaria, nella quale vi è reddito e risparmi della gente, quindi voleva tassare ancora le entrate (tanto reddituali quanto sudate e risparmiate). Quindi il suo passare dalla fiscalità reddituale a quella monetaria era solo – fino a prova contraria – illusoria.
Altra questione: l’emotività. Bellia sentiva l’emotività, il sentire umano, come un peccato da rimuovere da sé, cioè dall’“Uomo” con la U maiuscola. Steiner scrisse che il diritto non può darsi senza il sentire l’uguaglianza da uomo a uomo… Ma come si può sentire se si rimuove l’emozione, il percepire, il sentimento creduti da rimuovere?
Eppure parlando con Bellia arrivavamo al punto in cui mi diceva (anche in un contesto del tutto non pertinente): “Mi sembra innanzitutto che nei tuoi toni […] ci sia ancora traccia di coinvolgimento emotivo che impedisce di pensare oggettivamente”. Perciò ridevo a crepapelle quando, mostrandosi convinto che il coinvolgimento emotivo fosse disumanità, si mostrava anche interiormente morto per non sporcarsi le mani con gli umani. Eravamo molto amici e mi telefonava quasi tutti i giorni costringendomi ad ascoltarlo a volte per ore, per poi chiedermi: trovi un errore qui? trovi un errore là?
Ma a parte le risate, la realizzazione della sua proposta di reddito di cittadinanza non comportava per nulla la necessaria modifica del concetto di Stato. Solo se avesse distinto tra minimo vitale e reddito di cittadinanza la sua proposta avrebbe potuto avvicinarsi, almeno come ipotesi discutibile, all’antroposofia dell’organismo sociale. A questo proposito rimando alla pagina “Sulla distinzione fra RDB e RDC” che riassumo qui dicendo solo che lo Stato non è l’organismo sociale (ne è la terza parte), e che la civiltà del diritto romano è anticristiana. R. Steiner fu esplicito su questo importante punto: “il diritto romano è una realtà anticristiana” (Rudolf Steiner, conferenza di Berlino del 14 aprile 1917 del ciclo intitolato “Contributi alla conoscenza del mistero del Golgota”). E lo disse spesso (cfr. per es., la conferenza di Dornach del 16/9/1916 del ciclo “Impulsi evolutivi dell’umanità. Goethe e la crisi del secolo diciannovesimo”, Ed. Antroposofica, Milano 1976, pp. 15-16).
Vi è pertanto un diritto anticristiano oggettivamente di tipo imperiale, dittatoriale, violento, truffaldino, e criminale, partendo dal quale si vorrebbe parlare ancora oggi di “cittadinanza”, di “reddito di cittadinanza”, che è l’ultima follia dei non pensanti e credenti nello statalismo.
Per non cadere dalla padella nella brace bisognerebbe saper distinguere perciò il minimo vitale di Steiner dal reddito di cittadinanza. La base dei terrestri è la terra, non il “civis”, e il reddito che la terra offre ai terrestri è la loro retribuzione, non la distribuzione, perché il distribuire presume un soggetto padrone della terra che invece è di tutti i terrestri.
Si provi invece ad immaginare l’attuazione concreta del prelievo delle tasse dalla massa monetaria di Bellia. Massa monetaria è massa di tutti i soldi, compresi quelli che sono in banca come risparmi degli individui. O no? Anche questo argomento lo delineai più volte a Nicolò, col risultato di essere insultato, dato che, dicendo che il mio pensiero era emotivo, rimuoveva poi i miei scritti dal suo sito (conservo ancora i files). Diceva che lo sporcavano. La coerenza sporca? Casomai pulisce!
Altra domanda: come fa uno Stato a ritirarsi dall’economia come Bellia paventava se è lo Stato ad elargire reddito di cittadinanza? Questa era ed è una contraddizione. Inoltre, dove sarebbe stata la logica di una proposta ballerina come la sua? Dai suoi tre libri si evince che la percentuale della tassazione è in un testo del 7%, nell’altro testo del 6%, in un altro ancora dell’8%, poi di nuovo del 7 nel medesimo testo, ecc. Propone impossibili calcoli per arrivare al reddito di cittadinanza perché è impossibile intendere nemmeno ipoteticamente un esempio (nemmeno uno!).
Naturalmente la proposta Bellia avrebbe potuto essere migliorata e corretta, non certo scartata come errata a priori (perché è questo che risulta dai suoi libri: totalmente errata, evanescente).
