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Senza quel SENSO, Paolo è solo una contraddizione, dato che nasciamo cattolici senza mai diventare cristiani, no?
In concreto, il dato scritturistico menzionato è quello dei due figli di Abramo (cfr. Genesi 16,15: 21,2.9) e si caratterizzano doppiamente per la loro origine. L'uno è nato da una schiava e l'altro da una donna libera. Il riferimento è ad Agar e a Sara, qualificate non in termini di concubina e di moglie legittima, né in quelli di serva e di padrona, bensì secondo la loro SITUAZIONE SOCIOLOGICA di schiava e di libera. L'intento è chiaro: Paolo imposta il discorso sull'antitesi schiavitù-libertà in rapporto all'eredità promessa ad Abramo. Ma anche le modalità della nascita dei due figli sono diverse. Ismaele il figlio della schiava è il frutto delle sole forze naturali generative (lett. = della "carne"). Isacco, invece, il figlio della libera, deve la sua nascita alla promessa divina che fu "la potenza creatrice grazie alla quale Abramo, ormai vecchio, divenne padre". Dunque, da una parte le risorse proprie dell'uomo, dall'altra il dono e il cosiddetto "miracolo della grazia di Dio". Ma cos'è la grazia oggi?
Oggi, 2024, tale "miracolo" non ha più senso in quanto il contenuto concettuale di grazia cambia totalmente: se al tempo di Paolo la grazia conduceva l'uomo secondo rivelazione e suscitava atteggiamenti più passivi, di "fede" o di affidamento, oggi dall'evento del Cristo in poi il carattere della grazia acquisisce tutt'altra natura, divenendo nella coscienza umana moderna, la vicenda tutta da decifrare del karma, cioè del destino di ognuno. Ecco perché quasi nessun sionista oggi si accorge del fatto che persino nella lingua ebraica antica c'è una radice unica "bsr" sia in "carne" ("bessàr" in ebraico) che in "bessuràh" ("messaggio"). O ebrei perché non capite un cazzo?
Quindi Paolo svelava allora la propria chiave interpretativa, affidandosi all'allegoria. Egli, senza negare il senso storico e letterale del testo di Genesi,
vi scorge un significato recondito che rimanda ad altra realtà. In breve, opera una TRASPOSIZIONE DI SENSO. Agar e Sara rappresentano le due "diathêkai", i due testamenti, che oggi potrebbero essere molto importanti sia per i guerrafondai di PALLYWOOD, sia per i guerrafondai di TALMUDYWOOD, sia per i guerrafondai di BERGOGLIONYWOOD, ordini di realtà a cui ci si continua richiamare come a possibilità di pace e salvezza per l'uomo oramai disabituato a pensare.
Oggi, 2024, questa triade di idiotismo comporta la seguente antitesi. Da un lato il rapporto col monte Sinai, qualificantesi per la schiavitù di quelli che vi facevano parte: in concreto, era l'ordinamento in cui si riconosceva la Gerusalemme di allora. Immagino, con i teologi Heinrich Julius Holtzmann e Franz Mussner, che i giudaizzanti sbandierassero lo slogan: "Gerusalemme è nostra madre". Gerusalemme appariva il simbolo di tutti coloro che riponevano la loro fiducia nelle "opere della legge" data sul Sinai. A giudizio di Paolo, si trattava di un ordinamento legalistico che rendeva schiavi i suoi adepti. Lo raffigurava Agar. Faccio notare che qui Paolo non è coerente con sé stesso del capitolo precedente (Galati 3), in cui contrappone la diathêkê (testamento promissorio fatto da Dio a favore di Abramo), chiamando anche la dinamica della legge mosaica "diathêkê" ("patto", "alleanza"), in opposizione a quella del cap. 4°. E deve essere così per essere con Cristo, cioè con l'io incarnato.
Per l'altro ordinamento ( = diathêkê) egli passa subito all'ultima identificazione, tralasciando l'esplicitazione della corrispondenza tra Sara, la donna libera, con la Gerusalemme celeste: "Invece la Gerusalemme celeste è libera ed è la nostra madre" (versetto 26). Gli sta a cuore l'alternativa alla posizione dei giudaizzanti. Questi sono schiavi e hanno come madre Gerusalemme, simbolo di sudditanza alla legge. Invece i "credenti", liberi dall'ordinamento legalistico-giudaico, formano il vero popolo di Dio dei tempi ultimi e definitivi. Sono quelli che per Paolo costituiscono la vera chiesa di Dio, denominata qui Gerusalemme celeste. Questa formula dipende dalla corrente apocalittica che contrappone la città-popolo della storia a quella che si sarebbe rivelata nel futuro ultimo, al compimento del progetto salvifico divino (faccio notare che l'espressione "Gerusalemme celeste" è di origine giudaica. Si trova nel libro dei Giubilei, in Baruch siriaco e nei libri sibillini). E Paolo vi allude, dato che per lui la città-popolo, attesa per la fine, era già presente nella comunità dei "credenti" che si basavano sulla "fede" in Cristo con esclusione delle "opere della legge".