Però il solipsista Bellia non ne voleva sapere di migliorarla, né di migliorarsi, con la scusa che lo stesso Steiner diceva dei suoi esempi che potevano essere migliorati… Sarebbe meglio allora studiare davvero Steiner, anziché usarlo per supportare confusioni su confusioni, che dimostrò sempre di fare.
Ed ora lascio parlare i documenti.
La prima indicazione data da Bellia sulla possibilità di calcolo di un “reddito di cittadinanza”, compare nel suo primo scritto “La via d’uscita”, in cui espone le dinamiche che renderebbero possibile tale calcolo con le seguenti parole: “Tale reddito è calcolabile nella misura di 700 mila lire mensili attuali per ciascun cittadino, dalla nascita alla morte, in sostituzione della vecchia previdenza sociale”. Nello scritto non vengono però mai presentati quei calcoli, e si afferma solamente che essi sono calcolabili in base ad un nuovo modello fiscale che, anziché prelevare tasse dai redditi, dovrà prelevare direttamente dal capitale monetario italiano, valutato nel 1979 da Bellia a “più di 7 milioni di miliardi di lire”. Il 1979 è infatti l’anno dell’autopubblicazione de “La via d’uscita”.
L’ultima indicazione di Bellia sulla possibilità di tali calcoli è data dalla sua raccolta di scritti che vanno dal 25/01/1992 al 04/12/1996, intitolata “L’antropocrazia”, nella quale, in data 10 Ottobre 1992, è scritto: “Se si adottasse in Italia una tale fiscalità […] si potrebbe prevedere come valido un valore mensile del Reddito di Cittadinanza di circa 700 mila lire in valore odierno”.
In ambedue questi scritti (“La via d’uscita” e “L’antropocrazia”) non sono riportati i calcoli del reddito di cittadinanza. Però in “L’antropocrazia” egli afferma, in data 25/01/1992, che “i dettagli nonché le rilevanze sociali positive di tale soluzione sono indicate nei due libri LA VIA D’USCITA del 1979 e LA NEOSOCIETÀ del 1991″. Ma questa affermazione è contraddittoria in due punti. Innanzitutto nello scritto “La via d’uscita” non compare – come sopra accennato – alcun “dettaglio” in merito ai calcoli del reddito di cittadinanza. La seconda inesattezza consiste nel fatto che – stando alla data di edizione, lo scritto “La neosocietà” non risalirebbe al 1991, ma al 1993.
L’osservazione di queste inesattezze va fatta non tanto per la svista o per l’errore in sé, ma perché permette di dirigere l’attenzione sul fatto più importante: nei ragionamenti di Bellia, anche in quelli relativi allo scritto “La neosocietà” del 1993 – ed addirittura anche nella postfazione del libro “Verso l’antropocrazia”, edito dalla Bellerofonte Edizioni (diretta da Giorgio Bongiovanni, il "guru" con le stimmate) nel 1998, che raccoglie tutti e tre i precedenti scritti – egli parla effettivamente di calcoli e di formule ma sempre attribuendo al capitale monetario italiano la stessa valutazione da lui fatta nel 1979, cioè al tempo dell’autopubblicazione de “La via d’uscita”, e pervenendo sempre al medesimo reddito di cittadinanza di 700 mila lire, calcolato in base a tale valutazione:
– 1979: “700 mila lire mensili attuali” (“Conseguenze della fiscalità monetaria” in “La via d’uscita”).
– 1992: “700 mila lire in valore odierno” (“Filosofia della fiscalità monetaria” del 10/10/1992, in “L’antropocrazia”.
– 1998: “beni monetari, che ammontano a più di 7 milioni di miliardi di lire” (N.G. Bellia, “Verso l’antropocrazia”, Ed. Bellorofonte, Roma, 1998, Postfazione, pag. 248); “Le 700.000 scaturiscono dal calcolo del risparmio, degli interessi sul debito pubblico allargato, diviso per i Cittadini Italiani, diviso 12” (ibid., pag. 251).
Qui la “svista” mi sembra un po’ troppo grave. L’esposizione del progetto infatti non tiene assolutamente conto del fatto che l’ammontare della massa monetaria cresce, e di molto. Tant’è vero che già nel 1995 fu pubblicato dall’emerito avvocato De Simone (mio amico virtuale) il libro “UN MILIONE AL MESE PER TUTTI” (Ed. Malatempora). In tale libro dimostrava che l’ammontare concreto del capitale monetario cresceva mediamente ogni anno di circa 400.000 miliardi di vecchie lire! (1)
Ora, dando per buona l’affermazione di Bellia che la base monetaria italiana sia stata di 7 milioni di miliardi di vecchie lire nel 1979, e dando per buona anche l’affermazione di De Simone sopracitata, dovremmo avere per l’anno 1998 (anno di pubblicazione di “Verso l’antropocrazia”), un incremento della base monetaria, già maggiore del doppio di quei 7 milioni di miliardi del ’79, affermati da Bellia:
1979 = 7 milioni di miliardi
1980 = 7 milioni e 400.000 miliardi
1981 = 7 milioni e 800.000 miliardi
1982 = 8 milioni e 200.000 miliardi
1983 = 8 milioni e 600.000 miliardi
1984 = 9 milioni di miliardi
1985 = 9 milioni e 400.000 miliardi
1986 = 9 milioni e 800.000 miliardi
1987 = 10 milioni e 200.000 miliardi
1988 = 10 milioni e 600.000 miliardi
1989 = 11 milioni di miliardi
1990 = 11 milioni e 400.000 miliardi
1991 = 11 milioni e 800.000 miliardi
1992 = 12 milioni e 200.000 miliardi
1993 = 12 milioni e 600.000 miliardi
1994 = 13 milioni di miliardi
1995 = 13 milioni e 400.000 miliardi
1996 = 13 milioni e 800.000 miliardi
1997 = 14 milioni e 200.000 miliardi
1998 = 14 milioni e 400.000 miliardi
E allora gli chiedevo: perché nel tuo progetto non accenni, e neanche minimamente consideri, tale incremento?
Come potevo farmi sostenitore della sua antropocrazia? Cioè di un sedicente:
– “progetto culturale benefico per tutte le parti sociali” (“La Fiscalità Monetaria per l’Italia” in “La via d’uscita”, 1979),
– “progetto globale di riforma di qualunque sistema sociale” (“La questione sociale” in “L’antropocrazia”, 07/05/1992),
– “progetto definito in ogni sua parte” (N.G. Bellia, “Verrso l’antropocrazia”, Ed. Bellorofonte, Roma, 1998, Postfazione, pag. 247), in cui si parla a vanvera per 19 anni (dal 1979 al 1998) della medesima base monetaria del 1979?
Certamente, si potrà rispondere a questa domanda dicendo che per 19 anni si è parlato in tal modo della base monetaria per semplificare la comprensione delle formule e della loro dinamica applicativa.
Se però si cerca di applicare i dati di Bellia anche alla sola realtà del 1979, con lo scopo di osservare se si tratta davvero di un progetto definito realmente in ogni sua parte o no, si trova quanto segue.
A pag. 74 di “Verso l’antropocrazia” (Ed. Bellerofonte), Bellia scrive: “Se chiamiamo “Massa mon. gen.”, la massa monetaria della compagine sociale, “N° Cittadini”, il numero dei cittadini, e “Massa mon. pro cap.”, la quota monetaria pro capite, sarà “Massa mon. pro cap. = Massa mon. gen. : N° Cittadini”. Dunque, per applicare questa formula che individua la “Massa mon. pro cap.” occorre conoscere in concreto l’ammontare effettivo della “Massa mon. gen.” e dell’effettivo “N° Cittadini”. In merito alla “Massa mon. gen.”, avevo il dato sopra accennato di 7 milioni di miliardi. In merito al “N° Cittadini”, Bellia non dava alcun dato, ma ognuno può risalirvi. Infatti, i cittadini italiani secondo il censimento del 1981, dunque due anni dopo il 1979, erano 55 milioni circa. Nella pagina successiva, Bellia poneva però la massa monetaria pro capite al valore di 100 milioni: “Nell’attuale situazione italiana, ponendo la ‘Massa mon. pro cap.’ = L. 100 milioni […]” (ibid. pag. 75). Per risalire al “N° Cittadini”, bastava dunque fare l’operazione inversa e cioè dividere la “Massa mon. gen.” per la “Massa mon. pro cap.”. Così facendo però si otteneva una popolazione di 70 milioni per il 1979, il che era sbagliato, cioè impossibile. Infatti se era vero che il censimento del 1981 fu di circa 55 milioni, avrebbero dovuto morire in due anni ben 15 milioni di italiani (per darne un’idea: come nella prima guerra mondiale, secondo i dati dello storico americano Jay Winter, o come i dati menzogneri dell’OMS in due anni di “a-pandemia”)!
Anche per questo motivo, reputavo e reputo il discorso di Bellia sulle formule eccessivamente semplificatorio e superficiale.