Riassumendo, a una concezione del popolo di Dio qualificato dall'osservanza dei comandamenti mosaici come via alla salvezza, Paolo sostituisce la concezione del vero popolo di Dio basato sulla sola "fede cristiana", che oggi, come ho prima accennato, dovrebbe essere ma non è, VITA DEL PENSARE nell'universalità del pensare (R. Steiner), vita soprasensibile dell'attività interiore (ibid.) e/o coscienza viva del pensare come antimateria (M. Scaligero).
Con inaudita liberà interpretativa Paolo ribalta le evidenze più consolidate del suo tempo. Agar e Sara, Ismaele e Isacco, si scambiano il ruolo rappresentativo tradizionalmente ammesso. Figli di Sara e in linea con Isacco NON sono quelli che si basano sulle "opere della legge", ma tutti coloro che, confidando unicamente in Cristo, ne sono liberi. E discendenti di Agar e di ismaele si trovano a essere proprio quelli che rivendicano per sé l'ascendenza di Sara e di Isacco. La figliolanza abramitica che conta per l'eredità è dunque quella della libertà DALLA legge sinaitica. La circoncisione e l'osservanza dei comandamenti del Sinai rendono senz'altro figli di Abramo, ma nella linea di Ismaele, figlio diseredato in quanto nato dalla donna schiava. La paternità di Abramo che origina il cosiddetto popolo di Dio non è nella direzione della "carne" (bessar), ma in quella della promessa libera di Dio (bessuràh). Campa cavallo! Prima che sia compreso questo dai pescecani della guerra, anglosionisti, islamisti e cattolicisti, tutte teste di cazzo!
Il protocristianesimo aveva già fatto propria l'affermazione che Dio poteva suscitare figli ad Abramo dalle pietre (cfr. Matteo 3,9; Luca 3,8). Bene. A prova di questo capovolgimento di prospettiva Paolo porta la testimonianza del libro di Isaia (cfr. 54,1): "Rallegrati, sterile, tu che non puoi partorire! Prorompi in grida di gioia, tu che non puoi avere i dolori del parto! Perché i figli della donna abbandonata saranno più numerosi dei figli della donna con marito" (v. 27). Nella donna sterile o celibe che sarà più feconda della maritata e capace naturalmente di generare il profeta anonimo dell'esilio, chiamato convenzionalmente Deuteroisaia, si raffigura la città di Gerusalemme distrutta
e privata dei suoi abitanti deportati in esilio. La invita a gioire, perché Dio compirà il prodigio della creazione di una nuova Gerusalemme, cioè di un nuovo popolo. Paolo vi rilegge la profezia della chiesa, popolo di Dio costituito per grazia e sulla base della sola "fede", con esclusione delle "opere della legge". Il rapporto con Sara, divenuta madre in forza della promessa divina, è evidente. Come è evidente l'intento della teologia paolina di mettere a fondamento della chiesa di Dio la gratuità della sua iniziativa e della mediazione di Cristo, da accogliere nella "fede" e nella rinuncia ad appoggiarsi sulle proprie prestazioni religiose e morali. Il v. 28 non fa che trarre la deduzione, ormai scontata, applicandola direttamente ai Galati: "Ora voi, fratelli come Isacco, siete figli della promessa". Ma in questo modo Paolo può pure continuare l'esposizione allegorica dei due figli della schiava e della libera. A tale scopo Paolo si basa non solo su dati scritturistici, ma anche, a tradizioni giudaiche presenti nelle libere traduzioni aramaiche di Genesi (cfr. R. Le Deut, "Traditions Targumiques dans le Corpus paulinien?", in Bib 42, 1961, 28-48, 37-43). In questo quadro si può comprendere il motivo della persecuzione non attestato in Genesi: "Ma come allora il figlio della 'carne' perseguitava il figlio dello Spirito, così è anche ora" (v. 29). La storia si ripete. E nessuno se ne accorge? No, proprio perché la "chiesologia" o teologia di Paolo è in contraddizione con Luca 21,6: NON RESTERÀ PIETRA SU PIETRA. Basta con le teologie o con le filosofie. Oggi è tempo di LOGODINAMICA DEL PENSARE VIVENTE.
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