Il progetto, così com’era, non era comunque nemmeno un progetto, ma un ingenuo specchietto per allodole, cioè per politicastri golosi di un’ennesima idea di tassazione. E glielo dicevo: “Il tuo progetto appare un’aporia, senza un ulteriore studio e una riformulazione delle parti, munita di esempi di applicazione delle formule stesse” (che mancavano). E gli dicevo ciò, proprio perché affermava che il suo progetto era conforme all’idea della tri-articolazione dell’organismo sociale. Ma quando mai?
L’idea della tri-articolazione dell’organismo sociale fu proposta verso la fine dell’Ottocento in modo romantico da St-Yves d’Alveydre, e in modo scientifico-spirituale da Rudolf Steiner agli inizi del secolo passato.
Ecco perché, in quanto studioso dell’opera sociale di Steiner, per ben quattro anni ho ripetuto a Bellia tutta questa problematica, chiedendogli spiegazioni e dicendogli a più riprese che la gente non è scema e che, se vuole, sa fare i calcoli.
Addirittura quando gli parlai dell’iniquità del monetaggio (detto poi signoraggio da Auriti) mi disse che tutto ciò non esisteva. A un certo punto Bellia sembrò avere recepito il problema (che nel 2005 reputava “un’invenzione diabolica di Auriti in cerca di fama”; posso dimostrarlo con registrazioni che conservo ancora). Ma per il resto non fui mai ascoltato. Non rispose mai alla mia domanda con concreti esempi pratici di applicazione delle sue formule, nonostante avesse scritto che “chiunque aderisce liberamente ad un gruppo, lo fa solo se è certo che da tale adesione non scaturisca alcun pericolo per la propria sopravvivenza” (La neosocietà).
Fine della storia.
(1) NOTA AGGIUNTA (8/7/2022)
Poiché il CALUNNIATORE (che oggi, 2024, chiamo CALUNNIATOR FRESCONE perché continua a calunniarmi) afferma che mi baso su dati di De Simone di cui non trova riscontro, ecco i dati del libro di De Simone:
La tabella qui sotto dà un’idea delle dimensioni delle attività liquide degli italiani nell’anno 1995 (Fonte ISTAT, 1996).

«Si deve considerare che la somma delle attività liquide cresce ogni anno di circa 400.000 miliardi, e che, quindi, oggi il totale può essere stimato in circa 10 milioni di miliardi» (D. De Simone, UN MILIONE AL MESE…, Ed. Malatempora: PDF).
Basterebbe comunque constatare l’aumento esponenziale del cosiddetto debito pubblico per avere un riscontro di questa situazione KEYNESIANA.
Per cui, aggiungo questi brevi appunti ricevuti dall’amica sopracitata, in risposta a questa pagina (SUL CASO BELLIA), da parte di chi mi calunnia a causa del fatto che mi rifiutai di seguire Bellia (oltretutto a quel tempo Bellia voleva farmi vendere delle saldatrici di sua invenzione del tutto antieconomiche e malfunzionanti, altra spassosissima bufala. Questa delle saldatrici è veramente una storia incredibile e pazzescamente comica, ma non mi voglio dilungare qui).
CALUNNIATORE: «Riguardo alla matematica e alle equazioni di grado enne, che nelle soluzioni vi sia una tendenza ad un piccolissimo spostamento, ad un resto, che non si trovino soluzioni perfettamente definibili, lungi dall’essere la prova di errore, è invece indicativo di ciò che avviene nella matematica vivente, che va oltre a quella che vale per l’inanimato. Rudolf Steiner dice che nel mondo spirituale prima della nascita le gerarchie superiori devono risolvere complesse equazioni matematiche per ordinare il karma di individui legati in molteplici e complicati rapporti. E dice anche che il karma si incontra quando vi sono imprevisti e spostamenti sui programmi che noi ci siamo fatti. È la stessa legge matematica che opera anche nelle equazioni di grado enne, con moltissime soluzioni, cioè risultati, fatti, inseriti in una complessa legge karmica. Il karma è espressione del Padre e viene amministrato dalla prima gerarchia, Troni, Cherubini e Serafini. Bellia parlava sempre con il Padre, e a pieno diritto, dato che egli ha risolto le equazioni che sono della stessa categoria di quelle che utilizza la prima gerarchia. E che l’Antropocrazia si realizzerà per opera del Padre, significa che sarà la risultante del karma che individui coscientemente stanno conoscendo e servendo, sapendo che vi è una matematica celeste che ha già predisposto le condizioni perché ciò si realizzi, tenendo conto come elemento centrale, della volontà di conoscere e di agire di un certo numero di individui. Non si è mai chiesto il Villa come mai i ritmi planetari non sono mai perfetti, come mai esiste sempre uno spostamento nella misurazione degli anni, che deve essere corretta con gli anni bisestili, a loro volta corretti con il salto di un anno bisestile ogni tanto? Si tratta di errore o invece del carattere fondamentale di ciò che è vivente? Bellia infatti ha trovato il concetto di spostamento e ha chiamato il suo nuovo modo di procedere, muovendo la funzione sugli assi cartesiani, “Matematica della volontà”. Che le soluzioni non siano mai perfette è nella natura della vita e anche dello sviluppo umano, che è continuo e vivente proprio per il fatto che non si giunge mai a soluzioni definite una volta per tutte. Il segreto dell’evoluzione umana è proprio che l’errore vi è necessariamente contenuto. Si tratta di distinguere il cosiddetto errore quantitativo, che è invece un saggio elemento spirituale dinamico ed evolutivo, dall’errore concettuale, che è invece una mancanza di osservazione dei processi viventi, caratteristica del materialismo. L’atteggiamento del Villa di evitare di considerare il processo concettuale monetario dell’Antropocrazia per attaccarsi invece a cosiddetti errori quantitativi, denota proprio la tendenza materialistica quantitativa e rigida che egli, del tutto gratuitamente, imputa a Nicolò Bellia, basandosi sulla frase: “Primum vivere, deinde filosofare”. Faccio presente che anche Villa propone il reddito base incondizionato per tutti, quindi prevede che tutti abbiano il diritto di mangiare e di vivere. Sarebbe più coerente se, per non essere “materialista”, dicesse come fanno molti, che la fame aguzza l’ingegno, e che quindi si sviluppa lo spirito se si è sempre pressati dalle esigenze quotidiane di sopravvivenza. Ma questo è del tutto falso, se si conosce la vita e l’essere umano».
RISPOSTA: Sulla questione del “Primum vivere” non mi addentro perché riguarda un sentimento del calunniatore circa un mio atteggiamento. Non mi interessa tale sentimento. Diverso è per la matematica e la geometria (Cfr. G. Di Savero, La crisi del fondamenti della matemaica)
La crisi della matematica non può essere risolta da “matematiche della volontà” (Bellia si inventò l’idea di “matematica della volontà” perché non ebbe il coraggio di rispondere dei propri errori di matematica) perché due meno uno deve fare necessariamente uno, non quello che si vuole: le correzioni di Bessel dei calendari testimoniano che non si può applicare al cielo calcoli terrestri, errore tra l’altro già fatto da Einstein a proposito della precessione del pianeta Mercurio. Ho già spiegato questo errore nel 1998 anni fa nella Premessa del mio libro “IL SACRO SIMBOLO DELL’ARCOBALENO” (SeaR Edizioni, Reggio Emilia): mescolare il finito con l’infinito è permanere in un grossolano errore. L’uomo viene al mondo non per crearlo ma per comprenderlo, cercando elementi non per la creazione, ma per la comprensione del mondo.
Il fatto che oggi, 2022, esistano legionari della società antroposofica che, sostenendo la “matematica della volontà”, rimproverano me per i principi che non mi permettono di sostenerla, e non contemporaneamente sé stessi di oggetti come l’economia terrestre che vogliono comprendere secondo “logiche angeliche” (di “Troni, Cherubini e Serafini”) la dice lunga sulla schizofrenia che li turba fino al punto di divinizzare Bellia.
La stessa odierna società antroposofica è per ciò stesso alquanto malata se accoglie simili portatori di fandonie.
Pur non essendo un credente, posso concepire che il cosiddetto Padre eterno, con tutto il suo esercito delle schiere, dovesse anzitutto sapere come calcolare il movimento degli astri, ma l’uomo che afferma di conoscere l’intelligenza celeste per far funzionare l’economia terrestre, se non lo dimostra è solo un portatore di un’ipertrofia dell’ego, cioè un malato mentale.
Il mio compito di uomo terrestre è quello di cercare invece un fondamento sicuro (epistemico) su cui appoggiarmi per comprendere ciò che già esiste. Cosa mi serve partire dai Serafini o quant’altro e dal loro volere in atto che fa muovere il mondo e sottoporlo all’analisi pensante, se prima nulla so dell’universalità del pensare?
Divinizzare Bellia è pertanto un altro errore, come divinizzare qualsiasi altro essere umano, dato che il divino è in ognuno e quindi non può essere usato per discriminare o per calunniare i propri simili (il calunniatore dice per esempio che sono materialista e che ho litigato con Bellia; forse sarò anche materialista ma di sicuro non ho mai litigato con Bellia; semplicemente gli ho fatto domande e lui non mi ha risposto).
CALUNNIATORE: «[si chiede] come invece Villa propone di correggere gli “errori” di Bellia»?
RISPOSTA: Gli errori di Bellia non possono essere corretti perché, al di là della “volontà di fede” nella “Matematica della volontà” (che non propone verifiche), non esistono elementi su cui poter fare una verifica.
CALUNNIATORE: «Nei miei due commenti precedenti sono stato concreto e pratico nello spiegare il processo tecnico della fiscalità monetaria e delle tasse sulle uscite, che non sono l’IVA come dice Villa».
RISPOSTA: Non ho detto che sono l’IVA. Ho detto che sono COME l’IVA per darne un’idea: se io acquisto una quantità di mele da vendere al mercato, tale acquisto entra nel processo economico, e se quell’acquisto diventa produttivo, cioè funziona, nella tri-articolazione è sottoposto a tassa. Quindi non è come l’IVA astratta che abbiamo ma concreta, dato che se il mio lavoro di ortolano funziona sono contento io e sono contenti tutti. Se invece non funziona, il mio acquisto (attuandosi la tri-articolazione) non va tassato, tutto qui (oggi invece si tassa tutto astrattamente, così che provare a creare un’impresa diventa un’“impresa” mafiosa o impossibile). Questo è il senso delle parole di Steiner quando dice: “quando parlo di tasse sulle uscite non intendo tasse indirette, e nemmeno dirette”. Chi non lo capisce e perciò si appella a matematiche angeliche o della volontà NON è credibile.
CALUNNIATORE: «La tassa monetaria è l’unica che non è né diretta né indiretta».
RISPOSTA: No. È invece l’illusione di chi non si accorge che è un’astrazione. La tassa sulla MASSA monetaria è sia diretta che indiretta. Che si scarichi o meno sui prezzi ha la stessa scarsa importanza che ha la differenza fra una rapina a mano armata o disarmata. Sempre di rapina si tratta. Studiare come spennare i polli senza che se ne accorgano è sempre un’azione contro i polli. Convincere i polli a dare il loro consenso ad essere spennati potrebbe anche riuscire, dato che tutti sono corsi ad offrire il braccio (per il vaccino), ma si tratterebbe di falsa democrazia, manipolazione della gente, non di antropocrazia. Io, almeno, intendo il concetto di antropocrazia esclusivamente come auto-dominio, non come cratologia o dominio della Polis, potere assoluto, inganno, ecc.
CALUNNIATORE: «Non ci si deve certo sforzare molto per capire che due meno uno fa uno. Ma certo ci si deve sforzare per entrare nella vita del processo vivente monetario».
RISPOSTA: La vita – vita economica compresa – non è fatta solo di processi ma anche di eventi, e ogni evento è un fatto unico da valutare in quel momento e non a priori secondo un ragionamento sistematico da cherubino. I Cherubini non hanno l’io. L’uomo invece ha l’io. Quindi è più di un cherubino. E l’io che opera eliminando il suo io credendosi un cherubino diventa NON credibile. È un serpente che si morde la coda…. Per il CRETINO che non vede differenza tra processo ed evento o per chi crede “antroposoficamente” o esclusivamente all’intelligenza artificiale, in quanto il pensare, secondo la sedicente SOCIETÀ ANTROPOSOFICA sarebbe ELETTRICO (cfr. Jeorge Unger in TUBE CITY), invito ad approfondirla (EVENTO E PROCESSO).
CALUNNIATORE: «E lo sforzo maggiore è quello di ammettere di avere finora dormito della grossa. Per chi ama la verità non è un dolore riconoscere di aver dormito e quindi sbagliato. Lo è solo per chi ama illudersi di aver capito già tutto».
RISPOSTA: Questo è vero ma dovrebbe essere applicato innanzitutto a chi lo afferma tirando in ballo gli angeli. Quelli, sì, che fanno dormire. Buonanotte.
SECONDA NOTA AGGIUNTA (11/7/2022), dimostrativa del fatto che il CALUNNIATORE continua a calunniare! Vedi il grafico seguente.

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